Katharina Weber (pianoforte), Fred Frith (chitarra) e Fredy Studer (batteria) si danno appuntamento agli Hard Studios di Winterthur, in Svizzera, per dare forma alle undici tracce del loro album “It Rolls”. Si tratta di un lavoro incentrato sulla continua interazione tra i musicisti, che nel terreno fertile della libera improvvisazione mettono a reagire le esperienze maturate nei loro diversi background. Quella che si ascolta è una musica dal carattere sperimentale, stilisticamente lontana da immediati incasellamenti, che sa passare dai movimenti cameristici, prossimi al silenzio, al free più energico e appuntito.
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mercoledì 30 dicembre 2015
Jukka Perko – Iiro Rantala: “It Takes Two To Tango” [ACT, 2015]
Troviamo del tango, tradizionali finlandesi, brani di Jean Sibelius, di Charles Aznavour e jazz standard nella scaletta di questo lavoro che vede protagonisti Jukka Perko al sax alto e soprano e il pianista Iiro Rantala. Il tutto amalgamato in fase di produzione da Siggi Loch, per un insieme che si basa sulla continua interazione tra i protagonisti, capaci di scambiarsi i primi piani espressivi con estrema scioltezza e pronti nel dirigersi verso territori formali del tutto personali, frutto d’ispirata estemporaneità.
Daniele Sepe: “A note spiegate” [Autoproduzione, 2015]
“A note spiegate” nasce dopo una campagna di autofinanziamento su Musicraiser (www.musicraiser.com), e prende il nome da una serie di dieci incontri didattici tenuti da Daniele Sepe a Napoli, nei locali della casa editrice Intra Moenia, a cavallo tra il 2013 e il 2014. In scaletta troviamo la rilettura di brani provenienti dai repertori di Miles Davis, Frank Zappa, Charles Mingus, passando per Loredana Berté e altri ancora. Sepe, insieme a un nutrito gruppo di musicisti coinvolti nel progetto, mette in mostra la consueta versatilità formale e la sua grande apertura di compasso stilistico, realizzando un lavoro colmo di brillanti spunti creativi.
martedì 29 dicembre 2015
Carlo Nicita Orange Quartet: “Inconsapevolmente” [Music Center, 2015]
Il titolo dell’album fa riferimento all’equilibrio tra la dimensione libera dell’improvvisazione e la rigida applicazione delle regole, due modi di operare attuati in maniera consapevole o meno nelle otto tracce firmate dal flautista Carlo Nicita. A emergere è un particolare impasto timbrico ottenuto con contrabbasso, batteria e chitarra elettrica, in un insieme formalmente vario, dove albergano parentesi free, melodie cantabili, perlopiù esposte dal leader, richiami latin, luminosi momenti dalla forte interazione strumentale e situazioni chiaroscurali e introspettive.
mercoledì 16 dicembre 2015
Thomas Strønen: “Time Is A Blind Guide” [ECM, 2015]
“Time Is A Blind Guide” si compone di soli brani originali scritti da Thomas Strønen, il percussionista norvegese che per l’occasione assembla un nuovo gruppo composto da Kit Downes al pianoforte, Håkon Aase al violino, Ole Morten Vågan al contrabbasso, Lucy Railton al violoncello e, in alcune tracce, da Siv Øyunn Kjenstad e Steinar Mossige alle percussioni aggiunte. Ne deriva un lavoro dal particolare impasto timbrico, che spazia da momenti essenziali e cameristici a reiterati groove d’insieme, e stilisticamente lontano da canoni immediati. Nelle trame compositive di Strønen si innestano le derivazioni del piano trio, l’eleganza classica degli archi e una mutevole trama ritmica capace di richiamare influenze ancestrali. Per lui si tratta di una performance parallela al carattere elettronico del progetto Food, in duo con Iain Ballamy, e rappresenta una prova che ne conferma le camaleontiche capacità espressive.
lunedì 14 dicembre 2015
Massimo De Mattia: “Skin” [Caligola Records, 2015]
Il flautista friulano Massimo De Mattia realizza in “Skin” un progetto dal profondo scavo espressivo, nel quale, con formazioni diverse, dal solo al quartetto, attua una serie di improvvisazioni, registrate nell’arco di sei mesi in luoghi pubblici, ma senza spettatori, nelle abitazioni dei musicisti e in studio. Un doppio album al quale partecipano, tra gli altri, Giorgio Pacorig, Giovanni Maier e Daniele D’Agaro, e dove prende forma un lungo percorso musicale, diviso in otto situazioni formali, fruibili sia separatamente sia in un senso logico d’insieme. De Mattia compie un viaggio di ricerca, moderno e avanguardistico, che non scende a patti con cliché e modalità semplicistiche, spingendo la propria arte in territori nuovi e fascinosamente rischiosi.
venerdì 11 dicembre 2015
Food: “This Is Not A Miracle” [ECM, 2015]
“This Is Not A Miracle” testimonia l’incontro del duo Food, composto da Iain Ballamy, sax ed elettronica, e Thomas Strønen, percussioni ed elettronica, con il chitarrista austriaco Christian Fennesz. Anche quest’ultimo non è nuovo nel percorrere scenari stilistici sperimentali, che in questo episodio, composto da undici tracce firmate da Strønen, convergono in atmosfere ambient, dove i piani sonori, perlopiù sintetici, prendono forma lentamente, a volte quasi a sfiorare l’immobilità. Le melodie, ipnotiche e circolari, evocano mondi immaginari, mentre la tessitura ritmica sembra spesso sospesa nel vuoto, tra pause e piccoli frammenti sonori che si uniscono fino a creare figure concrete. Ne deriva un insieme dalle forti connotazioni di contemporaneità espressiva, tra musica colta e linguaggi moderni. La foto di copertina è di Knut Bry.
giovedì 10 dicembre 2015
Israel Varela Trio feat. Rita Marcotulli: “Invocations” [AlfaMusic, 2015]
C’è Rita Marcotulli nelle vesti di ospite nel nuovo lavoro del batterista Israel Varela, che insieme al suo trio, completato da Angelo Trabucco al pianoforte e Alfredo Paixao al basso, dà forma alle otto tracce di “Invocations”. Concettualmente l’album è un’invocazione a Dio riguardo la guarigione, fisica e spirituale, che nello specifico caso di Varela, leggiamo dalle note di copertina, riguarda le sorti della madre Maria Elena, da tempo in lotta contro il cancro. I brani, quasi tutti firmati dal leader, presentano una fitta tessitura melodica e ritmica, dove si innestano la voce di Varela, i cori di Paola Repele, e una serie di elementi timbrici che ampliano lo spazio espressivo del lavoro, dal suono sintetico del minimoog a quello percussivo del cajon. Le atmosfere sono spesso riflessive e misurate, e nei testi Varela cita passi delle sacre scritture, in una sorta di preghiera rituale, pacata e densa di significati. In chiusura di scaletta troviamo Cuando, la versione spagnola di Quando, il brano di Pino Daniele qui proposto in duo voce-pianoforte da Varela e Rita Marcotulli, in una perfetta sintesi di sensibilità artistica.
mercoledì 9 dicembre 2015
Raf Ferrari 4tet: “Quattro” [Music All, 2015]
“Quattro” è un lavoro concettuale pensato e scritto dal pianista Raf Ferrari, che insieme al suo quartetto, completato da Vito Stano al violoncello, Guerino Rondolone al contrabbasso e Claudio Sbrolli alla batteria, dà forma alle due suite che compongono l’album: “Quattro” e “Le stagioni”. L’idea nasce da un sogno che Ferrari fa da bambino, nel quale gli appare una persona a cui era affezionato che gli mostra il numero quattro, cifra che nel corso del tempo si ripresenterà in diversi contesti, diventando per lui una sorta di ossessione. Il quartetto, rodato da diversi anni di attività, trova nel violoncello e nel pianoforte la principale “voce” espressiva, in un continuo sonoro mutevole, tenuto insieme da melodie cantabili e timbricamente equilibrate. Il lavoro riflette il suo significato nell’ascolto d’insieme, nel quale confluisco intime parentesi di solo pianoforte, movimenti di gruppo dal fraseggio tipicamente jazzistico, pagine di eleganza formale prossime al mondo classico, e un atteggiamento sempre pronto al cambio di scenario espressivo.
