Si apre con una tenue melodia di pianoforte di Alexander Hawkins il nuovo lavoro di Roberto Ottaviano, al quale prendono parte anche Marco Colonna al clarinetto, Giovanni Meier al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria. Una linea, quella di Hawkins, che poi si arricchisce di elementi, prende forma e si mostra capace di una bellezza evocativa, sospesa e ancestrale. Ottaviano si innesta con il soprano nella spina dorsale di questa (un tradizionale africano) e delle altre tracce di “Eternal Love”, un lavoro essenzialmente basato su musiche di Don Cherry, John Coltrane, Dewey Redman e altri grandi del passato, accomunati dalla forza comunicativa dei loro pentagrammi. Nelle note di copertina Ottaviano descrive la concezione dell'album come il «[…] bisogno di un bagno mistico», che si traduce in musica attraverso melodie cantabili, cariche di speranza e rilassatezza espressiva.
オブリーク・ストラテジーズ / косые стратегии / oblique strategies / schuine strategieën / استراتيجيات منحرف / skrå strategier / 斜策略 / las estrategias oblicuas / তির্যক কৌশল / schräg strategien / אַבליק סטראַטעגיעס / stratégies obliques / kēlā papa kōnane o / kosi strategije
domenica 25 novembre 2018
Roberto Ottaviano: “Eternal Love” [Dodicilune, 2018]
sabato 24 novembre 2018
Rino Adamo – Sergio Corbini – Stefano Franceschini: “Endless Work” [Slam Productions, 2018]
Elettronica, violino, pianoforte, syth e fiati entrano della ricetta messa a punto dal trio composto da Rino Adamo, Sergio Corbini e Stefano Franceschini nel loro “Endless Work”. Si tratta di un album basato sulla forza della sperimentazione, dalla quale scaturiscono tracce ora leggibili e dall’aspetto melodico riconoscibile, ma anche intrecci sonori dalla complessa decifrazione. Gli elementi aggiunti di elettronica contribuiscono a creare un’estetica dall’ampio raggio formale, dove si innestano spunti di avanguardia, iniziative libere, ripetizioni ipnotiche, fasce di suono aggrovigliate e anche passaggi minimali, al confine con l’introspezione, come in Se una notte d’estate, la traccia che Sergio Corbini firma ispirandosi al romanzo di Italo Calvino “Se una notte d’inverno un viaggiatore” del 1979.
giovedì 22 novembre 2018
Roberto Magris: “World Gardens” [JMood Records, 2018]
Presentato recentemente a Chicago “World Gardens” è il nuovo lavoro discografico del pianista Roberto Magris, da diverso tempo attivo negli Stati Uniti dove ha messo insieme una serie di connessioni artistiche che lo hanno portato a collaborare con musicisti dall’elevato tasso espressivo. Ne è testimonianza anche quest’album, dove Magris si avvale della presenza di Dominique Sanders al contrabbasso, Brian Steever alla batteria e Pablo Sanhueza alle percussioni. L’ambito è quello del jazz mainstream, nell’accezione maggiore del termine, dove l’interplay, la grana sonora e lo sviluppo d’insieme sono al centro di un’estetica che unisce eleganza e muscolosità. Magris sceglie un percorso dalle varie latitudini culturali, come il titolo potrebbe suggerire, e unisce jazz standard, song, tradizionali arrangiati per il quartetto e originali. Ne deriva un "giardino musicale" rigoglioso e dalle diverse suggestioni.
martedì 20 novembre 2018
Susanna Stivali: “Caro Chico” [Incipit Records, 2018]
«Grazie a Chico per la sua musica immensa, per i suoi versi pieni di grazia e per avermi regalato la sua preziosa presenza […]». Susanna Stivali apre in questo modo la nota di copertina del suo “Caro Chico”, l’album attraverso il quale rende omaggio alla figura del cantautore brasiliano Chico Buarque. Si tratta di un lavoro che trasuda passione ed emozione, nel quale Stivali presenta un repertorio basato sulla musica di Buarque, per l’occasione rivista in versioni con testi in italiano, quasi tutti curati da Max De Tomassi. Alla realizzazione dell’album hanno preso parte diversi musicisti di spessore come, tra gli altri, Rita Marcotulli e Jaques Morelembaum, e dove, tra i diversi motivi di interesse, va sottolineato il duetto Stivali-Buarque nell’iniziale Morena dagli occhi d’acqua (Morena dos olhos d’água).
