mercoledì 27 giugno 2018

Quintorigo: “Opposites” [Incipit Records, 2018]

Troviamo il flicorno dell’ospite Enrico Rava in sei dei ventuno brani in programma nel nuovo doppio album dei Quintorigo, formazione che da sempre si distingue e si smarca da qualsiasi incasellamento stilistico, grazie a un approccio alla materia sonora singolare e mutevole. Ne è conferma questo lavoro, dove la band (Andrea Costa, violino; Gionata Costa, violoncello; Valentino Bianchi, sassofoni; Stefano Ricci, contrabbasso) si esprime sia attraverso la scrittura di brani originali, contenuti nel CD1, sia rivisitando repertori altrui, raggruppati nel CD2. Come di consueto l’apertura di compasso formale dei Quintorigo risulta essere ampia, e tra le cover troviamo pagine di Monk, la Space Oddity di Bowie, Duke Ellington o gli Rage Against The Machine. Il tutto è modulato e filtrato da fiati e corde, da percussioni e voce, quella di Alessio Velliscig e di Joe Pisto in You Go To My Head, e gli “opposti” anticipati dal titolo dell’album si rintracciano negli accostamenti timbrici e del modo di disegnare gli scenari melodici, a volte levigati da passaggi cantabili, ma all’occorrenza anche “graffiati” e distorti.
Nota: di questa è uscita è prevista a breve l’edizione in doppio vinile.

                                        

martedì 26 giugno 2018

Giulia Galliani Mag Collective: “Song For Joni” [Dodicilune, 2018]

La cantante Giulia Galliani rende omaggio alla figura di Joni Mitchell rivisitandone una parte del repertorio originale, come le celebri Blue e Woodstock, e la mingusiana Goodbye Pork Pie Hat, brano per il quale l’artista canadese scrisse le parole nel 1979. Al suo fianco troviamo una serie di musicisti, tra i quali la cantante ospite Camilla Battaglia, per un percorso espressivo dalle diverse sfaccettature. Durante l’ascolto ci imbattiamo in brani arrangiati con archi, movimenti prossimi all’area rock e tendenze jazz nel senso ampio del termine, con angoli d’improvvisazione e situazioni d’insieme che evidenziano interplay e groove di gruppo. La voce della leader sa essere timbricamente leggera e confidenziale, ma anche sorprendentemente graffiante, tra melodie cantabili, duetti giocati su esili equilibri e passaggi dalla folta notazione. 

Line up completa: Giulia Galliani (voc); Giovanni Benvenuti (sax); Andrea Mucciarelli (ch el); Matteo Addabbo (pf, Hammond); Marco Benedetti (b el, cb); Andrea Beninati (batt, vlc); Sara Battaglini, Camilla Battaglia (voc #1); Luca Latini, Olivia Rovai (voc #7); Katia Moling (vla #6); Rachele Odescalchi, Samuele Sapienza (vl #6); Giovanni Mancini (arr archi #1, #6).

domenica 24 giugno 2018

Bear Trip: “Bear Trip” [Emme Record Label, 2018]

Elettronica, tastiere, percussioni, ritmi sostenuti, melodie costruite attraverso un susseguirsi continuo di suoni e situazioni circuitali; sono queste le caratteristiche principali del Bear Trip, trio composto da Lewis Saccocci alle tastiere e synth, Gianmarco Tomai al basso e synth e Nicolò Di Caro alla batteria. In questo loro album omonimo gli interpreti mettono in mostra quarantacinque minuti di musica originale, perlopiù composta da Lewis Saccocci, che indaga l’interstizio espressivo tra jazz ed elettronica. In scaletta troviamo temi cantabil sorretti da una notevole potenza estetica, con beat insistenti, loop ipnotici e inserti di drum & bass. Non mancano passaggi misurati come avviene in Ipno-biru, traccia che emana un senso di “galleggiamento”, dove le coordinate di spazio e tempo vengono piacevolmente meno.