martedì 1 dicembre 2015
Enrico Rava Quartet with Guanluca Petrella: “Wild Dance”
«Il gruppo era maturo dal primo giorno che abbiamo suonato insieme, perché composto da musicisti maturi. Il problema è stato solo far coincidere un giorno libero per registrare». Con queste parole, pronunciate durante la puntata di Battiti, Rai Radio3, del 1 ottobre 2015, Enrico Rava introduce “Wild Dance”, il nuovo disco per ECM realizzato con Francesco Diodati alla chitarra, Gabriele Evangelista al contrabbasso, Enrico Morello alla batteria, e con ospite il trombonista Gianluca Petrella. Rava il tempo per registrare, presso lo studio Artesuono di Stefano Amerio, lo ha trovato nel gennaio 2015, dando così forma a una scaletta di quattordici brani, alcuni dei quali ripresi dal suo repertorio, come l’iniziale Diva, e altri di nuova scrittura, ispirati a personaggi, o cose, legati all’attualità, come Space Girl dedicato a Samantha Cristoforetti. «Se facessi sempre le stesse cose mi annoierei, e alla mia età potrei anche non suonare più e andare sulle panchine a dare da mangiare agli uccellini», aggiunge Rava, ma il trombettista ama sorprendersi e sorprendere chi lo ascolta, e “Wild Dance” non fa eccezione. In questo lavoro troviamo la profondità lirica delle melodie, un deciso scavo espressivo e una serie di dinamiche calibrate, realizzate attraverso un attento lavoro sui timbri, a volte pensose e malinconiche, a volte scure e introverse, come quelle di Don’t. L’immagine di copertina è di Jean-Guy Lathuilière.
martedì 24 novembre 2015
Ivan Valentini: “Rust And Blue” [Autoproduzione, 2015]
Il sassofonista Ivan Valentini organizza un nuovo quartetto per dare forma alle undici tracce originali del suo “Rust And Blue”, titolo che fa riferimento a un dipinto dell’artista Mark Rothko. Al suo fianco, nei primi piani espressivi dell’album, si muove Luca Perciballi alla chitarra elettrica, e all’elettronica, mentre le trame ritmiche sono imbastite da Luca Cotti al basso elettrico e da Riccardo La Foresta alla batteria. Il lavoro evidenzia una netta versatilità stilistica, in alcuni episodi piegata verso ruvide sonorità prossime al rock, dove la materia sonora diventa luogo comune di scambio per improvvisazioni e deragliamenti tematici. La componente melodica, e di scrittura in genere, gioca un ruolo importante, ma è talvolta preferita a situazioni free e slegate da indicazioni sul pentagramma. Nel complesso si tratta di un album distinguibile, per intenzioni e approccio generale, e dalla forte personalità.
mercoledì 18 novembre 2015
Enrico Pieranunzi: “Proximity” [CAM Jazz, 2015]
Enrico Pieranunzi organizza un nuovo quartetto, completato da Ralph Alessi alla tromba, Donny McCaslin al sax e Matt Penman al contrabbasso, per dare forma alle otto composizioni, alcune delle quali inedite o incise con altre formazioni, dell’album “Proximity”, edito da CAM Jazz. Si tratta di un lavoro che si distingue sia per le dinamiche formali, rese particolarmente interessanti dall’assenza in line up di un batterista, sia per la profondità espressiva dei temi, spesso lineari e cantabili. I musicisti si muovono in una sorta di equilibrio ritmico apparentemente precario, dove la musica sembra “galleggiare” su fili invisibili di condivisione d’intenti. Ne deriva un album dove si apprezza, oltre alle qualità di performer di ogni interprete, soprattutto la stoffa pregiata che avvolge il pianismo di Pieranunzi, e quel suo modo di trascinare con garbo l’ascoltatore verso il fulcro del discorso creativo. Al pianista romano abbiamo chiesto le impressioni e i motivi riguardo questa nuova avventura artistica, e quelle che seguono sono una serie di “note a margine di Proximity”, più che mai preziose ed esplicative, oltre che piene di curiosità e spunti di riflessione:
«Ogni volta che incido un nuovo CD vivo una grande emozione. Non solo perché so che suonerò con musicisti di spessore, come quelli riuniti in “Proximity”, ma perché ho l’opportunità di scrivere nuovi brani o, anche, di recuperare materiali che stanno lì da tempo e che, per qualche motivo, non sono stati mai incisi, né sono stati mai suonati in concerto. È andata così anche per “Proximity”.
(In)canto, il brano d’apertura, è per esempio un pezzo che ho scritto tantissimo tempo fa, a metà degli anni Ottanta, ma che non era stato finora mai registrato e neanche mai suonato in pubblico.
Il secondo brano Line For Lee è un pezzo a cui sono particolarmente affezionato. È dedicato a un gigante del jazz come Lee Konitz, che nella mia storia musicale ha svolto un ruolo importantissimo. Nello scorcio finale degli anni Ottanta abbiamo fatto diversi concerti e un paio di dischi insieme, ed è nato anche un rapporto umano importante, che dura tuttora. Il brano è stato scritto nel 1987, come mio regalo-omaggio a Lee in occasione del suo sessantesimo compleanno. Anche questo brano, come (In)canto, non era mai stato registrato finora e sono felice che questo sia finalmente accaduto, anche se con un notevole ritardo rispetto a quella ricorrenza...
Cinque degli otto brani presenti in “Proximity”, tutti meno i due di cui ho parlato finora e Proximity, scritto per l’occasione, sono già comparsi in miei precedenti CD in trio, Sundays anche in un album in quartetto con Kenny Wheeler, Marc Johnson e Joey Baron. È un’operazione che faccio spesso: prendo brani che usualmente suono in trio e li arrangio per un’altra formazione. Mi piace sentire i miei brani interpretati da altri. Alessi e McCaslin sono dotati di una così grande personalità e di un approccio interpretativo così originale che i brani, comparati con le precedenti versioni, suonano come un racconto musicale completamente nuovo.
Simul, in particolare, è stato registrato in duo, con Ralph Alessi. La ragione di questa scelta è nella straordinaria affinità tra il mood del pezzo e lo specialissimo mondo musicale di questo formidabile trombettista. Ce ne siamo accorti subito, appena abbiamo cominciato a provare il brano, e senza esitare, ci siamo lanciati in un’avventurosa e divertita take in duo.
Una citazione a parte, infine, per Five Plus Five, il brano conclusivo del CD. Intanto, il titolo. Si tratta di un blues il cui il tema è piuttosto anomalo perché i periodi musicali sono tutti di cinque battute. Una sorta di scherzo che ho voluto fare a me stesso per sottolineare tutti i “cinque” che mi circondavano nei giorni in cui ho buttato giù il pezzo, sono nato il 5 dicembre ed erano i giorni intorno al mio cinquantacinquesimo compleanno, come dice chiaramente anche il titolo... A parte questo, la cosa interessante è che su suggerimento del produttore della CAM Jazz Ermanno Basso ho suonato in questo brano solo l’interno del pianoforte, evitando accuratamente... la tastiera. Se si presta attenzione ci si accorge facilmente che sullo sfondo delle belle improvvisazioni dei miei partner ci sono suoni strani, colpi e sfregamenti di corde più o meno sordi, e curiose risonanze. Ebbene, l’autore estemporaneo di queste stranezze sono io che, nella circostanza, ho indossato la veste del “percussionista”. Forse il motivo per cui ho accettato con entusiasmo questa situazione è “subliminale”: l’unico strumento che, a parte il pianoforte, mi sarebbe sempre piaciuto suonare è proprio la batteria... e d’altra parte almeno un brano con un po’ di percussione nel CD non ci stava male.
Oltre all’idea della mia inusuale performance come pianista/non-pianista anche il concept della formula drumless di “Proximity” è del produttore Ermanno Basso. Dopo i tantissimi dischi in trio registrati per la CAM Jazz, Ermanno mi ha proposto di realizzare un CD con un suono diverso, e l’idea mi è piaciuta moltissimo. In realtà non era la prima volta nel corso della mia attività che mi trovavo a suonare, comporre e arrangiare, per un gruppo senza batteria. Era accaduto all’inizio del decennio scorso, con i dischi per la Egea, tra i quali “Racconti mediterranei”, “Trasnoche” e “Les Amants”. In quei dischi la non presenza della percussione - oltre naturalmente al tipo di brani che avevo composto - orientava la musica decisamente verso una dimensione cameristico-europea. “Proximity” è invece un disco completamente “americano”, almeno così mi sembra, sia per i musicisti che vi suonano, sia per i materiali e, chissà, anche perché è stato registrato a New York e in uno studio storico come il Sear Sound.
