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sabato 23 giugno 2012
Lips Against the Glass: Vivid Colour
La sempre attenta Seahorse dà alle stampe “Vivid Colour”, l’album di debutto dei Lips Against the Glass, band che si muove in territori post rock, valorizzati e resi più accattivanti da un apporto elettronico deciso, azzeccato sia per rimarcare le trame ritmiche che per dare maggiore risalto alle lunghe ellissi melodiche che caratterizzano buona parte della scaletta. In programma troviamo dieci tracce, tra le quali va messo un asterisco vicino a “56”, brano che più di altri riesce a catturare l’attenzione di chi ascolta, proprio perché condensa le attitudini sopra elencate, con un approccio alla materia musicale istintivo, irruento e molto ben messo a fuoco. La musica prodotta dai Lips Against the Glass vira spesso su andamenti sostenuti, ipnotici e ripetitivi, cosicchè può risultare adatta anche in un contesto dance-oriented (“Tremolo”) o ambient (“Keep Focus”), anche se – nel complesso – i ragazzi prediligono i toni chiaroscurali, le figure in penombra, da osservare a lungo prendendosi il tempo necessario.
Patrizio Trampetti: Qui non si muove mai niente
Da sempre divulgatore della musica tradizionale, prima con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma soprattutto nella lunga collaborazione con Edoardo Bennato, Patrizio Trampetti dà alle stampe un album cantautorale dalla grana espressiva notevole, impreziosito dalla presenza di ospiti di rilievo e curato in fase di produzione da Jennà Romano dei Letti Sfatti. Nei dieci brani di “Qui non si muove mai niente” va sottolineata la voce di Silvia Romano, capace di regalare eleganza con un intervento dal sicuro appeal emozionale in “Sono un animale”, e quella altrettanto aggraziata di Mena Casoria in “Perdere tempo”. Tra le cose migliori c'è la rilettura del brano di Ivan Graziani “Scappo di casa”, probabilmente il passaggio più leggero della scaletta, e la più aggressiva “Italian Kaos”, nella quale fanno la loro comparsa i partenopei A’67. Nel complesso si tratta di un insieme interessante, nel quale Trampetti propone brani originali e cover piegate verso una propria identità radicata nel tempo, legati insieme dai timbri caldi, dai ritmi e dalle atmosfere mediterranee, che trovano la loro sintesi in “Al mercato delle parole”, dove compare la tromba di David Larible.
Chiude questo lavoro “Portugal”, nella quale Trampetti dialoga con Gilberto Gil, e dove la lingua portoghese e il dialetto napoletano si fondono in un esempio riuscito di commistione tra culture diverse.
venerdì 22 giugno 2012
Peppe Fonte: Secondo me è l’una
Influenzato in maniera decisiva dall’incontro personale con Piero Ciampi – al quale, nel precedente lavoro “Quello che ti dirò”, aveva dedicato la cover di “Sobborghi” – Peppe Fonte arriva alla pubblicazione del nuovo album “Secondo me è l’una”, dopo un percorso che lo ha visto impegnato, oltre che nella composizione, in diverse live performance. Dodici brani, arrangiati dal maestro Riccardo Biseo, nei quali si susseguono scenari di vita personale e sociale, descrizioni di rapporti, situazioni quotidiane ed eventuali. Il suo è un modo che si allaccia con quello del cantautorato italiano: atmosfere chiaroscurali al limite dell’essenziale; momenti timbricamente più aperti e solari; voglia di costruire melodie cantabili con testi di buonissima levatura, che non conoscono il qualunquismo. Peppe Fonte ha stile. Fatto di cose semplici, ma mai semplicistiche, che insieme riescono a formare una piacevole alternanza.Nella lista dei crediti sono diversi i nomi noti: tra gli altri Francesco Puglisi al basso, Derek Wilson dietro i tamburi, Pino Iodice alle chitarre, per un contesto capace di formare lo sfondo mutevole alla voce di Fonte, a sua volta pronta nel risultare confidenziale o di liberarsi in ritornelli aggreganti.
