martedì 29 agosto 2017

Jazzhouse: non solo jazz a Copenaghen

Tra i tanti club che animano la scena jazzistica della città di Copenaghen, il Jazzhouse, diretto da Bjarke Svendsen, è un posto dove gli appassionati possono scoprire nuove proposte e nuovi linguaggi, attraverso un cartellone costruito con accuratezza e capace di unire espressioni e generi tra loro distanti
 
●Un club all’avanguardia 
Fondato da alcuni volontari e appassionati danesi di jazz, il Jazzhouse, inizialmente battezzato come Copenhagen Jazzhouse, apre i battenti in Niels Hemmingsen Gade, 10 nel 1991, dove, da allora come oggi, si tengono oltre duecento concerti all’anno distribuiti sui due palchi che caratterizzano il club, uno dei quali intitolato a Herluf Kamp Larsen, il fondatore del Jazzhus Montmartre, la leggendaria location attiva tra il 1959 e il 1976. Negli anni, ospitando musicisti di calibro internazionale, il Jazzhouse è diventato il punto di riferimento nella capitale danese per i jazz fan di tutta Europa e non solo. La sua storia ho conosciuto fasti, ma anche momenti di estrema difficoltà, come nel 2011 quando un’inondazione ha costretto i gestori ad approntare una nuova progettazione e la completa ristrutturazione degli interni. Con Bjarke Svendsen, attuale direttore artistico e manager del Jazzhouse, abbiamo parlato del momento che il club sta attraversando: «Siamo un club di musica all’avanguardia. A Copenaghen ci sono diversi ottimi posti per ascoltare musica, ognuno specializzato in un determinato stile. Noi vogliamo essere un punto di collegamento tra generi, cercando di scoprire nuove espressioni e linguaggi. Raggiungiamo un pubblico che ha voglia di appassionarsi a nuove proposte, tra i nostri clienti abbiamo molti giovani tra i venti e i trenta anni che magari si avvicino al jazz per la prima volta. Questa caratteristica ci distingue e rende unica la nostra proposta». 

●Programmazione schizofrenica 
Svendsen tiene molto a sottolineare il carattere che il Jazzhouse ha raggiunto nel corso degli anni, anche passando per diversi approcci di programmazione artistica: «Dal proporre solo jazz in senso stretto, siamo passati alla situazione attuale dove il jazz presente in cartellone è inteso come filosofia e approccio musicale. I nomi che proponiamo sono legati dalla voglia di ricerca di nuovi territori espressivi. Volendo scegliere un termine la definirei una programmazione “schizofrenica”, che spazia dal free all’avanguardia passando per elettronica e altro ancora. Il cartellone non è definito dalla agenzie di booking e dai produttori, ma è basato su reali parametri di validità artistica». Questo tipo di mentalità ha portato il club ad attrarre un pubblico voglioso di conoscere situazioni nuove, fidandosi del lavoro svolto con attenzione da Svendsen e dai suoi collaboratori. Situazione che attrare sia una nutrita schiera di frequentatori abituali, sia un pubblico fatto di turisti, che una volta giunti a Copenaghen non si lasciano scappare l’occasione di passare una serata nel club. Si tratta della classica location che perfettamente si adatta all’ascolto ravvicinato e in pieno relax di un concerto, con i tavoli posizionati a ridosso del piccolo palco, luci soffuse e acustica studiata per far risaltare i dettagli della performance

●L’agenda di settembre 
Chiedere a Svendsen quali sono gli artisti che vorrebbe vedere sul palco del Jazzhouse significa metterne a nudo il suo lato più fantasioso e visionario: «Ornette Coleman, Robert Wyatt, ABBA, Arthur Russel e Tyshawn Sorey sono solo alcuni nomi di una lista infinita. Del resto, se non sei un sognatore non è il caso che tu svolga il ruolo di direttore artistico!». Intanto, al di là dei sogni, c’è un interessante presente che attende gli spettatori del club danese. A settembre sono previsti, tra gli altri, Colin Stetson (1), il sassofonista capace di unire grande spessore tecnico con un alto tasso di ricerca tra radici jazzistiche e noise; Jon Gibson Visitations (14), già collaboratore di artisti come Steve Reich e Arthur Russell e tra i fondatori del Philip Glass Ensemble, si tratta di uno dei padri del minimalismo moderno; e ancora, la songwriter Julie Byrne (12), l’orchestra danese Girls In Airport (16), la violinista Laura Cannell (21) e David Thomas (28), leader e mente creativa dei seminali Pere Ubu

Il programma completo del Jazzhouse.





credit: Torben Christensen

credit: Torben Christensen




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