Per concludere ci si potrebbe chiedere come può essere “americano” il materiale prodotto da un pianista... italiano. Si dice che il pianista in questione, da sempre, abbia nella sua musica e nel suo modo di scrivere e suonare due nature, una europea, l’altra americana. Due nature ben mescolate o separate? Chissà... E poi: potrebbero essere anche più di due? Non è facile trovare risposte. Magari anche, forse: ma è così importante trovarne?».
domenica 15 novembre 2015
Gregory Porter Quintet: Live At Parco della Musica, Roma 14.11.2015
Si apre con un minuto di silenzio la trentanovesima edizione del Roma Jazz Festival. Un breve raccoglimento per le vittime degli attentati di Parigi del giorno precedente, che separa la triste realtà dai colori della finzione, dello spettacolo. Per l’occasione sale sul palco della Sala Sinopoli il quintetto di Gregory Porter. Il cantante americano piace al pubblico. Ne è testimonianza il tutto esaurito, che rende felice sia il colpo d’occhio e l’atmosfera generale, sia, supponiamo, gli organizzatori del Festival, per la prima volta alle prese con la mancanza del sostegno economico comunale, evidenziato nella conferenza stampa di presentazione. Gregory Porter sa anche farsi piacere: spesso coinvolge il pubblico con un contagioso batti mano; costruisce una scaletta tirata che non lascia troppo spazio alle distrazioni; sprizza energia vitale e una forza espressiva che non conosce flessioni. Il set proposto si protrae per un’ora e mezza. Porter è il catalizzatore dell’intera performance, e alla band sono destinati pochissimi soli. La sua voce, scolpita e potente, riflette la tradizione del gospel, dei canti di lavoro, del soul e di quelle radici afroamericane più che mai presenti nel suo sound, nelle sue dinamiche. Si lascia apprezzare per la solidità, per le vibrazioni a basse frequenze, per l’equilibrato utilizzo dello scat, e soprattutto quando i volumi calano e rimane in duetto con il pianista Chip Crawford, come in Imitation Of Life tratta dal suo album “Be Good” (Motéma, 2012). È lì che emerge il valore di una tessitura di pregio, curata nel dettaglio. Di lui si dice essere sopravvalutato, come se avere successo, dovuto in particolar modo alle vendite dell’album “Liquid Spirit” (Blue Note, 2013), sia una colpa da attribuirgli. Sta di fatto che Porter conosce il suo mestiere, lo svolge non ricorrendo mai a eccessivi ammiccamenti, arrivando al cuore della gente senza cercare scorciatoie e inutili colpi da funambolo.
venerdì 13 novembre 2015
Stefano Battaglia Trio: “In The Morning – Music Of Alec Wilder” [ECM, 2015]
“In The Morning” testimonia il concerto del trio capitanato da Stefano Battaglia, al Teatro Vittoria di Torino il 28 aprile 2014, completato da Salvatore Maiore al contrabbasso e da Roberto Dani alla batteria. Come il titolo lascia intendere, si tratta di una rivisitazione del repertorio di Alec Wilder, del quale sono riletti sette brani. Quello che si ascolta è un lavoro equilibrato, e la registrazione riflette una grande forza espressiva, rintracciabile sia nel pianismo di Battaglia, sempre misurato, elegante e mai stucchevole, sia nei movimenti d’insieme, basati su un interplay rodato alla perfezione. Il concerto ruota attorno alla forza melodica dei temi, e si snoda attraverso momenti essenziali, cameristici, e situazioni dal respiro più intenso, trovando la sua originalità negli arrangiamenti di Stefano Battaglia, il quale ci ha parlato di questa nuova uscita per ECM, come di consueto prodotta da Manfred Eicher, e di altro ancora.
Come è nata l’idea di registrare e pubblicare il concerto di Torino? Il trio è composto da performer, e il meglio di sé lo sprigiona dal vivo. Era tanto tempo che desideravo registrare un live e l’occasione si è determinata attraverso un circuito virtuoso, nel quale un ruolo decisivo, oltre a ECM, l’ha avuto l’amico e musicologo Stefano Zenni, direttore artistico del Festival di Torino, che ha seguito e sostenuto il mio lavoro su Wilder sin dal 2003, quando ho deciso di iniziare a suonare questa musica in concerto. Con lui abbiamo trovato la sala e lo strumento giusti e abbiamo avuto subito la sensazione di aver fatto un concerto con un’energia speciale. Avevamo quasi due ore e mezzo di materiale, bis compresi! Alla fine Eicher ha scelto un’ora abbondante e pubblicato solo la parte che riteneva più convincente. L’ideale sarebbe stato documentare tutti i dodici brani in un doppio album, ma il mercato di ora accoglie difficilmente lavori così ambiziosi e onerosi. La scelta del singolo credo sia più saggia, sebbene un po’ dolorosa per la diversa drammaturgia e la narrativa del concerto che naturalmente chi era lì con noi ricorda in maniera diversa.
Perché hai scelto, da diverso tempo, di lavorare ai brani del compositore Alec Wilder? Insieme a Hoagy Carmichael è il mio songwriter preferito, e sebbene la sua figura sia meno popolare dei “great five” Gershwin, Porter, Berlin, Kern e Rodgers, sia la qualità intrinseca del materiale, sia la vastità trasversale della sua opera merita senza dubbio un’urgente, profonda e appassionata riflessione. Un poco misteriosamente il suo repertorio mantiene un’innocenza, quasi una verginità, proprio perché poco eseguito, o mai eseguito, e arrangiato. È come se non ci fosse ancora stato “raccontato” o “spiegato”. Dopo tanti anni di lavoro durante i quali ho osato mettere mano a quello che è realmente una figura chiave della cultura americana del Novecento, ho sentito necessario inserirmi in questo vuoto, poco comprensibile, e mi sono deciso a iniziare la documentazione di questi sforzi attraverso la pubblicazione di una buona parte del suo repertorio, allo scopo di favorire una maggiore diffusione della sua opera. Certamente ci vorranno più volumi, abbiamo lavorato a più di sessanta songs!
Cosa ti lega in maniera così decisa alla sua figura? Caratterialmente era un americano atipico: riservato, modesto, autoironico, tranquillo, decisamente un americano che non ti aspetti, nel senso che sembrava voler restare il più possibile lontano dalla scena e dagli affari, dalla competizione e il clamore del mondo dello spettacolo, addirittura quasi ritirato dalla vita newyorkese, dimostrando scarsa adesione alle regole del modernismo consumistico delle metropoli. Al contrario, ciò che lo rendeva profondamente americano, in un modo quasi paradigmatico, era l’amore profondo per la sua terra, la vecchia America e la pace della sua campagna, l’America delle montagne, dei fiumi impetuosi e dei laghi ghiacciati, quella dei lunghi viaggi in treno nelle province, attraverso le praterie, l’America incontaminata dei cieli, delle foreste e delle rocce, quelle degli indiani nativi e degli orsi. Sembrava appartenere a una retroguardia colta e raffinata, persuasa che tutto quello sviluppo sfavillante nascondesse anche una decadenza, e questa malinconica lucidità invadeva ogni aspetto della sua vita e dunque della sua musica in una sorta di romanticismo americano pre-industriale. Questa tendenza verso la cultura europea si è evidenziata nel tempo attraverso l’imponente opera cameristica, che ha tuttavia mantenuto elementi di contraddizione, o meglio di contaminazione, mettendo in dialogo e contrasto elementi popolari tipicamente americani e tardoromantici con una scrittura musicale pantonale o post-tonale, ibrida e assai originale, anche rispetto a celebri compatrioti come Ives, Gershwin o Bernstein, che, sebbene assai diversi tra loro, sembravano comunque rappresentare meglio l’America ottimista, e imperialista, del Novecento.
Cosa rappresenta questo lavoro nell’ambito del tuo percorso artistico? È parte di un processo di personale sacralizzazione della melodia, la cui importanza negli anni è via via cresciuta e la cui potenza agisce su di me come un costante punto di riferimento, sia come compositore sia come improvvisatore. Allo stesso tempo è un contatto con la musica popolare e una forma tanto tradizionale come quella della canzone. Il collegamento con queste fonti è divenuto per me necessario, come percorso di collegamento profondo e rivitalizzazione delle musiche di tradizione popolare di tutto il mondo, dal Medioevo a oggi. Percorso che negli ultimi quindici anni mi ha portato ad affrontare diverse centinaia di canzoni di ogni provenienza ed epoca, denominato “Book of Songs”.
mercoledì 11 novembre 2015
Living Coltrane: Writing 4 Trane [AlfaMusic, 2015]
Come sottolinea Maurizio Franco nelle note di copertina, in questa nuova incisione per AlfaMusic il quartetto Living Coltrane, a differenza delle due precedenti uscite improntate su rivisitazioni del repertorio coltraniano, propone dei brani originali basati non sul “come” li avrebbe pensati e scritti John Coltrane, ma “per” John Coltrane. Ne deriva un album dalla grande forza espressiva, spesso riflessa nelle note emesse dal sax di Stefano “Cocco” Cantini, il quale si lascia ampiamente apprezzare sia nei molti temi lineari, cantabili, sia in alcuni momenti di maggiore istintività, al limite della ferocia. Un lavoro, dunque, in equilibrio tra misura e fantasia, tra passaggi calibrati e giochi d’improvvisazione dove Francesco Maccianti al pianoforte, Ares Tavolazzi al contrabbasso e Piero Borri alla batteria, completano un significativo incastro formale. Coltrane c’è, ma rimane in filigrana, come ci ha raccontato Stefano “Cocco” Cantini: «Coltrane è stato fondamentale non solo nel jazz, ma nell’intera storia del Novecento musicale. Questo nuovo lavoro racchiude brani originali scritti per lui, perché il suo sound, il suo linguaggio, è una sorta di “colore” immediatamente riconoscibile in mezzo a tanti. Noi abbiamo mantenuto questo sound, che ci piace tantissimo, però scrivendo la nostra musica. Ho suonato di tutto nella vita, ma questo tipo di atteggiamento è quello che più mi dà gratificazione. Il periodo storico di Coltrane ha permeato tantissime forme musicali, e dobbiamo avere il pudore di riconoscere questo aspetto. L’album è scritto per un grande maestro, che ci ha dato veramente tanto. Il quartetto sembra avere tutte le intenzioni di proseguire il cammino, come lo stesso Cantini ci ha confermato: «Con “Writing 4 Trane” abbiamo aperto una nuova porta. È un percorso nuovo di musica originale, che mantiene un determinato atteggiamento, che dal vivo fa emergere il suo aspetto migliore. Noi si gode nel suonare, e siccome quella che viviamo è una vita di problemi e sofferenze, almeno nel suonare voglio trovare il piacere (ride, NdR)».