giovedì 21 giugno 2012
Lüger: Concrete Light
Il quintetto madrileno Lüger – già in vista in alcuni festival importanti come il Primavera e il South By Southwest - dà seguito all’omonimo debutto del 2010 con un album che ne ribadisce l’ottimo approccio stilistico, a metà strada tra rock tendenzialmente industrial (“Dracula’s Chauffeur Wants More”), estasiante psichedelia e una dose di riconoscibilità melodica che non guasta. Sono questi gli elementi che emergono dalle sette tracce di “Concrete Light”, lavoro dove si alternano atmosfere sinistre, come in “Zwischenspiel”, nella quale fa bella mostra il sitar di Daniel Fernandez, e sintesi elettroniche, come nell’iniziale “Belldrummer Motherfucker”, un pezzo strumentale che scomoda paragoni fin troppo scontati con la serialità della scena kraut di settantiana memoria. I ragazzi si muovono in maniera decisa attraverso un percorso mai scontato, che li vede spingere spesso sull’acceleratore espressivo, come nella vorticosa e ipnotica “Monkey’s Everywhere”. “Concrete Light” non mostra evidenti punti deboli, rimanendo in costante tensione espressiva, che a sua volta richiede a chi ascolta un piccolo sforzo di attenzione.
mercoledì 20 giugno 2012
Tindara: Quando parlo urlo
I Tindara conoscono il loro debutto negli undici brani che compongono “Quando parlo urlo”, un album di rock italiano molto curato sotto l’aspetto produttivo (firmato da Luca Bergia dei Marlene Kuntz), che porta in serbo diversi motivi di interesse e alcuni passaggi trascurabili. I nostri si fanno largamente apprezzare quando propongono un suono d’insieme avvolgente, pronto nel colpire a fondo grazie ai ritornelli piazzati con decisione, come in “Ho scelto il nero”, mentre si perdono in un’anonima sufficienza quando i toni si fanno più compassati, come nella title track. A emergere è sempre più la voglia di urlare anziché di parlare, attitudine che affiora in “Sopra la delusione”, tra i momenti meglio messi a fuoco di una scaletta apprezzabile, alla quale fa da relativo poco convincete “Sogna che ti passa”, brano con atteggiamento pop leggermente fuori luogo. Forse si poteva azzardare qualcosa in più, ma per il momento va bene così, perché i ragazzi hanno trovato una giusta base dove poter costruire qualcosa di importante.
domenica 17 giugno 2012
Joan & The Sailors: Mermaid
“Mermaid” è un disco dove confluiscono diversi filoni espressivi: c’è del retrogusto folk, c’è una netta sensazione di malinconia cantautorale, c’è anche del post rock spinto al giusto livello di introspezione. In “Mermaid” c’è la voce di Joan – profonda, sensuale e un pizzico bjorkiana – che si prende quasi tutti i primi piani, relegando i suoi Sailors a tessere fitte tele melodiche, fatte di violoncello, ritmica robusta e chitarre timbricamente gentili. Dodici brani che nel loro insieme compongono un quadro sonoro importante, dove non trovano spazio né i silenzi – anche se l’incedere è spesso compassato, riflessivo – né gli spiragli di luce, anche perché Joan concede poco e niente al registro alto, ed è restia nel liberare in cielo melodie che tiene strette al petto, come gioielli preziosi, dei quali non ci si può disfare con troppa semplicità. Brani che portano nel loro destino una coerenza certa, fino alla “traccia fantasma”, che chiude il cerchio in splendida dissolvenza. Un’ora di musica incredibilmente buia, magnificamente impenetrabile.
mercoledì 13 giugno 2012
Diego Nozza: Hard Core (Crac Edizioni)
Hard Core di Diego Nozza vuole essere nelle sue intenzioni un’introduzione al punk italiano degli anni Ottanta, come del resto recita senza indugi il sottotilono posto in copertina. È in effetti lo è, ma non solo. Perché il libro può risultare buono sia come viatico, come campo base da dove partire alla scoperta di un panorama ampio e insidioso, ma anche un punto di arrivo, un ottimo riassunto per coloro che vogliono solo prendere visione di ciò che è accaduto in Italia – nel sottosuolo della musica del nostro Paese - a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta.
Il libro è strutturato in maniera semplice quanto lineare e di immediata comprensione. A una parte introduttiva, nella quale viene descritta in modo complessivo la scena di quegli anni, seguono delle mini biografie di un numero considerevole di gruppi, suddivisi in modo ragionato in prima e seconda ondata. Linea di confine necessaria per guidare il lettore tra i gruppi che hanno sviluppato un’attitudine punk derivante dall’estero e altri che sono stati in grado di erigere una tessitura culturale, musicale e politica tipicamente italiana. Band che sono elencate in rigoroso ordine alfabetico, tra le quali troviamo nomi dimenticati, altri più famosi, metti i Gaznevada o le Kandeggina Gang di Jo Squillo, altri ancora che hanno fatto parte della situazione in maniera marginale, alcuni che non sono mai arrivati a incidere dischi ma che hanno contribuito a fomentare la scena. Un orizzonte multiforme, spontaneo, nel quale non era semplice muoversi vista l’assoluta mancanza di fondi a disposizione, caratterizzato dalle difficoltà nel coprire le distanze e dunque relazionarsi in maniera costruttiva con altre realtà, dall’esigenza di creare, e in certi casi occupare, spazi come i Centri Sociali nei quali esprimersi liberamente, senza eventuali patteggiamenti.