domenica 11 novembre 2018
Jazz Brugge 2018 “Crossing Cultures”
Torna l’appuntamento con il prestigioso festival in terra belga che in questa edizione, in programma nel weekend dal 16 al 18 novembre, presenta in cartellone dei grandi nomi come Elina Duni, Omer Avital, Tigran Hamasyan, Jakob Bro, James Brandon Lewis, Colin Stetson e altri ancora. Ne abbiamo parlato con Sarah Poesen, responsabile della comunicazione del KAAP Bruges, il centro artistico che organizza il festival
Qual è il tratto distintivo dell’edizione 2018?
Oggi il jazz sta incorporando elementi esterni, sia geografici che musicali, grazie ai quali si sta aggiornando organicamente. Con il tema di quest’anno “Crossing Cultures”, il festival Jazz Brugge evidenzia questa evoluzione. Il pubblico sarà piacevolmente sorpreso dalle influenze musicali provenienti da ogni angolo del mondo e potrà godere di musicisti nati in Albania, Armenia, Senegal, Marocco, Iraq e in nazioni del mondo.
Che tipo di pubblico frequenta il festival?
Non crediamo che ci sia un tipo di pubblico specifico per un festival jazz. Cerchiamo di raggiungere persone che hanno familiarità con il jazz, ma anche persone che possono essere sorprese dal genere. E ci concentriamo anche sulle famiglie con un progetto speciale per i bambini!
Quale ente organizza il festival e dove si tengono i concerti?
Jazz Brugge organizzato da due partner finanziati dal governo fiammingo: il centro artistico KAAP e il centro musicale Concertgebouw. Tutti i concerti si tengono al Concertgebouw Brugge in tre parti della struttura: la sala principale, la sala da musica da camera e uno studio più piccolo, ma ci saranno anche altri eventi nel resto dell’edificio con alcune piccole esibizioni.
Quali sono stati i momenti più interessanti della storia del festival?
Il festival è iniziato nel 2002, quando Bruges era la capitale culturale d’Europa. È stato l’inizio di una nuova tradizione, con un festival che si dedica esclusivamente al jazz europeo. Il festival divenne immediatamente un nuovo punto di riferimento nel panorama dei festival belgi e si tenne ogni due anni. Nel 2012, durante la sesta edizione, abbiamo organizzato una prima label night della nostra etichetta discografica W.E.R.F., che ha celebrato la sua centesima edizione. Ora, nel 2018, estendiamo l’attenzione, ma senza compromettere la sua formula di successo di esperienze di concerti uniche nella cornice eccezionale del Concertgebouw.
Che obiettivo avete per il futuro? Vorremmo continuare la tradizione del festival, ma stiamo anche sognando di “contaminare” tutta la città con la musica e con iniziative di vario genere.
Il programma completo di Jazz Brugge
Qual è il tratto distintivo dell’edizione 2018?
Oggi il jazz sta incorporando elementi esterni, sia geografici che musicali, grazie ai quali si sta aggiornando organicamente. Con il tema di quest’anno “Crossing Cultures”, il festival Jazz Brugge evidenzia questa evoluzione. Il pubblico sarà piacevolmente sorpreso dalle influenze musicali provenienti da ogni angolo del mondo e potrà godere di musicisti nati in Albania, Armenia, Senegal, Marocco, Iraq e in nazioni del mondo.
Che tipo di pubblico frequenta il festival?
Non crediamo che ci sia un tipo di pubblico specifico per un festival jazz. Cerchiamo di raggiungere persone che hanno familiarità con il jazz, ma anche persone che possono essere sorprese dal genere. E ci concentriamo anche sulle famiglie con un progetto speciale per i bambini!
Quale ente organizza il festival e dove si tengono i concerti?
Jazz Brugge organizzato da due partner finanziati dal governo fiammingo: il centro artistico KAAP e il centro musicale Concertgebouw. Tutti i concerti si tengono al Concertgebouw Brugge in tre parti della struttura: la sala principale, la sala da musica da camera e uno studio più piccolo, ma ci saranno anche altri eventi nel resto dell’edificio con alcune piccole esibizioni.