martedì 10 novembre 2015
Ameen Saleem: “The Groove Lab” [Via Veneto Jazz, 2015]
“The Groove Lab” è il primo album nelle vesti di leader del bassista Ameen Saleem, finora apprezzato in diverse situazioni, come quelle intraprese alla corte di Roy Hargrove. Il trombettista è tra i molti musicisti coinvolti in questo progetto, una sorta di laboratorio, come il titolo lascia intendere, basato su brani scritti da Saleem, dove si intrecciano elementi di funk, soul e jazz in senso stretto. I valori espressivi emergono dalle linee melodiche proposte, sempre cantabili, impreziosite, oltre che dal sax di Stacy Dillard, anche dalla chitarra di Craig Magnano e dalle voci di Ramona Dunlap e Mavis “Swan” Poole. Le forme ritmiche trasudano groove profondi e ipnotici, dove si incastrano le figure pianistiche di Cyrus Chestnut, in alcuni passaggi anche al piano elettrico, e la forza muscolare dei batteristi Jeremy “Bean” Clemons e Gregory Hutchinson. Il leader si lascia apprezzare sia quando svolge ruoli di sottofondo, sia quando prende la scena con soli corposi e mai stucchevoli, in un insieme che riflette contemporaneità e legami con le radici più profonde della black american music.
Sokratis Sinopoulos Quartet: “Eight Winds” [ECM, 2015]
Registrato nell’aprile 2014 presso i Sierra Studios di Atene, “Eight Winds” contiene dodici brani di Sokratis Sinopoulos, che realizza questo lavoro con un quartetto completato da Yann Keerim al pianoforte, Dimitris Tsekouras al contrabbasso e Dimitris Emmanouil alla batteria. Le atmosfere sono misurate, e i significati espressivi dell’album sono racchiusi nelle melodie prodotte da Sinopoulos, sempre cantabili e lineari, il quale utilizza la sua lyra politiki come strumento catalizzatore dell’intero lavoro. I temi proposti sono melanconici, e il leader trova nel pianismo di Keerim un ideale elemento di dialogo e di contrapposizione formale, in un progetto artistico dove si incontrano tradizione ellenica e significati di contemporaneità.
sabato 7 novembre 2015
Luca Aquino: “OverDOORS” [Tuk Music, 2015]
La formazione musicale di Luca Aquino è passata anche attraverso l’ascolto delle grandi rock band degli anni Sessanta e Settanta, tra le quali i Doors hanno svolto un ruolo di assoluta centralità. In “OverDOORS” il trombettista campano rende omaggio alla seminale band californiana, con un approccio e delle scelte di arrangiamento a metà strada tra la rivisitazione in stile cover e la rielaborazione quasi totale di alcuni celebri temi. Quello che si ascolta è un lavoro dalla forte personalità, sincretico e sfaccettato, soprattutto sotto l’aspetto timbrico, data la presenza in line up di musicisti duttili come Dario Miranda al basso elettrico, Antonio Jasevoli alle chitarre e Lele Tommasi alla batteria. Tra le pagine che sintetizzano e rendono chiare le intenzioni di Aquino troviamo Light My Fire, trasfigurata e resa feroce quel tanto che basta per proiettare i significati d’insieme oltre gli steccati stilistici. Le voci degli ospiti Rodolphe Burger, Petra Magoni e Carolina Bubbico ampliano ulteriormente l’assetto formale della scaletta proposta.
mercoledì 4 novembre 2015
Noemi Nori: “Al di là di me” [AlfaMusic, 2015]
In “Al di là di me” la cantante Naomi Nori è affiancata da un trio di assoluto valore, composto da Alessando Gwis al pianoforte, Alfredo Paixão al basso e da Israel Varela alle percussioni. In poco più di mezzora troviamo racchiusi nove brani, tra originali e rivisitazioni, quasi tutti cantati in portoghese e riferibili all’area della musica popolare brasiliana. Gli andamenti spesso sono misurati, la tessitura melodica e timbrica di ogni brano è curata nel dettaglio e la voce di Noemi Nori si lascia apprezzare per il profondo senso lirico. La sua è una forza espressiva che emerge sia nei passaggi più intimi, vedi la ballad Mundo raro di José Alfredo Jimenez, sia in quelli d’insieme, come in Gingi, il brano dedicato alla figlia Ginevra, tra l’altro autrice del disegno di copertina, dove l’ascoltiamo cantare in italiano. I testi di alcuni brani sono poesie della poetessa brasiliana Vera Lúcia de Oliveira.
È la stessa Noemi Nori a raccontarci qualcosa in più riguardo questo suo disco d’esordio: «Il progetto è nato grazie al fortunato incontro con un grande artista come Israel Varela. Da tempo come musicista sentivo la necessità di creare qualcosa di mio, e Israel si è subito interessato al progetto proponendosi come produttore artistico e coinvolgendo musicisti come Alessandro Gwis e Alfredo Paixão. L’album è stato concepito per essere un lavoro dedicato alla musica brasiliana, una passione che coltivo dall’età di dodici anni, ma credo che in ogni brano sia possibile scorgere quello che è stato il mio background musicale, e Israel ha valorizzato e seguito negli arrangiamenti questo tipo di direzione. Molti, conoscendomi, si aspettavano maggiori contatti con la musica brasiliana, ma forse era proprio un “al di là di me” che volevo raccontare e raccontarmi. Inoltre, devo sottolineare la collaborazione con Vera Lúcia de Oliveira, una persona di una delicatezza e umiltà straordinaria, che non ha esitato un attimo nell’affidarmi delle sue poesie».
Francesco Bearzatti Tinissima 4tet: “This Machine Kills Fascists” [CAM Jazz, 2015]
Il titolo “This Machine Kills Fascists” riprende la scritta sulla chitarra di Woody Guthrie, il cantautore americano al quale si ispira in questo nuovo lavoro il Tinissima 4tet capitanato da Francesco Bearzatti, anche in questa occasione affiancato da Giovanni Falzone alla tromba, Danilo Gallo al basso e Zeno De Rossi alla batteria. Si tratta di un album concettuale, dove memoria e attualità si incontrano per raccontare una storia musicalmente tradotta da venature blues, temi cantabili, fantasiose onomatopee, rigore ritmico e movimenti d’insieme impreziositi da incisivi slanci solisti. La scaletta si compone di brani originali firmati da Bearzatti, fatta eccezione per la rivisitazione di This Land Is Your Land di Guthrie, e ospita la voce di Petra Magoni in One For Sacco e Vanzetti, un brano emblematico che ben riassume le intenzioni del quartetto, dato il suo incedere lento e sofferente che proietta i significati concettuali dell’album in una profonda riflessione sociale e politica.
giovedì 29 ottobre 2015
Raffaele Casarano: “Medina” [Tŭk Music, 2015]
È la cantabilità delle melodie il tratto più evidente del nuovo lavoro del sassofonista Raffaele Casarano, che in “Medina” si avvale della collaborazione di musicisti di spessore assoluto, come Mirko Signorile al pianoforte, Marco Bardoscia al contrabbasso, Cristiano Calcagnile alla batteria, Alessandro Monteduro alle percussioni, Erik Honoré all’elettronica e l’Orchestra Sinfonica Tito Schipa diretta dal Maestro Alfonso Girardo. Nelle intenzioni di Casarano “Medina” è, come riportano le note di copertina, «sinonimo di civiltà contemporanea alla perenne ricerca del nuovo», un luogo musicale nel quale confluiscono i timbri mediterranei, l’eleganza classica, e il fraseggio di natura jazzistica. Il suono del leader, anche alla voce nel brano Africa, è spesso in primo piano, ed è la presenza di Mirko Signorile a garantire un ideale punto di scambio e contrapposizione formale. Nell’insieme il lavoro esprime lineamenti prossimi a quelli di un’immaginaria colonna sonora, di una lunga sequenza di immagini che scorrono lente tra larghi orizzonti dai colori accesi e luoghi misteriosi.
