Sono passati circa tre anni dal precedente “Torno a casa a piedi”. Qual è il punto di congiunzione con il nuovo “Così vicini”? La presenza di Saverio Lanza crea, tra i due album, una certa continuità musicale. La voglia è sempre quella di allargare le possibilità espressive, ed è il motivo principale per cui collaboro con lui, che è un ottimo musicista e direttore d’orchestra. Con Saverio si possono affrontare percorsi diversi. Ogni volta cerco di portare all’ascoltatore degli spunti nuovi, e per me questo è diventato un processo di lavoro indispensabile.
Dal punto di vista tematico sono due album legati tra loro? Se non ci fosse stato “Torno a casa a piedi” non ci sarebbe “Così vicini”. Il primo è un racconto di storie e di momenti di vita ripresi da lontano, da una prospettiva d’insieme, mentre il nuovo album, come s’intuisce già dal titolo, si prefigge di entrare all'interno delle tematiche. I brani rimandano a un’immagine stretta, che entra nel dettaglio e che racconta le storie in profondità. Forse, nella scrittura dei testi, sono più legata a questa seconda modalità, anche se entrambe mi appartengono. Sono contenta di essermi cimentata in un lavoro come “Torno a casa a piedi”, e forse un giorno ci tornerò, anche perché mi piace cambiare un po’ prospettiva, altrimenti ci si ripete all’infinito. Ho voglia di cambiare, a costo di perdere qualche ascoltatore. Questo doppio aspetto del mio modo di esprimermi mi permette anche nei live di avere delle possibili alternanze tra i brani, altrimenti sarei la prima ad annoiarmi.
Dall’ascolto del nuovo album emerge una sensazione di essenzialità, sia riguardo ai testi sia per la musica. Questo obiettivo è stato ottentuto con un processo di sottrazione molto attento? Mi fa piacere che si colga questo aspetto. C’era la voglia di dire con poco le cose più importanti. La conversazione a due risulta efficace senza troppi giri di parole. Quando ho ripreso gli appunti dei testi, ho setacciato il tutto per ottenere una sintesi. Non è un album scarno, ma più essenziale del precedente. I suoni e gli strumenti non sono un coro sotto la voce, fanno parte dell’immagine ravvicinata, ma la voce vuole essere vicina all’orecchio di chi ascolta e la musica le lascia volontariamente spazio. C’era l’esigenza di definizione. Gli elementi dell’album sono definiti e hanno ognuno una loro personalità.
Affiora anche una certa nostalgia, a cominciare dal primo brano in scaletta Così vicini. Nel testo si parla di un periodo della mia infanzia, ma Così vicini è, musicalmente parlando, una dedica d’amore, palese, agli anni Settanta. C’è nostalgia per un periodo in cui c’erano tempi e prospettive diverse, anche d’immaginazione collettiva. In genere però non sono per la nostalgia, e credo ci sia del buono anche nei nostri tempi.
Tempi caratterizzati dall’utilizzo della tecnologia, anche per i rapporti interpersonali, al punto che le conversazioni a due sono sempre meno frequenti. La tecnologia può darci una mano, senza dubbio, ma noi, per molti motivi, siamo un po’ primitivi nell’utilizzarla. La usiamo in modo improprio, non per quello che ci serve, ma spesso per complicarci la vita, anche nei rapporti con gli altri. Certo, la usiamo per lavoro, ma questo un po’ lo impone chi ci dà da lavorare.
A proposito di datori di lavoro, non collaborare più con una major ti ha reso più tranquilla? Ci tengo a dire che, fortunatamente, nel periodio di collaborazione con la EMI, in particolare con Enrico Romano, non ho mai avuto costrizioni e imposizioni da parte loro. Capisco che questo non sempre accade, ma voglio sottolineare il fatto che con loro mi sono trovata bene. Detto questo, so perfettamente che i network, per qualche strana ragione, non mandano molto le mie canzoni. Non avere certe preoccupazioni legate ai risultati, di vendita e di visibilità, aiuta, perché non ci sono parametri. L’unico obiettivo è fare la cosa migliore che puoi fare per chi ti ascolta. Anche per il nuovo album avevo questa idea in mente. Non è dunque cambiato molto da lavorare per una major o autoprodursi. Forse c’è solo un impegno economico diverso, ma il lato artistico è il medesimo. Inoltre, l’ufficio stampa di una major, per un artista come me, ha un impiego di tempo limitato; siamo in un periodo dove i dischi si vendono pochissimo, quindi, a mio avviso, questo era il momento migliore per rischiare in proprio.
