Enrico Pieranunzi organizza un nuovo quartetto, completato da Ralph Alessi alla tromba, Donny McCaslin al sax e Matt Penman al contrabbasso, per dare forma alle otto composizioni, alcune delle quali inedite o incise con altre formazioni, dell’album “Proximity”, edito da CAM Jazz. Si tratta di un lavoro che si distingue sia per le dinamiche formali, rese particolarmente interessanti dall’assenza in line up di un batterista, sia per la profondità espressiva dei temi, spesso lineari e cantabili. I musicisti si muovono in una sorta di equilibrio ritmico apparentemente precario, dove la musica sembra “galleggiare” su fili invisibili di condivisione d’intenti. Ne deriva un album dove si apprezza, oltre alle qualità di performer di ogni interprete, soprattutto la stoffa pregiata che avvolge il pianismo di Pieranunzi, e quel suo modo di trascinare con garbo l’ascoltatore verso il fulcro del discorso creativo. Al pianista romano abbiamo chiesto le impressioni e i motivi riguardo questa nuova avventura artistica, e quelle che seguono sono una serie di “note a margine di Proximity”, più che mai preziose ed esplicative, oltre che piene di curiosità e spunti di riflessione:
«Ogni volta che incido un nuovo CD vivo una grande emozione. Non solo perché so che suonerò con musicisti di spessore, come quelli riuniti in “Proximity”, ma perché ho l’opportunità di scrivere nuovi brani o, anche, di recuperare materiali che stanno lì da tempo e che, per qualche motivo, non sono stati mai incisi, né sono stati mai suonati in concerto. È andata così anche per “Proximity”.
(In)canto, il brano d’apertura, è per esempio un pezzo che ho scritto tantissimo tempo fa, a metà degli anni Ottanta, ma che non era stato finora mai registrato e neanche mai suonato in pubblico.
Il secondo brano Line For Lee è un pezzo a cui sono particolarmente affezionato. È dedicato a un gigante del jazz come Lee Konitz, che nella mia storia musicale ha svolto un ruolo importantissimo. Nello scorcio finale degli anni Ottanta abbiamo fatto diversi concerti e un paio di dischi insieme, ed è nato anche un rapporto umano importante, che dura tuttora. Il brano è stato scritto nel 1987, come mio regalo-omaggio a Lee in occasione del suo sessantesimo compleanno. Anche questo brano, come (In)canto, non era mai stato registrato finora e sono felice che questo sia finalmente accaduto, anche se con un notevole ritardo rispetto a quella ricorrenza...
Cinque degli otto brani presenti in “Proximity”, tutti meno i due di cui ho parlato finora e Proximity, scritto per l’occasione, sono già comparsi in miei precedenti CD in trio, Sundays anche in un album in quartetto con Kenny Wheeler, Marc Johnson e Joey Baron. È un’operazione che faccio spesso: prendo brani che usualmente suono in trio e li arrangio per un’altra formazione. Mi piace sentire i miei brani interpretati da altri. Alessi e McCaslin sono dotati di una così grande personalità e di un approccio interpretativo così originale che i brani, comparati con le precedenti versioni, suonano come un racconto musicale completamente nuovo.
Simul, in particolare, è stato registrato in duo, con Ralph Alessi. La ragione di questa scelta è nella straordinaria affinità tra il mood del pezzo e lo specialissimo mondo musicale di questo formidabile trombettista. Ce ne siamo accorti subito, appena abbiamo cominciato a provare il brano, e senza esitare, ci siamo lanciati in un’avventurosa e divertita take in duo.
Una citazione a parte, infine, per Five Plus Five, il brano conclusivo del CD. Intanto, il titolo. Si tratta di un blues il cui il tema è piuttosto anomalo perché i periodi musicali sono tutti di cinque battute. Una sorta di scherzo che ho voluto fare a me stesso per sottolineare tutti i “cinque” che mi circondavano nei giorni in cui ho buttato giù il pezzo, sono nato il 5 dicembre ed erano i giorni intorno al mio cinquantacinquesimo compleanno, come dice chiaramente anche il titolo... A parte questo, la cosa interessante è che su suggerimento del produttore della CAM Jazz Ermanno Basso ho suonato in questo brano solo l’interno del pianoforte, evitando accuratamente... la tastiera. Se si presta attenzione ci si accorge facilmente che sullo sfondo delle belle improvvisazioni dei miei partner ci sono suoni strani, colpi e sfregamenti di corde più o meno sordi, e curiose risonanze. Ebbene, l’autore estemporaneo di queste stranezze sono io che, nella circostanza, ho indossato la veste del “percussionista”. Forse il motivo per cui ho accettato con entusiasmo questa situazione è “subliminale”: l’unico strumento che, a parte il pianoforte, mi sarebbe sempre piaciuto suonare è proprio la batteria... e d’altra parte almeno un brano con un po’ di percussione nel CD non ci stava male.
Oltre all’idea della mia inusuale performance come pianista/non-pianista anche il concept della formula drumless di “Proximity” è del produttore Ermanno Basso. Dopo i tantissimi dischi in trio registrati per la CAM Jazz, Ermanno mi ha proposto di realizzare un CD con un suono diverso, e l’idea mi è piaciuta moltissimo. In realtà non era la prima volta nel corso della mia attività che mi trovavo a suonare, comporre e arrangiare, per un gruppo senza batteria. Era accaduto all’inizio del decennio scorso, con i dischi per la Egea, tra i quali “Racconti mediterranei”, “Trasnoche” e “Les Amants”. In quei dischi la non presenza della percussione - oltre naturalmente al tipo di brani che avevo composto - orientava la musica decisamente verso una dimensione cameristico-europea. “Proximity” è invece un disco completamente “americano”, almeno così mi sembra, sia per i musicisti che vi suonano, sia per i materiali e, chissà, anche perché è stato registrato a New York e in uno studio storico come il Sear Sound.
Per concludere ci si potrebbe chiedere come può essere “americano” il materiale prodotto da un pianista... italiano. Si dice che il pianista in questione, da sempre, abbia nella sua musica e nel suo modo di scrivere e suonare due nature, una europea, l’altra americana. Due nature ben mescolate o separate? Chissà... E poi: potrebbero essere anche più di due? Non è facile trovare risposte. Magari anche, forse: ma è così importante trovarne?».
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