mercoledì 28 ottobre 2015
Kenny Wheeler – John Taylor: “On The Way To Two” [CAM Jazz, 2015]
La CAM Jazz pubblica una registrazione inedita di Kenny Wheeler, tromba e flicorno, e John Taylor, pianoforte, che fa riferimento a una doppia sessione del marzo 2005 presso i Bauer Studios di Ludwigsburg. La scaletta include dieci brani, tra i quali la rivisitazione di A Flower Is A Lovesome Thing firmata da Billy Strayhorn, nei quali il duo riflette una profonda forza espressiva, sviluppata in atmosfere melanconiche, costruite su esili, quanto robuste, strutture ritmiche e melodiche. I temi delle pagine scritte sono cantabili, mentre nei momenti d’improvvisazione subentra la voglia d’esplorazione timbrica dei due musicisti. Il flusso sonoro che segna l’intero lavoro si dipana con grande naturalezza ed eleganza, traducendo un’empatia quasi tangibile, instaurata nei diversi episodi artistici vissuti insieme. Sensazioni che ritroviamo nel ricordo di Ermanno Basso, produttore della CAM Jazz, il quale ci ha raccontato che: «Kenny arrivava in studio sempre con una borsa di musica scritta, nuova, sorprendente e bellissima. I musicisti avevano il massimo rispetto, sia della sua figura sia della sua immensa musica, e in particolare John, con il quale aveva un rapporto che andava al di là della musica stessa, fatto di una profonda amicizia basata sul rispetto. Bastava che si dessero un’occhiata per sapere dove andare, o un sorriso per illuminare la sala. Ho avuto il piacere, ma soprattutto il privilegio, di lavorare con loro, e oggi che entrambi ci hanno lasciato rimane la loro musica, ma mancano, mancano tanto».
martedì 27 ottobre 2015
Roma Jazz Festival 2015: Conferenza stampa di presentazione @ La Moderna, Roma 27.10.2015
Il direttore artistico del Roma Jazz Festival Mario Ciampà non usa giri di parole per introdurre la conferenza stampa di presentazione della trentanovesima edizione, in programma nella capitale dal 14 al 29 novembre, catalizzando l’attenzione dei giornalisti presenti a La Moderna di Roma verso le difficoltà organizzative di una kermesse tra le più importanti d’Italia: «Abbiamo avuto tante problematiche da affrontare, e non tutte sono state ancora risolte. Per la prima volta, in molti anni di attività, non abbiamo avuto il finanziamento comunale. Fare una manifestazione di questo genere senza fondi pubblici è veramente difficile. Roma non ha mai creduto nel jazz, questa è la verità. Noi resistiamo, anche se non so se arriveremo alla quarantesima edizione».
Note dolenti dunque, che rispecchiano le incognite e le difficoltà di un momento economico precario, ma in piena contraddizione con quella che è l’offerta artistica di questa edizione, che si preannuncia rilevante. In programma (qui il calendario completo con orari, location e prezzi dei biglietti) troviamo nomi di notevole interesse, contestualizzati nell’idea di quest’anno che mutua il claim dell’Expo di Milano, “Nutrire il Pianeta”, in “Jazz Feeds The Planet”, sottolineando come nel Novecento il Jazz sia stata la musica che ha alimentato e si è alimentata di tutte le altre. Queste le parole di Ciampà in merito: «Ogni anno proponiamo un filo conduttore, e il senso dell’edizione 2015 non è strettamente legato alla ristorazione, ma il messaggio che vogliamo trasmettere è che il Jazz si è nutrito delle musiche popolari di tutto il mondo, ma nello stesso tempo ha nutrito i musicisti facendoli arrivare a un’evoluzione musicale e a una globalizzazione di tipo artistico».
«Cerchiamo nomi freschi, che non siano i soliti presenti in altre manifestazioni» racconta il direttore artistico, e oltre ai musicisti italiani Fabrizio Bosso e Mauro Ottolini si alterneranno sui palchi dell’Auditorium Parco della Musica artisti provenienti da tutto il mondo. Tra questi Ciampà sottolinea la presenza di Gregory Porter «averlo in Italia è stato veramente difficoltoso», Ameen Saleem «sarà la sua prima apparizione europea con il gruppo The Groove Lab», Sarah McKenzie «mi permetto di definirla la nuova Diana Krall», e parallelamente troviamo in programma anche tre concerti in pianoforte solo al Teatro Torlonia, a ingresso gratuito, che vedranno protagonisti, la domenica mattina alle 11:15, nell’ordine: Domenico Sanna (15 novembre), Enrico Zanisi (22 novembre) e Fabio Giachino (29 novembre).
Inoltre, nel periodo del festival alcuni tra i migliori chef internazionali elaboreranno dei piatti ispirati ai musicisti in cartellone, mettendo in evidenza la loro creatività culinaria, mentre sono previsti anche degli sconti presso alcune realtà romane della ristorazione per chi presenterà il biglietto di ingresso al festival e viceversa.
Contatti: Roma Jazz Festival
Roberto Cecchetto Core Trio: “Live At Cape Town” [Nau Records, 2015]
In “Live At Cape Town”, l’album che inaugura la collana della NAU Records dedicata alle registrazioni dal vivo, Roberto Cecchetto si presenta sul palco con un nuovo trio, completato da Andrea Lombardini al basso elettrico e Phil Mer alla batteria. Per il chitarrista si tratta di un episodio artistico diverso dalle sue precedenti esperienze da leader, e per il quale ha scelto dei musicisti che potessero seguire le sue intenzioni, come ci ha raccontato: «Cercavo musicisti pronti a suonare qualunque cosa gli sottoponessi, e in tal senso Andrea e Phil sono davvero unici, perché in grado di suonare senza inutili formalismi. Avevo bisogno di musicisti scevri da egocentrismi deleteri per intraprendere un percorso musicale in continuo mutamento». Cambiamenti e scelte che hanno portato a una musica dal carattere originale, sincretica, che si sviluppa su diversi scenari espressivi e formalmente molto duttile. Nelle sette tracce proposte, dove ascoltiamo anche un equilibrato utilizzo di effetti, utili ad allargare lo spettro timbrico del trio, si incontrano situazioni in efficace contrasto, vedi la cantabilità melodica dell’iniziale Nowhere Man, gli slanci free di Core Awake, fino ai risvolti dance di Daylight. Roberto Cecchetto si dice soddisfatto del risultato ottenuto, in una serata particolare che ricorda così: «L’atmosfera era speciale, c’era molta gente dentro e fuori dal locale, il Cape Town Cafè di Milano; mi sembrava di essere in uno di quei posti a Brooklyn pieno di gente interessata ad ascoltare nuova musica. Inoltre, la sala regia era in una piccola stanza usata come magazzino per le bottiglie, e quindi, data la grande affluenza di persone, il tecnico audio Giacomo Plotegher ha dovuto fare i miracoli per far fronte ai continui rifornimenti di bevande».
lunedì 26 ottobre 2015
Roberto Magris: “Enigmatix” [JMood Records, 2015]
Continua a raccogliere consensi presso la stampa internazionale Roberto Magris, come dimostra un recente articolo apparso su Jazz Times, pianista da diversi anni attivo negli Stati Uniti e spesso perso di vista dai radar degli addetti ai lavori italiani. Interpellato sull’argomento, glissa senza dilungarsi più del dovuto: «La scarsa attenzione nei miei confronti è semplicemente dovuta alla mia sporadica presenza ai festival jazz italiani. Sul perché suoni così poco in Italia ci sarebbero alcune cose da dire, ma preferisco tralasciare...». Sta di fatto che il pianista triestino incide con buona continuità dischi di interesse, come il recente “Enigmatix”, edito dalla JMood Records, che rappresenta una sorta di nuovo percorso artistico dopo alcuni album dedicati a figure del passato, come i due volumi “Morgan Rewind – A Tribute To Lee Morgan”, e lavori svolti attorno a materiale dell’era Bebop, vedi “Aliens In A Bebop Planet”. Con queste parole Magris descrive la sua intenzione: «“Enigmatix” è una specie di “ritorno al futuro”, nel senso che dopo alcuni CD sul jazz tradizionale registrati per scelta del produttore della JMood Paul Collins, ho potuto ritornare a occuparmi della mia musica e riprendere il discorso “in avanti” che avevo lasciato in sospeso». Il lavoro contiene sette brani, dei quali cinque scritti da Magris, dove troviamo diverse diramazioni espressive e formali: la voce di Monique Danielle rende elegante il brano No Sadness; il basso di Dominique Sanders rilascia sensazioni funky in diversi passaggi; Magris è spesso voce principale nei temi esposti, sia in situazioni d’insieme sia quando introduce in solo J.F. No Key, un brano dove affiorano echi monkiani. La scaletta è chiusa da due rivisitazioni: My Cherie Amour di Stevie Wonder e dal brano degli Steely Dan Do It Again. Magris descrive così queste scelte: «Ho sempre coltivato un parallelo interesse per il rock e il pop e, generazionalmente, sono legato anche a quella stagione che non ritengo alternativa o contrastante con la mia esperienza nel jazz. Quei brani mi sono sempre piaciuti e ho deciso di farli “miei” suonandoli e proponendoli su un mio disco, anche perché nel jazz è naturale utilizzare ispirazioni provenienti anche da generi musicali diversi».