Durante gli showcase di presentazione dell’album hai dichiarato: «La musica è soprattutto emotività». Per me la musica è sacra. Non so definirla in un altro modo. Cantare ha in sé una sacralità. Quando canto avverto questo, certo, c’è una parte di esibizionismo, ma c’è soprattutto la gioia di cantare. Non riuscirei a cantare una cosa che non mi piace. Avrei una crisi, mi ammalerei.
Parli di sacralità in un momento storico dove la musica è diventata un sottofondo, un prodotto usa e getta. Come vivi questa situazione? Lo vivo malissimo. Mi sto facendo paladina riguardo il sostegno agli artisti, a livello economico, da parte di chi ascolta la musica. Tante persone credono che una realtà come Spotify, o simili, possa dare un introito ai musicisti, ma, al di là dei grandi nomi, a noi non arriva praticamente niente. In Italia è difficile vivere con questo mestiere. È diventato un lavoro per chi se lo può permettere, non per chi ha la vera passione e la volontà di farlo. Appena posso cerco di spiegare che chi compra la musica, sia in forma fisica sia digitale, dà la possiblità all’artista di fare il suo lavoro. Dietro a un disco, fatto salvo per rari casi, c’è un lavoro pazzesco. Io curo mille aspetti di un disco, e sto attenta anche ai secondi che ci sono tra un brano e l’altro.
“Così vicini” è uscito anche su vinile. Sì, il vinile sta tornando di tendenza. L’ho fatto anche perché non avevo nessun vinile nella mia discografia e i miei ammiratori ne avevavo fatto richiesta. Mi fa piacere che sia uscito, perché il disco in vinile ha dei tempi e una qualità di ascolto diversi. Appena ho fiutato la vaga possibilità di farlo non me la sono fatta scappare.
Ti interessi anche di altre forme artistiche. In che modo influenzano la tua musica? La filosofia, anche se l’ho solo sfiorata, mi ha aperto mondi inespolrati. Poi c’è la poesia e, per tanti anni, il cinema è stato la mia fonte d’ispirazione. Moretti, Truffaut e Wenders, solo per citarne alcuni, con il loro modo di raccontare mi hanno spalancato molti orizzonti. Non so dire in cosa il cinema mi abbia influenzata, anche se i miei testi rimandano molto spesso a immagini. Poi ci sono brani, come Universo o L’infinito nella testa, che arrivano da dei saggi che ho amato sulla meccanica quantistica o la teoria delle stringhe, che ci mostrano soluzioni diverse rispetto a ciò che accade nelle nostre vite. Sto leggendo “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, dove ci sono punti di vista che mi influenzano, come d’altra parte la disciplina dello yoga, che pratico da una decina d’anni, che mi sta facendo molto bene.
Da piccola volevi diventare ballerina, hai ancora la passione per la danza? Sì, facevo danza classica da piccola e la danza mi è sempre piaciuta molto, come del resto il disegno. Poi ho scelto il liceo artistico, ma la danza è un’espressione meravigliosa, che coinvolge tutto il corpo. Mi dispiace non aver fatto più niente in tal senso. In un’altra vita farò la percussionista danzatrice, visto che le percussioni sono un altro mio amore.
È destinata a un’altra vita anche la collaborazione con Nigel Godrich? Tempo fa hai dichiarato che si tratta di uno dei tuoi desideri. Lui ha fatto cose meravigliose, come altri grandi come Brian Eno e Daniel Lanois. Il problema è economico, ma a voltre nella vita non si può mai sapere. Per esempio, in passato, avrei dovuto fare delle cose con Phil Manzanera, anche se poi non se ne è fatto nulla. Del resto non avrei mai pensato di finire su riviste importanti come Mojo, o andare alla BBC, o di avere recensioni in Inghilterra, quindi non si può mai sapere.
Nada, riferendosi alla vostra amicizia, ha detto: «Lei è come me, si dondola in disparte». Ti riconosci in questa affermazione, estrapolata dal brano che avete cantato a Sanremo Luna in piena? Ho digerito quella situazione dove, purtroppo, il microfono è rimasto spento durante l’esecuzione (ride, NdR). Noi siamo artiste che fanno i conti con quello che hanno voglia di dire, non con quello che gli altri si aspettano o vorrebbero farci dire. Lei ha avuto un percorso, per certi versi, più tortuoso del mio, perché è partita molto giovane, forse, anche contro voglia. Io ho iniziato a trent’anni, ho cominciato a scrivere tardi, però quello che ci accomuna e che abbiamo voglia di raccontare quello che ci fa vibrare.
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