Quali sono stati i momenti più interessanti della storia del festival?
Il festival è iniziato nel 2002, quando Bruges era la capitale culturale d’Europa. È stato l’inizio di una nuova tradizione, con un festival che si dedica esclusivamente al jazz europeo. Il festival divenne immediatamente un nuovo punto di riferimento nel panorama dei festival belgi e si tenne ogni due anni. Nel 2012, durante la sesta edizione, abbiamo organizzato una prima label night della nostra etichetta discografica W.E.R.F., che ha celebrato la sua centesima edizione. Ora, nel 2018, estendiamo l’attenzione, ma senza compromettere la sua formula di successo di esperienze di concerti uniche nella cornice eccezionale del Concertgebouw.
Che obiettivo avete per il futuro? Vorremmo continuare la tradizione del festival, ma stiamo anche sognando di “contaminare” tutta la città con la musica e con iniziative di vario genere.
Il programma completo di Jazz Brugge
martedì 6 novembre 2018
Federica Michisanti Horn Trio: “Silent Rides” [Filibusta, 2018]
Esce per Filibusta Records l’album “Silent Rides” della contrabbassista e compositrice Federica Michisanti, per l’occasione in trio con Francesco Bigoni al tenore e clarinetto e Francesco Lento alla tromba e flicorno. Si tratta di un lavoro basato su brani appositamente scritti da Michisanti, la quale ci ha raccontato la genesi e lo sviluppo del nuovo progetto - dalla particolare struttura timbrica - che si pone in parallelo con Trioness, l’altro suo trio con Simone Maggio al pianoforte e Matt Renzi ai fiati
Come si è instaurata la collaborazione con i musicisti dell’Horn Trio Francesco Bigoni e Francesco Lento? Devo premettere che già da un po’ di tempo avevo l’idea di scrivere per un organico di strumenti che avessero un timbro simile tra loro, o archi o fiati. Questo perché i brani che compongo spesso sono a due o più voci che interagiscono, per cui avevo l’esigenza di utilizzare strumenti che avessero complessivamente un impasto sonoro più omogeneo. Ho pensato a una tromba e un sassofono tenore. Avevo già composto alcune cose pensando proprio a questo organico e un incentivo a proseguire in quella direzione è stato un messaggio di Matt Renzi, un musicista che stimo molto e con il quale ho inciso il mio precedente disco “ISK” (Filibusta Records, 2017), nel quale mi scriveva che sarebbe tornato in Italia solo per qualche settimana in estate e che avrebbe avuto piacere a suonare insieme. Così ho scritto tutta la “suite”, che poi è diventata il disco “Silent Rides”. Francesco Lento lo conosco da tempo, anche lui abita a Roma, e nel corso degli ultimi anni l’ho coinvolto diverse volte nei miei progetti. Inutile dire che è un musicista eccezionale, oltre a essere una persona gentile e disponibile, che si mette totalmente a disposizione della musica. Per tutti questi motivi l’ho ritenuto ideale per il progetto. Francesco Bigoni l’ho conosciuto di persona lo scorso febbraio, quando sono stata a Copenaghen per vedere un suo concerto insieme a Emanuele Maniscalco e Mark Solborg. Avevo sentito parlare di lui e avevo ascoltato alcune sue cose, il concerto mi piacque tantissimo ed ebbi conferma dell’opinione positiva che avevo già di Francesco. Quindi, quando all’inizio dell’estate decisi di registrare tutto il materiale già scritto per tale formazione con due fiati, decisamente pensai a Francesco Bigoni come terzo elemento stabile del trio.
Per la struttura di questo trio ti sei ispirata a una realtà del passato? L’ispirazione è stata unicamente la natura dei brani che compongo, cosa che, come dicevo prima, ha fatto nascere l’esigenza di far suonare due strumenti che avessero voci più omogenee tra loro. Sicuramente i miei ascolti passati come, riferendomi ai fiati, Ornette Coleman, Don Cherry, Eric Dolphy, Wayne Shorter, Kenny Wheeler, Lee Konitz, John Coltrane, Jimmy Giuffre e altri ancora, sono rimasti ben impressi in me, non tanto per le formazioni in cui questi musicisti suonavano, quanto per le loro composizioni e il linguaggio personalissimo di ciascuno di loro.