Nota: Di recente la JMood ha dato alle stampe anche l’interessante “An Evening With Herb Geller & Roberto Magris Trio”, un live registrato durante due concerti tenuti a Vienna e Novi Sad nel 2009.
giovedì 22 ottobre 2015
Dino Rubino: “Roaming Heart” [Tǔk Music, 2015]
In “Roaming Heart” troviamo Dino Rubino alle prese con un inteso e sentito lavoro in pianoforte solo, tra melodie lineari che richiamano il modo classico e sterzate vicine a un mondo di operare libero e fantasioso. Si tratta di un album interamente improvvisato in studio di registrazione, che mostra l’immagine intima e misurata di un artista capace di spaziare da illustri citazioni, vedi La canzone di Marinella di Fabrizio De André, a sentite dediche, come quelle esplicite a Luca Flores e John Lennon, fino a interpretazioni di pagine prese dalla storia del jazz come lo standard Stompin’ At The Savoy. L’insieme riflette la spiritualità e la concentrazione di Dino Rubino in un momento dove si espone senza barriere, come ha ben spiegato in una recente intervista per Jazzit: «Suonare in piano solo per me è come chiudere gli occhi e iniziare ad ascoltare la mia “voce interiore”; alcune volte mi arriva forte e chiara, altre invece si combina con rumori diversi e il suo suono diventa confuso e irriconoscibile. Ho cominciato a suonare in piano solo quando ho iniziato a sentire quella “voce interiore”: scegliere di fare un disco, e di conseguenza dei concerti, in completa solitudine rappresenta la consapevolezza di aver scoperto una parte di me che fino a poco tempo prima non conoscevo».
mercoledì 21 ottobre 2015
Francesco Diodati Yellow Squeeds: “Flow, Home.” [Auand, 2015]
Forte delle precedenti incisioni da leader a capo dei Neko e arricchito dalla frequentazione di scenari musicali inediti, come quelli proposti nel progetto Myanmar Meets Europe dove si incontrano la musica europea e quella birmana, Francesco Diodati mette insieme una nuova band per dare forma a “Flow, Home.”, un lavoro in studio dal particolare carattere timbrico. È il chitarrista stesso a descriverci questa nuova intenzione: «Volevo un suono acustico e un “basso” da usare in modo non convenzionale, mantenendo una scrittura originale, ma con un suono “bandistico”. Per questo motivo ho pensato di inserire la tuba, che ha la possibilità di creare dinamiche più incisive nelle parti basse della tessitura. Anche alla batteria volevo dei suoni diversi, compresi dei gong birmani. Inoltre, volevo usare la chitarra acustica e trattarla per ottenere suoni che ricordassero l’elettrica». Quella che ottiene è una miscela stilistica molto particolare, alla quale partecipano anche Enrico Zanisi al pianoforte, Enrico Morello alla batteria, Francesco Lento alla tromba e Glauco Benedetti alla tuba. In scaletta troviamo brani originali, firmati da Diodati, con l’aggiunta di Played Twice di Thelonious Monk, con la band capace di organizzare una breve rivisitazione dove il tema viene stracciato e ricomposto con audacia. L’insieme riflette atmosfere in equilibrio tra la cantabilità melodica di certi passaggi, vedi la conclusiva Casa do amor, e la tensione che si avverte negli incastri formali di una musica imprevedibile.
martedì 20 ottobre 2015
Roberto Zanetti Trio feat. Pietro Tonolo: “Minor Time” [Dodicilune, 2015]
Il trio capitanato dal pianista Roberto Zanetti, completato da Luca Pisani al contrabbasso e Massimo Chiarella alla batteria, ospita nelle nove tracce di “Minor Time” il sassofonista Pietro Tonolo. Ne deriva un lavoro basato su un processo compositivo particolare, come lo stesso Zanetti sottolinea nella nota stampa di presentazione: «Se non fosse per il titolo, forse non ci si renderebbe conto, al primo ascolto, che questo album è scritto in tonalità minore. Questa si cela nelle relative maggiori e nei modi a loro correlate, per un gioco compositivo che fa del blues minore il protagonista di questo disco». Al di là degli aspetti formali, il lavoro trova il suo tratto di distinzione nella cantabilità melodica, spesso messa in evidenza dagli interventi di Tonolo, il quale mostra la consueta precisione dinamica e una notevole flessibilità strumentale. Ne sono esempi lampanti i risvolti melanconici dell’iniziale Waltz Experience, ma anche quelli incalzanti di Gran Torino o quelli eleganti di una ballad come Chiarotta Mood, per un insieme che mostra diverse soluzioni espressive.
lunedì 19 ottobre 2015
Nicola Pisani: “Cypriana” [Autoproduzione, 2015]
Registrato dal vivo nell’Aula Magna dell’Università “La Sapienza” di Roma il 1 ottobre 2012, “Cypriana” contiene una partitura originale composta da Nicola Pisani, basata su temi selezionati dal repertorio tradizionale cipriota, in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Repubblica di Cipro. Il progetto, nato da un’idea del sassofonista Yiannis Miralis, si basa su un insieme che lega voce solista, voce recitante, coro, jazz ensemble e strumenti tradizionali, come oud e bouzouki, per un risultato capace di lasciare il segno, sia per la notevole cifra espressiva, sia per la cura delle strutture ritmiche, melodiche e armoniche. Si tratta di cinque movimenti che trovano significati estetici nella loro interezza d’ascolto, tra cantabilità melodica, risvolti d’introspezione, situazioni frenetiche e passaggi che lambiscono il silenzio. Ne deriva un lavoro multiforme, dove convergono tragedia e leggerezza, pieni e trasparenze, colori luminosi e profondi attimi di buio. “Cypriana” è anche il risultato dell’esperienza accumulata da Nicola Cipriani in diversi ambiti, come ha dichiarato in un’intervista a Musica Jazz: «Credo che questo progetto sia la sintesi di quarant’anni di vita immersa nella musica, una sintesi del mio modo di vedere, interpretare e vivere il mondo attraverso la musica».
venerdì 16 ottobre 2015
Rotem Sivan Trio: “A New Dance” [Fresh Sound, 2015]
Si completa con Haggai Cohen-Milo al basso e Colin Stranahan alla batteria il trio capitanato da Rotem Sivan, chitarrista elettrico di origini israeliane di stanza a New York City. Il suo terzo album “A New Dance” prevede una continua interazione strumentale tra i gli interpreti, i quali producono un sound che si rivela, in alternanza di umori, sia elegante sia aggressivo. Sivan propone una grana compositiva compatta, dove la sua figura è sì cardine d’insieme, ma anche componente di squadra, cosicché l’intero lavoro gode di diverse soluzioni espressive e formali. Nei dieci brani in scaletta, quasi tutti scritti da Sivan, trovano spazio anche delle rivisitazioni, come I Fall In Love Too Easily, per l’occasione impreziosita dalla presenza del sassofonista ospite Oded Tzur.
giovedì 15 ottobre 2015
Matteo Bortone Travelers: “Time Images” [Auand, 2015]
“Time Images” è il secondo lavoro da leader del contrabbassista e compositore Matteo Bortone, anche in questa occasione a capo del quartetto Travelers completato da Francesco Diodati alla chitarra elettrica e acustica, Antonin-Tri Hoang ai fiati e dal nuovo batterista Ariel Tessier. I temi proposti, perlopiù cantabili, sono spesso evidenziati da Antonin-Tri Hoang, il quale, alternando sax alto, clarinetto e clarinetto basso, vede in Diodati l’ideale elemento di dialogo e di contrapposizione timbrica. In scaletta troviamo, oltre agli originali di Bortone, anche la rilettura di Houses Of The Holy dei Led Zeppelin, dalla quale affiora il lato caratteriale più aggressivo del quartetto. L’album trova il suo motivo di interesse nell’ascolto d’insieme, attraverso il quale possiamo apprezzare le "immagini sonore" pensate da Bortone, che scorrono tra angoli d’introspezione e momenti più nervosi, come quelli descritti nell’iniziale Sunday Supermarket.
lunedì 12 ottobre 2015
Jasmine Tommaso: “Nelle mie corde” [AlfaMusic, 2015]
“Nelle mie corde” segna il debutto discografico di Jasmine Tommaso, figlia di Giovanni Tommaso, per l’occasione, oltre che al contrabbasso, anche nelle vesti di produttore artistico. La cantante, affiancata da Claudio Filippini al pianoforte, Marco Valeri alla batteria e Fabrizio Bosso alla tromba, ospite in diverse tracce, ricorre volentieri alla scat e mostra un timbro deciso, maturo, dalle dinamiche ben definite e si rivela a proprio agio sia nelle ballad sia nei movimenti dall’andamento sostenuto. In scaletta troviamo, oltre ad alcuni classici come Summertime, rivista con piglio e personalità, anche alcuni originali scritti da Jasmine, la quale aggiunge un testo in inglese ad Abbiamo tutti un blues da piangere, ripresa dal repertorio del Perigeo, dove possiamo apprezzare anche un nuovo arrangiamento pensato da Giovanni Tommaso, come fosse un ideale punto di dialogo tra passato e futuro.
giovedì 8 ottobre 2015
Mauro Ottolini Sousaphonix: “Musica per una società senza pensieri Vol. II” [Parco della Musica Records, 2015]
Spesso usato in maniera inappropriata, l’aggettivo “straordinario” calza a pennello a “Musica per una società senza pensieri vol. II”, l’album firmato dai Sousaphonix di Mauro Ottolini, figura poliedrica del contemporaneo panorama jazzistico. Detto delle intuizioni e delle intenzioni di questo progetto al momento della pubblicazione del primo volume, Ottolini, strettamente coadiuvato da Vanessa Tagliabue Yorke, che straordinaria interprete lo è di consueto, continua il suo viaggio nelle culture musicali del mondo, ottenendo un mélange sonoro di rara efficacia. Nell’album convergono, dando luogo a espressioni e colori singolari, sia il jazz in senso stretto, come nell’iniziale Cooking Breakfast For The One I Love, sia una serie di ingredienti stilistici che abbracciano la musica araba, le atmosfere folk, quelle latine e altri mille rimandi. L’insieme si rivela come una giostra sapientemente messa a punto, capace di creare sia disimpegno d’ascolto sia riflessioni profonde, soprattutto in un momento culturale e sociale più che mai delicato, in un certo senso riassunto e risignificato dai Sousaphonix che sviluppano un’idea che nelle note di copertina Luigi Onori sintetizza con la definizione di «musica universale».