                              

giovedì 21 giugno 2018

Zadeno Trio: “The Step Forward” [Emme Record Label, 2018]

Esce per la sempre attenta Emme Record Label il secondo disco degli Zadeno Trio, formazione che vede in line up Claudio Jr. De Rosa al sassofono tenore, soprano e clarinetto basso, Alessio Bruno al contrabbasso e Jacopo Zanette alla batteria. Una lunga esperienza comune, tra concerti e prove in studio, porta alla luce un sound dai larghi contorni, che spazia dalle muscolari movenze hard bop a passaggi intimi e dalla maggiore introspezione. Fraseggi e scambi ripetuti di idee tra gli interpreti rendono interessante il lavoro, per un insieme composto da dieci tracce originali, ognuna delle quali porta nel proprio nucleo un’estetica ben delineata. Al centro dei primi piani espressivi ci sono i fiati di De Rosa, capace sia di pennellare linee di suono dense e cariche di note, sia di far avanzare il trio “a strappi” improvvisi o di prendere fantasiose tangenti soliste. 

                                         

martedì 19 giugno 2018

CAM Jazz: “A Night At The Winery”

Da un’iniziativa di Elda Felluga e Stefano Amerio, e sposata dal produttore della CAM Jazz Ermanno Basso, nasce il progetto “A Night At The Winery”: sei diverse formazioni, un solo, tre duetti e due trio, registrate dal vivo durante una settimana, dal 5 al 10 giugno 2017, presso delle prestigiose cantine vinicole del Friuli-Venezia Giulia. Un lavoro meticoloso e intenso, basato tra l’incontro tra jazz e vino, tra musica e sensazioni annesse, che ha portato alla realizzazione di sei CD dal vivo, curati sia nelle riprese audio sia nei dettagliati artwork impreziositi dalle note di Brian Morton e dalle foto di Elisa Caldana
 
Michele Campanella – Javier Girotto: “Vers la grande porte de Kiev” – Live At Jermann Winery
Quello proposto da Michele Campanella al pianoforte e Javier Girotto, che oltre al soprano utilizza in alcune occasioni il sassofono baritono, è un itinerario di diciannove tappe attraverso le quali si indagano i repertori classici di Igor Stravinskij, Sergej Rachmaninov e Modest Musorgskij, del quale è rivisitata la celebre opera Tableaux d’une Exposition. Al rigore e alla misura di Campanella si affianca la flessibilità espressiva di Girotto, che sovrappone linee melodiche a quelle del pianoforte o prende tangenti soliste capaci di gravitare attorno al tema senza mai snaturarne l’estetica.

Enrico Pieranunzi: “Wine & Waltzes” – Live At Bastianich Winery 
 L’unico lavoro in solo della serie lo firma Enrico Pieranunzi, con un programma di otto originali tra loro legati dal tema del valzer. Il pianista, che ringrazia Bacco in una nota interna al booklet del CD, mette in mostra una sapienza espressiva capace di travalicare stili, radici e influenze con capacità feline: si ascoltano echi blues, notazioni classiche, melodie “stropicciate”, temi cantabili e flussi di idee pressoché infinite. Fasci di luce, intensi e corposi, si alternano a lampi diradati nelle penombre della cantina Bastianich.

Gabriele Mirabassi – Roberto Taufic: “Nítido e obscuro” – Live At Venica & Venica Winery
Fatta eccezione per alcuni originali la scaletta messa insieme da Gabriele Mirabassi, al clarinetto, e Roberto Taufic, chitarra classica, tocca i repertori di grandi autori brasiliani come, tra gli altri, Guinga e Pixinguinha. La notevole empatia del duo, rodata da lunga frequentazione, produce movimenti melodici sinuosi, dall’accostamento timbrico sempre equilibrato per un insieme dove figura centrale e contorno appaiono sempre sapientemente sfumati. Al centro del discorso espressivo c’è la cantabilità melodica dei temi, tra accenti aperti e altri più chiaroscurali, per una morbida e continua sensazione di narrazione poetica.