All’inizio del percorso che poi vi ha portato alla registrazione del disco, vi eravate posti un obiettivo espressivo? Non ci siamo posti alcun obiettivo, ma la mia personale intenzione era quella di creare un’opera che fosse un insieme di composizioni coerenti, alternate e raccordate da improvvisazioni che riportassero le emozioni nella stessa atmosfera, ma cercando di avere uno svolgimento che creasse momenti di tensione, sospensione e momenti di “riposo”, di risoluzione.
La musica che hai scritto per “Silent Rides” quanto ricalca il tuo modo di essere? Totalmente. Non potrebbe esserci separazione tra quello che sono e quello che compongo, e questo comporta il fatto che la matrice rimane sempre la stessa, ma la scrittura procede ed evolve di pari passo con il cammino incessante verso la mia essenza.
Come si è instaurata la collaborazione con i musicisti dell’Horn Trio Francesco Bigoni e Francesco Lento? Devo premettere che già da un po’ di tempo avevo l’idea di scrivere per un organico di strumenti che avessero un timbro simile tra loro, o archi o fiati. Questo perché i brani che compongo spesso sono a due o più voci che interagiscono, per cui avevo l’esigenza di utilizzare strumenti che avessero complessivamente un impasto sonoro più omogeneo. Ho pensato a una tromba e un sassofono tenore. Avevo già composto alcune cose pensando proprio a questo organico e un incentivo a proseguire in quella direzione è stato un messaggio di Matt Renzi, un musicista che stimo molto e con il quale ho inciso il mio precedente disco “ISK” (Filibusta Records, 2017), nel quale mi scriveva che sarebbe tornato in Italia solo per qualche settimana in estate e che avrebbe avuto piacere a suonare insieme. Così ho scritto tutta la “suite”, che poi è diventata il disco “Silent Rides”. Francesco Lento lo conosco da tempo, anche lui abita a Roma, e nel corso degli ultimi anni l’ho coinvolto diverse volte nei miei progetti. Inutile dire che è un musicista eccezionale, oltre a essere una persona gentile e disponibile, che si mette totalmente a disposizione della musica. Per tutti questi motivi l’ho ritenuto ideale per il progetto. Francesco Bigoni l’ho conosciuto di persona lo scorso febbraio, quando sono stata a Copenaghen per vedere un suo concerto insieme a Emanuele Maniscalco e Mark Solborg. Avevo sentito parlare di lui e avevo ascoltato alcune sue cose, il concerto mi piacque tantissimo ed ebbi conferma dell’opinione positiva che avevo già di Francesco. Quindi, quando all’inizio dell’estate decisi di registrare tutto il materiale già scritto per tale formazione con due fiati, decisamente pensai a Francesco Bigoni come terzo elemento stabile del trio.
Per la struttura di questo trio ti sei ispirata a una realtà del passato? L’ispirazione è stata unicamente la natura dei brani che compongo, cosa che, come dicevo prima, ha fatto nascere l’esigenza di far suonare due strumenti che avessero voci più omogenee tra loro. Sicuramente i miei ascolti passati come, riferendomi ai fiati, Ornette Coleman, Don Cherry, Eric Dolphy, Wayne Shorter, Kenny Wheeler, Lee Konitz, John Coltrane, Jimmy Giuffre e altri ancora, sono rimasti ben impressi in me, non tanto per le formazioni in cui questi musicisti suonavano, quanto per le loro composizioni e il linguaggio personalissimo di ciascuno di loro.
All’inizio del percorso che poi vi ha portato alla registrazione del disco, vi eravate posti un obiettivo espressivo? Non ci siamo posti alcun obiettivo, ma la mia personale intenzione era quella di creare un’opera che fosse un insieme di composizioni coerenti, alternate e raccordate da improvvisazioni che riportassero le emozioni nella stessa atmosfera, ma cercando di avere uno svolgimento che creasse momenti di tensione, sospensione e momenti di “riposo”, di risoluzione.
La musica che hai scritto per “Silent Rides” quanto ricalca il tuo modo di essere? Totalmente. Non potrebbe esserci separazione tra quello che sono e quello che compongo, e questo comporta il fatto che la matrice rimane sempre la stessa, ma la scrittura procede ed evolve di pari passo con il cammino incessante verso la mia essenza.
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