Massimo De Mattia: “Meats” [Setola di maiale, 2015]
“Meats” contiene quindici tracce realizzate in flauto solo da Massimo De Mattia, il quale spinge la sua volontà espressiva in territori estremi, attraverso improvvisazioni che sanno stringere e rilasciare, assecondare o colpire in pieno volto senza schemi e preconcetti, senza ordine e istruzioni per l’uso. C’è della ferocia dunque, che genera libertà, sia nei momenti in cui l’artista stressa il proprio strumento ricavandone suoni aridi, sia quando ne trae ipnotiche linee melodiche attraverso soffi e respiri.
Principles Sound: “Lost In The Jungle” [Tukool Records, 2015]
Si colloca nell’area stilistica del jazz fusion l’album “Lost In The Jungle” firmato Principles Sound, formazione che vede in line up anche il sassofonista Bob Mintzer e il bassista Jimmy Haslip. In programma troviamo sette brani, tutti originali, che trovano il loro motivo di distinzione nei tratti melodici cantabili, nel pastoso groove ritmico, e negli slanci solisti inanellati, oltre che da Mintzer, da Dario Chiazzolino alla chitarra elettrica e Russell Ferrante alle tastiere. Gli andamenti non si discostano molto dal registro medio, e l’insieme si rivela come un buon compromesso tra la tecnica strumentale dei protagonisti e il carattere espressivo delle composizioni.
lunedì 5 ottobre 2015
Bob Dusi & Michele Iaia: “A Private Voyage” [AlfaMusic, 2015]
Troviamo Igor Butman al tenore, Marco Tamburini alla tromba e Marco Pacassoni al vibrafono nei credits di “A Private Voyage”, l’album firmato dal batterista Michele Iaia e dal chitarrista Bob Dusi. Si tratta di un lavoro strutturato in sette brani, ognuno dei quali racchiude un peculiare mondo formale e stilistico, dove confluiscono lineamenti latin jazz, soul, ballad e hard bop. A tenere il tutto legato insieme è la chitarra di Dusi, dal timbro confidenziale e swingante, mentre sono da sottolineare, oltre a un lavoro di gruppo sempre compatto, anche gli slanci solisti degli altri interpreti, come il solo torrenziale di Butman in Jazz All Night o quello elegante di Tamburini in Winter Waltz, per l’occasione al flicorno.
giovedì 1 ottobre 2015
Andrea Ferrario – Michele Francesconi: “Bologna Skyline” [AlfaMusic, 2015]
«Da cinque anni sto lavorando all’incisione di un disco stilisticamente vicino alla fusion. Ci sono strutture definite e complesse, con un quartetto simile a quello degli Yellowjackets, con basso elettrico, sax tenore, tastiera e batteria, con l’aggiunta di percussioni e un altro tastierista. Sto portando avanti questa idea con il sassofonista Andrea Ferrario». Raccontava queste intenzioni Michele Francesconi qualche tempo fa, quando “Bologna Skyline”, edito da AlfaMusic, era ancora in embrione. Quello che ascoltiamo è un album dalla grande profondità espressiva, spesso tradotta dal tenore di Ferrario, sia muscolare sia languido e melodioso, e dalle forme timbriche flessibili. Le dieci tracce proposte, tutte originali, riflettono melodie lineari e cantabili, e si ispirano agli scenari della città di Bologna, luogo dove il progetto è stato pensato e messo in atto.
venerdì 25 settembre 2015
Simone Graziano Frontal: “Trentacinque” [Auand Records, 2015]
C’è Dan Kinzelman al posto di Chris Speed al sassofono tenore nella nuova line up del quintetto Frontal, capitanato dal pianista Simone Graziano, che giunge con “Trentacinque” alla seconda incisione per Auand Records dopo l’apprezzato debutto del 2013. Il titolo di questo lavoro trova il suo significato negli anni che legano Simone Graziano a Firenze, città presa a simbolo per l’intera scrittura dell’album, ma anche nella combinazione del numero 3, a rappresentare gli album pubblicati dal leader, con il 5, unità metrica di quasi tutte le composizioni suonate dal quintetto. Al di là delle considerazioni concettuali, la musica di questo lavoro si svincola con estrema facilità delle immediate collocazioni stilistiche. Questo perché si tratta di un amalgama contemporaneo di significati dove convergono, prendendo poi ulteriori tangenti, una nutrita serie di elementi, sia formali sia espressivi. C’è la classe pianistica del leader, evidente nel solo spettrale di White Piano, ci sono le forme spigolose di Falk The Bow, e poi troviamo, senza possibilità di previsione, groove ipnotici, derive di elementi elettronici e soffi melanconici. Nella musica dei Frontal entrano, senza chiedere permesso, echi di Ligeti, l’hip hop e il Fender Rhodes, per una visione d’insieme ampia e ispirata.
giovedì 24 settembre 2015
Tom Hewson Trio: “Treehouse” [CAM Jazz, 2015]
Il giovane pianista e compositore inglese Tom Hewson è affiancato da Lewis Wright al vibrafono e Calum Gourlay al contrabbasso nell’album “Treehouse”, edito dalla CAM Jazz per la serie Presents, pensata per presentare i nuovi talenti del jazz internazionale. Dieci tracce in quaranta minuti, tutte originali, dove il trio mostra una peculiare dimensione timbrica, sviluppata soprattutto nell’interazione tra pianoforte e vibrafono, oltre a un’affiatata flessibilità espressiva, messa a punto in una lunga serie di esperienze dal vivo che hanno preceduto l’incisione, e un linguaggio che sa essere sia misurato sia pronto ad aprire il compasso dell’improvvisazione. Hewson espone perlopiù temi cantabili, anche se in scaletta non mancano licenze introspettive e spigolose.
mercoledì 23 settembre 2015
Lorenzo Masotto: “Seta” [AlfaMusic, 2015]
Quello che il pianista e compositore Lorenzo Masotto realizza in “Seta” è un mosaico di rara bellezza. Dieci tracce, tutte nate dalla sua penna, dove si incontrano, si alternano e si scambiano punti di vista, la musica per immagini, condotta su vette di grande ispirazione da pianoforte e archi, momenti in solo pianoforte di profonda espressività e malinconia, i fiati di Fabrizio Bosso e Mauro Ottolini, ospiti in alcune tracce, il duo pianistico tra Masotto e Stefania Avolino. In questo lavoro si avverte l’urgenza espressiva del pianista, e c’è netta, evidente, la misura tipica di chi non ha mai bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare.
lunedì 21 settembre 2015
Pericopes + 1: “These Human Beings” [AlfaMusic, 2015]
Ci sono i complimenti di Dave Liebman ed Enrico Rava tra le note di copertina dell’album “These Human Beings” firmato Pericopes + 1. Parole di elogio ampiamente meritate del trio, composto da Emiliano Vernizzi ai sax, Alessandro Sgobbio al pianoforte e Nick Wight alla batteria, perché le dieci tracce in scaletta propongono una musica dal taglio moderno, personale, e curata nel dettaglio formale ed espressivo. Nel complesso il lavoro si nutre delle immagini e dei significati che affiorano nei temi esposti da Vernizzi, certe volte istintivo e nervoso, ma anche estatico e lineare, degli ideali punti di contrasto esposti da Sgobbio, e dei fondali ritmici flessibili costruiti da Wight. Giochi timbrici, sovrapposizioni melodiche e incastri ritmici sono alla base del modulo sonoro multiforme costruito dal trio.
sabato 19 settembre 2015
John Taylor “2081” [CAM Jazz, 2015]
La musica di “2081” prende ispirazione da “Harrison Bergeron”, la storia pubblicata da Kurt Vonnegut nel 1961 e, come ha dichiarato Alex Taylor, cantautore e figlio di John, si tratta di «Un progetto di famiglia», vista la partecipazione anche di Leo Taylor alla batteria e di Oren Marshall alla tuba, musicista molto vicino ai Taylor. Le sei tracce in scaletta, originariamente scritte per un ottetto, trovano il loro segno distintivo in una particolare cubatura timbrica, che prevede pianoforte, batteria, voce e tuba. L’iniziale Doozy mostra le dinamiche espressive del quartetto e le relative possibilità formali, con il tema esposto prima dalla voce di Alex Taylor, poi ripreso in maniera personale sia da John Taylor, con screziature bluesy, sia da Marshall che improvvisa in duo con la batteria. Musica elastica, lontana da stereotipi, che rimanda continuamente scenari sonori diversificati e spiazzanti.