Régis Huby – Bruno Chevillon – Michele Rabbia: “Reminescence” – Live At Livio Felluga Winery
È un fruttuoso incontro tra sonorità acustiche ed elettroniche quello che vede protagonisti Michele Rabbia, percussioni, Bruno Chevillon, contrabbasso, e Régis Huby, violino. Il trio utilizza effetti sulla strumentazione in modo da ampliarne sia le capacità timbriche sia i possibili sviluppi espressivi. Si ascoltano quattro movimenti, nei quali troviamo voglia di sperimentare, passaggi d’insieme, slanci solisti, e un continuo rimando di idee tra figura di primo piano e sfondo. Ci sono aspetti di sperimentazione e l’estetica che ne deriva porta nel proprio nucleo una costante atmosfera di inquietudine, soprattutto dovuta alle corde di Huby. I suoni, sempre scelti in maniera funzionale e mai banali, si affastellano andando a creare situazioni sempre nuove e dal notevole appeal concettuale. 

Francesco Bearzatti – Federico Casagrande: “Lost Songs” – Live At Abbazia di Rosazzo Winery
Si compone di soli originali firmati da Francesco Bearzatti la scaletta di questo lavoro svolto in duo con Federico Casagrande. Due musicisti dalla notevole sensibilità espressiva, che riversano in ogni traccia la loro cifra stilistica, per un insieme dove troviamo atmosfere morbide, temi cantabili e strade melodiche percorribili. C’è il tenore di Bearzatti, o il clarinetto in alternanza, in primo piano, mentre le corde di Casagrande cuciono tappeti ritmici e sfondi di grande eleganza e leggerezza. Non mancano alcuni momenti di maggiore attrito, ma che non tradiscono la misura e l’intimità del momento artistico.

Claudio Filippini – Andrea Lombardini – U.T. Gandhi: “Two Grounds” – Live At Le Due Torri Winery
Elettronica, piano elettrico, percussioni, effetti. Il perimetro timbrico disegnato da Claudio Filippini, Andrea Lombardini e U.T. Gandhi racchiude un’anima estetica vibrante e carica di groove, ma che sa anche essere “notturna” e fascinosamente misteriosa. In repertorio troviamo, tra gli altri, brani di Joe Zawinul o di Hermeto Pascoal, per quello che è un lavoro di profonda ricerca e costruito attorno agli equilibri espressivi tra parti scritte e libere interpretazioni. Jazz elettrico per comoda scorciatoia, ma con mille e più tangenti, diramazioni e inversioni formali e di approccio.



                                      

venerdì 15 giugno 2018

Enten Eller: “Minótauros” [Autoproduzione, 2018]

Registrato il 17 marzo 2018 al Museo Garda Ivrea, per l’edizione 38 dell’Open Jazz Festival, “Minótaurus” è il nuovo episodio discografico del quartetto Enten Eller che, come da tradizione, vede protagonisti Alberto Mandarini (tromba, flicorno, effetti), Maurizio Brunod (chitarra elettrica, effetti), Giovanni Maier (contrabbasso) e Massimo Barbiero (batteria, percussioni). Musicisti dalla notevole cifra artistica, forti di un percorso d’insieme duraturo, mutevole e carico di significati, che si ritrovano a suonare in una sala del museo mentre in altre quattro stanze danzano quattro danzatrici, ognuna in relazione con uno dei musicisti senza il contatto visivo. Una sorta di installazione che mette in contatto suono e movimento, musica e ballo, in un insieme multi espressivo. Quella che ascoltiamo è una performance notevolmente ispirata, segnata da melodie cantabili quanto prossime a una pensosa e chiaroscurale atmosfera. Si susseguono temi e interludi, dove si impastano suoni acustici e inserti elettronici, per un equilibrio estetico raro e prezioso. La foto di copertina è firmata da Luca A. D’Agostino.

martedì 12 giugno 2018

GV3: “Juttin’ Out” [Emme Record Label, 2018]