C’è dunque una storia in questo libro, che si rintraccia e che si mette insieme attraverso la descrizioni, a volte brevissime, dei singoli gruppi. Un puzzle multiforme che solo dopo averne rimesso insieme tutte le tessere regala una figura singolare e ben delineta. – 152 pgg – 14 euro.
lunedì 11 giugno 2012
Joy as a Toy: Dead as a Dodo
“Dead as a Dodo” è il secondo lavoro dei belgi Joy as a Toy (Gil Mortio, Clément Nourry, Jean-Philippe De Gheest), che in questo nuovo episodio propongono una scaletta – quasi esclusivamente strumentale - che prende spunto dalla musica di Ennio Morricone e i Goblin, proiettandosi in una terra di confine in equilibrio tra la sountrack di un film horror e una tessitura dai filamenti progressive-rock.
Miscela di sicuro interesse, che trova il giusto innesco in “Subway To Your Brain”,un brano dalla melodia facilmente assimilabile, seguita dai brevi accenni di “Better Lock you Door” e “Successful Failure”, che introducono “Zombie Safari”, passaggio dai lineamenti vintage, con riferimento agli anni Settanta e a tutto quel substarto culturale che rimanda costantemente alle colonne sonore, meglio se in modalità low-fi.
Disco nel complesso non semplice, dall’andamento irregolare e che a volte cede il passo a qualche situazione priva di senso concreto, ma anche per questo apprezzabile soprattutto da chi cerca un ascolto lontano dalle soluzioni semplicistiche.
giovedì 7 giugno 2012
Adam’s Castle: Vices
Gli Adam’s Castle sono originari di Detroit, ma negli ultimi anni si sono gradualmente spostati nell’area newyorkese, entrando a far parte della scena sotterranea di Brooklyn. Sono una band dall’alta produttività creativa, e il loro full length “Vices” (2010) conferma una certa attitudine alla ricerca, all’ibridazione di stili e modi lontani. In queste nove tracce strumentali la musica del trio oscilla tra situazioni caratterialmente progressive, lidi che risentono positivamente di una corrente di jazz elettrico, al rock in senso stretto. Spesso i ragazzi giocano le loro carte su tempi veloci, sfruttando la buona propensione ai ritmi serrati, come in “You’re Fucking the Best” e “Bender”, ma si lasciano apprezzare anche in situazioni più pensose, leggi in tal senso “VLM”, e nella funky oriented “Alarm Clock”. Una buona alternanza di umori dunque, tradotta in particolar modo dalle melodie sviluppate dal piano elettrico di Sami Jano, che è il centro gravitazionale di questa interessante realtà, supportato dalla ritmica rocciosa di Eric Adams (basso) e Zach Eichenhorn (batteria). Lavoro di indubbia valenza, farcito di effetti e soluzioni originali, che si posiziona a debita distanza dall’incasellamento immediato.
mercoledì 6 giugno 2012
I Cosi: Canti bellicosi
Sono trascorsi cinque anni da quando I Cosi si erano fatti notare con l’album di debutto “Accadrà”, e oggi con “Canti bellicosi” ripropongono il loro stile rock-pop orecchiabile, leggero, in equilibrio tra momenti intimi e giocati in punta di melodia, con altri che spingono maggiormente sul tasto della larga fruizione. Si tratta di dieci brani nei quali al centro delle tematiche troviamo il concetto di conflitto, con riferimento specifico ai rapporti sentimentali. I ragazzi (Marco Carusino: voce e chitarra, Antonio Mesisca: basso e Alessandro Deidda: batteria) raggiungono la giusta cifra espressiva in brani come “Cerco dentro me”, e sanno proporre la parte più tagliente e intrigante del loro sound in “Quello che so”. La scaletta scorre via senza intoppi e senza grandi deragliamenti, grazie a un concetto melodico sempre vivo e qualche ritornello a presa rapida. Il trio milanese mantiene costantemente lo sguardo rivolto al passato, con attenzione alla musica italiana degli anni Sessanta, dalla quale prendono in prestito alcuni ingredienti stilistici, pur riuscendo a emanare una fresca sensazione di attualità.
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