#Tramite una nota stampa, la CAM Jazz fa sapere che l’album è stato pubblicato in accordo con la famiglia di John Taylor, venuto a mancare dopo le sedute di registrazione, in omaggio alla sua vita e alla sua arte.
venerdì 18 settembre 2015
Ahmad Jamal: “Live In Marciac” [Jazz Village, 2015 cd + dvd]
“Live In Marciac” testimonia la performance di Ahmad Jamal al festival di Marciac del 2014, per l’occasione insieme a Reginald Veal al contrabbasso, Herlin Riley alla batteria e Manolo Badrena alle percussioni. Si tratta di un set dove sono eseguiti sia brani originali firmati dal pianista, sia una serie di rivisitazioni di celebri pagine della storia del jazz, come All Of You di Cole Porter. Il quartetto propone un mood in equilibrio tra mainstream, inteso come misura ed eleganza delle esecuzioni, e latin jazz, grazie alle percussioni di Badrena che riflettono un immaginario caraibico. Jamal mostra un piglio deciso, sia nelle esposizioni tematiche sia nelle finestre d’improvvisazione, spostando di continuo il mood dell’intera performance. La confezione include anche il filmato del concerto in formato DVD, con l’aggiunta di Morning Mist, dove emerge con maggiore evidenza la forza espressiva del quartetto, ripreso in maniera particolareggiata.
giovedì 17 settembre 2015
Third Reel: “Many More Days” [ECM, 2015]
È musica razionale quella messa insieme dal trio Third Reel, composto da Nicolas Masson, Roberto Pianca ed Emanuele Maniscalco, al secondo episodio discografico per ECM. Fiati, chitarra, batteria e pianoforte delineano scenari dove gli elementi estetici si sedimentano con lentezza, e nei quali le linee melodiche sono intese come tracce esili, contornate da silenzi e suoni che si sovrappongono con discrezione e misura. Maniscalco propone un drumming dai toni scuri, profondi, mentre Masson, alternando tenore, soprano e clarinetto, rimane spesso in primo piano, con eleganza ed estremo equilibrio timbrico. Pianca sfuma l’intero contesto con piccoli inserti, cesellando preziose filigrane dinamiche.
mercoledì 16 settembre 2015
Mission Formosa: “Mission Formosa [AlfaMusic, 2015]
Mission Formosa è il sestetto italo-taiwanese organizzato dal contrabbassista e compositore Giuseppe Bassi, che vede in line up anche Shen Yu Su al tenore, YuYing Hsu al pianoforte, Kuan Liang Lin alla batteria, Gaetano Partipilo all’alto e Francesco Lento alla tromba. La scaletta di questo lavoro, edito dalla sempre attenta AlfaMusic, propone dodici brani nei quali emerge sia l’ampiezza timbrica dell’ensemble sia una forza espressiva discreta, basata su temi introversi, vedi la melanconica “After Typhoon”, ma anche su momenti grintosi e dalle forti caratterizzazioni. Il lavoro si presenta curato in ogni aspetto formale, e trova il suo significato attraverso una scrittura misurata, in equilibrio tra momenti corali e parti aperte allo slancio solista.
martedì 15 settembre 2015
Dino Rubino: presentazione del nuovo album il 17 settembre a Parigi
Dino Rubino presenterà il nuovo album "Roaming Heart" il 17 settembre al Duc des Lombards di Parigi. Il disco, pubblicato quest’estate, è stato prodotto artisticamente dallo stesso Dino Rubino insieme a Paolo Fresu, mentre la produzione esecutiva vede la Tǔk Music affiancata da Pierre Darmon della label francese Bonsaï Music. La distribuzione italiana è come sempre curata da Ducale. L’album è stato interamente improvvisato in studio, e rappresenta un viaggio interiore con ogni brano evocato da un’immagine, un ricordo, un’emozione affiorati al momento della registrazione.
Florio – Bianchi – Intorre: “Roots Interchange” [Autoproduzione, 2015]
A seguito di un viaggio intrapreso tra Europa e Stati Uniti alla ricerca delle radici del jazz e del blues, il chitarrista e compositore Alessandro Florio realizza “Roots Interchange”, affiancato da Carmen Intorre alla batteria e da Pat Bianchi all’organo Hammond. In scaletta troviamo la rilettura di Straight, No Chaser, di Thelonious Monk, del quale è suonata anche In Walked Bud con la voce dell’ospite Gegè Telesforo, e cinque tracce originali, tutte firmate da Florio, dove emerge la grande empatia del trio, capace sia di momenti swinganti sia di morbide ballad dal sapore bluesy. Nel complesso il lavoro si distingue per la compattezza dinamica e per l’equilibrio tra i primi piani espressivi e le intelaiature ritmiche.
lunedì 14 settembre 2015
Teho Teardo: Esce il 19 settembre il nuovo album "Le retour à la raison"
Il progetto, registrato tra il marzo 2014 e il maggio 2015 nello studio romano di Teardo, è stato inizialmente pensato per l’esecuzione dal vivo. Presentato a Villa Manin, al Maxxi di Roma e al Museo Nazionale del Cinema di Torino, oltre che all'International Arts Festival di Galway, l’album vede la partecipazione anche di Joachim Arbeit (Einsturzende Neubauten), Joe Lally (Fugazi) e David Coulter.
I tre film di Man Ray cui Teardo si è ispirato sono “La Retour à la Raison” (1923), “Emak Bakia” (1926) e “L'etoile de Mer” (1928) e saranno anche proiettati durante i prossimi concerti: il 18 settembre al Teatro Gesualdo di Avellino, il 26 settembre alla Notte Bianca di Matera e il 31 novembre al Cinematica di Ancona presso la Mole Vanvitelliana.
Gary Peacock Trio: “Now This” [ECM, 2015]
C’è il pianismo di Marc Copland al centro del discorso espressivo di “Now This”, l’album firmato dal trio capitanato da Gary Peacock e completato da Joey Baron alla batteria. Tre fuoriclasse del rispettivo strumento che, messi insieme nella sala di registrazione del Rainbow Studio di Oslo, danno forma a un lavoro dai significati profondi e carico di forza espressiva, sviluppata attraverso melodie che riflettono sia sottigliezze soliste sia traiettorie di interazione collettiva. I temi, perlopiù presi dal repertorio di Peacock, oscillano dall’essenzialità di brani come And Now agli impulsi ballabili dell’iniziale Gaia, passando anche per la rilettura di Gloria’s Step, di Scott LaFaro, dove il trio trova un ideale punto di congiunzione con la grande tradizione del passato.
sabato 12 settembre 2015
Cristiano Pomante Quartet: “La storia” [AlfaMusic, 2015]
Fatta eccezione per Juju, di Wayne Shorter, la scaletta dell’album “La storia” si compone di soli brani originali firmati da Cristiano Pomante, giovane vibrafonista al debutto nel ruolo di leader. Ad affiancarlo troviamo un quartetto completato da Marco Giongrandi alla chitarra, Michele Tacchi al basso elettrico e Alessandro Rossi alla batteria. La scrittura di Pomante esalta gli aspetti melodici dei brani che, come il titolo dell’album lascia intendere, descrivono stati d’animo e situazioni tra loro concatenate, proprio come se si trattasse di una storia tenuta insieme da un filo logico. Il leader allarga lo spettro timbrico del quartetto attraverso l’utilizzo della marimba, in un insieme sonoro denso, a volte chiaroscurale, e fortemente caratterizzato dalla continua interazione tra i musicisti.
venerdì 11 settembre 2015
Antonio Sanchez & Migration: “The Meridian Suite” [CAM Jazz, 2015]
Edito dalla CAM Jazz di Ermanno Basso, “The Meridian Suite” è il quinto lavoro nel ruolo di leader di Antonio Sanchez. Il batterista e compositore, affiancato dal quartetto Migration, formato da Seamus Blake al tenore, John Escreet al pianoforte, Matt Brewer al basso, sia elettrico sia acustico, con ospiti Adam Rogers alla chitarra e la cantante Thana Alexa, realizza una lunga suite di cinque brani, dove confluiscono diversi aspetti espressivi, che abbracciano fusion, ballad, breakbeat, inserti di musica elettronica, forme aperte d’improvvisazione, slanci solisti e altro ancora. A tenere il tutto in coerenza di significati è il leader, capace di costruire fondali ritmici a volte discreti, come in Imaginary Life, e in certi casi prossimi alla saturazione, vedi Channels Of Energy. Tensione e rilascio dunque, in un insieme colmo di idee compositive che lo stesso Sanchez, nelle note di copertina, consiglia di ascoltare in sequenza, proprio per coglierne al meglio la forza complessiva.