Ad animare le sette tracce di “Juttin’ Out” è un gruppo di giovani musicisti con le idee chiare e l’anima artistica immersa nella tradizione jazzistica dei grandi maestri del passato, con riferimenti, a grandi linee, all’area hard bop. Ospiti del trio capitanato dal pianista Giuseppe Vitale, e completato da Stefano Zambon al contrabbasso ed Edoardo Battaglia alla batteria, troviamo Giovanni Cutello al sassofono contralto e Matteo Cutello alla tromba. Il sound che scaturisce da questo felice incontro solca sentieri ballad, oscillanti swing, fervente interplay, passaggi di contemporaneità, e nel suo insieme il lavoro risente positivamente del talento e della voglia di esprimersi di questi musicisti, capaci di legare le proprie esperienze in un linguaggio comune di grande appeal. Tra i ringraziamenti troviamo una menzione speciale per Antonio Faraò, del quale è vertiginosamente riletta la conclusiva Black Inside.

lunedì 11 giugno 2018

Cosmo Quintet: “H7 – 25” [Cat Sound Records, 2018]

Dopo il debutto del 2014 “Step Up And Play” il Cosmo Quintet, capitanato dal pianista Felice Cosmo, torna a incidere per la Cat Sound Records dopo un lungo periodo di gestazione, fatto di concerti e della messa a punto del nuovo repertorio. In scaletta, oltre agli originali, troviamo alcune riletture, come il classico I Want To Talk About You, di Billy Eckstine, che il quintetto omaggia con un’ammaliante rilettura. Le intenzioni del Cosmo Quintet sono messe in evidenza già nel brano di apertura One Slice, nel quale il gruppo mostra i suoi aspetti di maggiore appeal: ritmica “elastica” composta da John Webber al contrabbasso e Michele Carletti alla batteria; il pianismo funzionale di Felice Cosmo; i soli torrenziali e carichi di espressività di Joe Maganrelli alla tromba e Luca Ceribelli al tenore. Il titolo dell’album si rifà al personaggio alieno del film “Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre” (Michele Lupo, 1979) e rappresenta un’ideale congiunzione tra la musica proposta e l’universo. 

                                     

sabato 9 giugno 2018

Alessandro Bottacchiari Quartet: “The Turning Point” [Tosky Records, 2018]

Il trombettista bergamasco Alessandro Bottacchiari giunge alla pubblicazione del suo primo disco da leader tramite la Tosky Records, etichetta sempre molto attenta alla qualità delle proprie uscite, curate in ogni dettaglio di produzione. In line up troviamo Antonio Vivenzio al pianoforte e Fender Rhodes, Marco Vaggi al contrabbasso, Tony Arco alla batteria e, in alcuni brani, gli ospiti Gabriele Comeglio (sax), Andrea Andreoli (trombone) e Sergio Orlandi (tromba). Quella proposta è una scaletta di quasi solo originali, fatta eccezione per le versioni di Dear John e My Foolish Heart posta in chiusura di programma. La scrittura di Bottacchiari è indirizzata verso il grande jazz mainstream degli anni Sessanta, rivisto attraverso una lente dinamica moderna, segnata da azzeccati accostamenti timbrici, interplay strumentale e un costante flusso melodico, cantabile e in equilibrio di assoli. In un insieme che riflette grande misura formale ed espressivo non mancano i passaggi più “infuocati”, che rimandano a un’idea di jam session ispirata e dai mille spunti creativi.

venerdì 8 giugno 2018

Nik Bärtsch’s Ronin: “Awase” [ECM, 2018]

In questa nuova versione dei suoi Ronin, il pianista svizzero Nik Bärtsch si avvale della presenza di Sha al clarinetto basso e sassofono contralto, Thomy Jordi al contrabbasso e Kaspar Rast alla batteria. “Awase” si compone di sei lunghe tracce composite: si tratta di moduli che Bärtsch propone ai componenti del gruppo e che si sviluppano attraverso ripetizioni formali e strati melodici che si incastrano andando di volta in volta a creare nuovi scenari, da situazioni sature e avvolgenti a passaggi dal carattere ambient. L’interazione strumentale tra gli interpreti sfiora la telepatia, e il tutto cresce con millimetrica e inesorabile precisione ed equilibrio. Nelle intenzioni dei Ronin non c’è alcuna fretta nel rincorrere lo spunto espressivo, e la musica si muove attraverso spazi dilatati, contorni ora visibili poi sfumati, e mantra penetranti. 

                                        

giovedì 7 giugno 2018

Elina Duni: “Partir” [ECM, 2018]

Registrato nel luglio 2017 negli studi La Buissonne, nella Francia meridionale, “Partir” è il nuovo lavoro per l’etichetta ECM della cantante e compositrice albanese Elina Duni. L’album si sviluppa attraverso dodici brani provenienti da repertori tra loro diversi: ascoltiamo, tra le altre, in apertura Amara terra mia, di Domenico Modugno, tradizionali kossovari e armeni, Je Ne Sais Pas di Jacques Brel. Il tutto è legato sia dal timbro levigato della voce, sia dalle atmosfere intime e raccolte che scaturiscono dalla performance in solo. Il canto, spesso trasparente e accennato è contornato da sfumature di pianoforte, percussioni e chitarra. Ne deriva un insieme ipnotico, dove emozioni e significati si affastellano lentamente, prossimi al diradamento espressivo. 
 
                                             

mercoledì 6 giugno 2018

Andrea Biondi Urban 5: “Matching Àlea” [Auand, 2018]

La realizzazione di Matching Àlea” [Auand, 2018] deriva da una serie di esperienze, studi e approfondimenti che il vibrafonista Andrea Biondi ha condotto in questi ultimi anni e che lo hanno portato verso una visione della materia sonora dettagliata e molto personale, derivante dalla frequentazione di repertori avanguardistici e di processi compositivi che abbracciano John Cage, Philip Glass o La Monte Young. Al centro dei concetti che segnano questo lavoro con gli Urban 5 (Daniele Tittarelli, alto; Enrico Bracco, chitarra; Jacopo Ferrazza, contrabbasso; Valerio Vantaggio, batteria) c’è l’utilizzo della casualità come punto di partenza degli sviluppi formali dei brani in scaletta, cosicché i temi proposti rimandano a situazioni che scaturiscono da un’organizzazione casuale, ma organizzata, di note, durate, parti improvvisate, movimenti d’insieme o singoli. Spiega nel particolare Biondi: «Nella trilogia dodecafonica (tre brani presenti all’interno di questo album, NdR) ho composto senza soluzione di continuità, con una sola serie dodecafonica generata da dodici bigliettini di carta dove avevo precedentemente scritto le singole dodici note. Il tema è stato creato per estrazione. Da quel momento ho utilizzato tutte le tecniche dodecafoniche schoenberghiane […] L’elemento jazzistico, cioè tema e variazione, è la cosa che tiene insieme il tutto, bilanciando scrittura e improvvisazione». 

                                             

martedì 5 giugno 2018

GB Project: “Magip” [Alfa Projects, 2018]

Scritte dal pianista Gilberto Mazzotti le otto tracce di “Magip”, il nuovo lavoro targato GB Project, il quartetto che allinea Alessandro Scala al soprano e tenore, Piero Simoncini al contrabbasso e Michele Iaia alla batteria, trovano nella cantabilità melodica il loro principale motivo di interesse. Carattere che emerge già dall’iniziale Bells In Dancing e che si amplia nei brani che vedono la presenza dell’ospite Simone Zanchini alla fisarmonica. Elemento che contribuisce ad allargare le maglie timbriche del quartetto, di per sé capace di una buona continuità di soluzioni, con l’alternanza di fiati e tra pianoforte e Fender Rhodes. Le partiture di Mazzotti prevedono anche espressioni a lunga gittata, come quelle di Aria mediterranea, brano che si protrae per undici minuti dove assistiamo al concatenamento di temi, velati da una sorta di “poetica malinconia”. In copertina è riprodotto un dipinto di Mauro Berretti. 

                                           

lunedì 4 giugno 2018

Lydian Sound Orchestra: “We Resist!” [Parco della Musica Records, 2018]

La registrazione dal vivo di questo album chiude il percorso creativo che ha portato la Lydian Sound Orchestra, diretta da Riccardo Brazzale, al compimento dell’opera dopo un anno di concerti, prove e messa a punto della scaletta proposta. Programma che vede, tra gli altri brani, le interpretazioni tratte dal celebre album “We Insist! – Freedom Now Suite” (Candid Records, 1960), di Max Roach, di Driva Man e Freedom Day, ed è pervaso da un senso di “voglia di libertà concettuale”, come lo stesso Brazzale indica attraverso la presentazione stampa: «Con un piccolo gioco di parole potremmo dire che la musica di questo disco è prima di tutto un impegno a resistere al disimpegno […] Resistere per essere liberi dalle mode, dal flusso delle correnti, dall’obbligo del conteggio dei "mi piace"». Intenzioni tradotte in musica da una condotta estetica che trova nella voce di Vivian Grillo un catalizzatore espressivo di notevole impatto, alla quale si accostano un ampio panorama timbrico, movimenti d’insieme compatti e carichi di groove, spunti solisti concreti e cantabili. L’opera riprodotta in copertina è firmata dalla pittrice greca Tania Dimitriadi.

sabato 2 giugno 2018

Drive!: “Drive!” [Auand, 2018]

Dietro la sigla Drive! troviamo Giovanni Guidi al Fender Rhodes e tastiere, Joe Rehmer al contrabbasso e basso elettrico e Federico Scettri alla batteria. Assistiti da Niccolò Tramontana, che si è occupato della produzione dei suoni dell’intero lavoro, i tre muovono in territori sperimentali dove si uniscono elettricità, dilatazioni, ruvidezze timbriche, scenari dub, ambient o carichi di groove. C’è della spontaneità espressiva, derivata dalle varie frequentazioni tra gli interpreti, e al centro dei meccanismi formali di questa realtà troviamo la camaleontica capacità di Guidi di spostarsi tra gli ambienti vitrei di casa ECM a situazioni dallo spirito underground come quello che anima questo nuovo gruppo. A volte lineare e cantabile, oppure labirintico e di non immediata interpretazione, “Drive!” è un lavoro sfaccettato, avvolgente e “moderno”, nell’accezione più lungimirante del termine. La foto di copertina è di Michele Palazzo.

venerdì 1 giugno 2018

Intervista a Roberto Magris

La recente pubblicazione targata JMood “Live In Miami At The WDNA Jazz Gallery” conferma le qualità di performer e compositore di Roberto Magris, pianista affiancato in questa performance dal vivo da Brian Lynch (tromba), Jonathan Gomez (tenore), Chuck Bergeron (contrabbasso), John Yarling (batteria) e Murph Aucamp (congas). Con l’occasione di questa nuova uscita abbiamo raggiunto il pianista triestino per parlare della sua attività e della sua visione della scena jazzistica internazionale


Hai ricordi particolari legati alle serata della registrazione di questo nuovo CD? 
È stata una serata “infuocata”, con musicisti ispirati e pubblico entusiasta. In alcuni brani qualcuno tra il pubblico si è pure alzato a ballare sui ritmi più latin jazz. Come dire, tutti erano a proprio agio e con il sorriso sulle labbra. C’era la situazione ideale per fare musica. Come band leader, di una band di lusso, mi sono sentito molto contento e soddisfatto, visto che abbiamo suonato anche parte di quello che è il mio storico songbook, come African Mood, Blues For My Sleeping Baby, Standard Life e Maliblues.

Perché avete deciso di pubblicare questo concerto? 
Il mio promoter negli Stati Uniti e produttore discografico della JMood era presente in sala e, dal momento che il concerto veniva registrato dalla radio WDNA per trasmetterlo in streaming, ha subito pensato di farsi dare il master. Poi, per il fatto che non avevo ancora in catalogo un “live” negli Stati Uniti e che tutti, musicisti e organizzatori, hanno dato la propria pronta disponibilità, è stato “inevitabile” far uscire questo concerto su CD. Ne sono particolarmente soddisfatto, perché consente di sentire effettivamente come suono dal vivo, senza rete, senza trucchi e senza inganni, e quale musica propongo come leader negli Stati Uniti. Una bella istantanea musicale che, tra l’altro, mi ha dato riscontri eccellenti come una recensione da quattro stelle su DownBeat.

Come si è formato il gruppo? 
Erano anni che il mio amico critico e giornalista Edward Blanco voleva invitarmi a Miami. Quando la cosa si è potuta finalmente concretizzare mi ha messo assieme un gruppo stellare, con i docenti jazz della Frost University di Miami, Brian Lynch, Chuck Bergeron e John Yarling, e due dei più bravi ex-allievi, e oggi musicisti di punta della locale scena jazz, Jonathan Gomez a Murph Aucamp. Sono abituato a lavorare così, incontrando musicisti diversi nelle diverse scene, come avviene ad esempio a Chicago, Los Angeles, Kansas City e anche in posti come Des Moines, nello Iowa, dove ho incontrato musicisti davvero ottimi e scoperto una tradizione del jazz che non conoscevo. Trovo particolarmente stimolante incontrare e lavorare con musicisti diversi e inaspettati. Per esempio, lo scorso anno sono ritornato a Miami per incidere un nuovo CD, che uscirà alla fine del prossimo anno, questa volta in studio di registrazione con un gruppo completamente diverso, con il sassofonista Mark Colby, il leggendario Ira Sullivan, il trombettista Shareef Clayton, e la ritmica formata da Jamie Ousley al basso e Rodolfo Zuniga alla batteria. Il titolo di questo CD sarà “Sun Stone”. A dicembre ci ritornerò nuovamente per concerti e un’ulteriore registrazione, ancora una volta con un gruppo diverso, probabilmente assieme al vibrafonista Alfredo Chacon. Ci sarà senz’altro da divertirsi anche se, nel frattempo, devo “produrre” nei prossimi mesi un ulteriore nuovo programma musicale.

Come si è sviluppata negli anni la collaborazione con la JMood, etichetta con la quale incidi spesso?
 Nel 2006 Paul Collins, impresario di Kansas City, mi organizzò dei concerti a Los Angeles assieme al contrabbassista Art Davis. Suonai alla Jazz Bakery e al Catalina Jazz Club di Hollywood. Le serate andarono molto bene e quindi venni di nuovo invitato a Los Angeles l’anno dopo per suonare e incidere assieme a Idris Muhammad, visto che Paul Collins nel frattempo aveva deciso di dar vita alla JMood Records, e pure a Kansas City per suonare e incidere con Art Davis e il batterista Jimmy “Junebug” Jackson. La sorpresa fu che sia Art Davis sia Idris Muhammad non avevano un loro repertorio né brani originali da suonare e incidere e quindi chiesero a me di “prendere in mano la situazione” e di decidere che cosa suonare. Quando poi venne il momento di decidere il titolo e i credits dei CD, sia Art Davis sia Idris Muhammad dissero che no, i CD non dovevano uscire a nome loro, ma era giusto che uscissero a mio nome visto che alla fine il leader ero stato io. Questo mi fece molto piacere e immediatamente guadagnare un bel credito, e identica situazione si ripropose quando fu la volta di suonare con il batterista Albert “Tootie” Heath e poi con il sassofonista veterano Sam Reed. Così, incisione dopo incisione, sono diventato di fatto e poi formalmente il direttore musicale della JMood, per la quale ho inciso a oggi quindici album “made in USA”, tutti usciti a mio nome. Una bella soddisfazione.

La tua attività si concentra dunque negli States. 
Colgo l’occasione per eliminare l’equivoco sul fatto che io viva in America, come ho letto anche su Wikipedia. Ho sempre vissuto e continuo a vivere a Trieste, ma è vero, sono spesso negli Stati Uniti, per concerti e registrazioni, con base principale a Kansas City, città di cui sono cittadino onorario. Ho anche riferimenti a Miami, Chicago e Los Angeles, dove negli ultimi anni ho suonato e inciso e dove, tra l’altro, ritornerò nei prossimi mesi. Va detto che l’America è grande e vi è una scena jazz praticamente in ogni città, di ogni dimensione, con migliaia di musicisti, dozzine di radio dedicate al jazz, svariate riviste, di cui DownBeat, Jazztimes, Jazziz, New York City Jazz Record, Jazzinside sono soltanto la punta dell’iceberg, e quindi c’è davvero tanto e tanto di diverso. Comunque, posso dire che proprio a partire dai miei primi concerti a Los Angeles nel 2006, mi sono ben inserito in certi ambienti del jazz americano. I critici e le riviste seguono e apprezzano il mio lavoro e soprattutto DownBeat mi riserva sempre una particolare attenzione, il che mi rende molto soddisfatto e motivato ad accettare i sempre nuovi progetti che mi vengono proposti dal mio promoter e produttore Paul Collins.

Come appare la scena jazzistica italiana vista da lì?
Generalmente vi è una innata simpatia e una positiva disposizione verso l’Italia, e conseguentemente verso il jazz italiano, che però è ben conosciuto soltanto da pochi e limitatamente ad alcuni nomi come Rava, Pieranunzi, Bollani, Fresu, Moroni, ai musicisti italiani che operano negli States, come Roberta Gambarini, Marco Pignataro, Antonio Ciacca, il sottoscritto e altri a seconda dei posti in cui ci si trova, o di origine italiana che si sono fatti un nome nella storia del jazz, vedi Tristano, Candoli, Tony Scott, Joe Pass. Posto quindi che la scena jazzistica italiana negli Stati Uniti è vista un po’ confusamente e da un presupposto tutto americano, posso fare un parallelo tra la variegata scena jazz americana, che è in realtà molto più mainstream di quello che si pensi in Italia, e quella italiana, che in realtà è molto più orientata verso il free/musica sperimentale di quel che si pensi in America. Certo, nomi come Mary Halvorson e Vijay Iyer, per dirne due oggi molto gettonati anche in Italia, sono stati sulle copertine delle riviste jazz statunitensi e sono oggetto di interesse e stima di gran parte della critica, ma non mi sembra e non ho la percezione che abbiano fatto breccia nel cuore degli appassionati statunitensi, neanche di quelli più giovani, che – se proprio dovessi fare una sintesi estrema – direi che parteggiano più come gusti e inclinazione, anche professionale, per la “corrente Wynton Marsalis” e il tipo di jazz che si insegna ed esce dalle centinaia di college e università che propongono corsi di jazz, peraltro sempre di alto livello e frequentati anche da europei e italiani. Un’altra percezione che ho, è che stia “culturalmente” sempre più sparendo un certo approccio al jazz di tipo afro-americano - ci sono musicisti afro-americani che, sentendoli, immagineresti “tipicamente” bianchi, quanto a impostazione e retaggio jazzistico, privi di qualsiasi riferimento al blues - e di conseguenza certi musicisti come Nicholas Payton o Logan Richardson calcano la mano su questo tipo di argomenti, secondo me a ragione. Direi che la loro giusta rivendicazione vada rivolta esclusivamente al mondo del jazz americano e alla società americana più in generale, non certo a noi europei, e soprattutto a certi loro colleghi che hanno sposato un percorso didattico e professionale di impronta soltanto quasi accademica: il jazz pronto a diventare una musica accademica, anche nelle sue cosiddette avanguardie, perdendo via via le originarie e fin qui sempre presenti connotazioni afro-americane che, anche secondo molti, ne sono la sua vera essenza. Qui c’è il vero “problema” e negli States, mi sembra che la scissione si stia consumando proprio a partire dalle basi di questa musica, dal concetto di tradizione e dai retaggi culturali di partenza. Ma, come dicevo, “il pubblico” mi sembra ancora schierato sul jazz “di base” e continua ad amare i grandi maestri e il jazz denominato, con connotazione sempre positiva, “mainstream”, rendendosi conto che il jazz è tradizione per gli Stati Uniti. In Europa non credo che siano ancora chiari questi aspetti e di conseguenza si immagini erroneamente un ritorno a un jazz di ispirazione anche politica. Non credo proprio. Oppure una felice unione con un certo modo europeizzante di intendere il jazz, ECM per fare un esempio banale, il che è in realtà un “abbraccio mortale” per il blues e il beat afroamericano e per l’armonia che proviene da tale imprinting afro-americano, due esempi per tutti: Monk e il mondo di Mingus.