Michele Tino al sassofono contralto, Andrea Lombardini al basso elettrico, Bernardo Guerra alla batteria, e l’ospite Ambrose Akinmusire alla tromba, accompagnano la cantante e compositrice Camilla Battaglia nel suo nuovo lavoro “EMIT: RotatoR TeneT” (Dodicilune, 2018). Si tratta di un album basato sul concetto di “tempo”, che dà seguito al precedente “Tomorrow - 2 More Rows Of Tomorrow” (Dodiclune, 2016) e dove Camilla Battaglia conferma la sua originalità espressiva, tra melodie cantabili, forme inusuali e una buona dose di sperimentazione
Al centro di questo lavoro c’è il “concetto di tempo”, come del resto era accaduto nel precedente “Tomorrow-2more Rows Of Tomorrows” (Dodicilune, 2016). Quali sono delle differenze tra i due album?
Il Tempo è sicuramente un aspetto della nostra esistenza e della realtà - e contemporaneamente della musica - che mi affascina grandemente, anche se sono già alla ricerca di un altro parametro che possa ispirare la musica, così da smettere di annoiare tutti con questa “fissazione”. Nella musica di “Tomorrow” il tempo era descritto con un taglio personale. Si trattava di una prospettiva soggettiva su percezioni relative a esperienze personali che mi facevano interrogare sulla natura di questo grande contenitore: i fusi orari, le distanze (spazio-tempo), il valore che assegniamo alle esperienze (quantità-qualità), il divenire delle cose, l’evoluzione dei rapporti e delle peculiarità degli affetti. “EMIT: Rotator Tenet” è invece un percorso più oggettivo, la rappresentazione in musica di teorie scientifiche che ipotizzano l’esistenza di realtà molteplici che convivono in tempi e spazi diversi, annullando la nostra concezione di “passato-presente-futuro”. Direi che il trait d’union potrebbe essere rappresentato dal celebre aforisma di Albert Einstein che dice: «Quando un uomo siede vicino a una ragazza carina per un’ora, sembra che sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa accesa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività».
Sono partita da esperienze personali e soggettive per interessarmene poi da un punto di vista più specifico e universale.
I tuoi interessi extra musicali, come letteratura e filosofia, in che modo entrano nelle composizioni?
Lo spazio per la poesia occupato nelle composizioni è per me un’esigenza espressiva imprescindibile. Malgrado la realtà possa essere inquadrata dalla scienza per quello che è oltre alla nostra percezione, trovo sempre grande ispirazione e conforto nella coscienza universale contenuta nei versi dei poeti o nelle speculazioni dei filosofi. Ritrovo in questo bacino di immagini, parole e domande la stessa forza verso la ricerca della verità e di ciò che sta al di là dell’ovvio che si possono ritrovare nei risultati delle ricerche scientifiche.
La scelta di Ambrose Akinmusire come ospite del disco è una dettata da uno specifico motivo?
Ambrose rappresenta per me un’icona assoluta di ricerca in campo artistico. Uno strumentista con un suono unico e personale. Un’artista sensibile che non smette mai di chiedersi che cosa ci sia dopo o al di là di quello che ha già sperimentato. Ambrose è a mio avviso - e non solo mio, direi - una delle voci più forti della scena contemporanea sia come improvvisatore che come compositore ed è stato il rispetto assoluto verso la sua statura artistica a sancire la nostra collaborazione.
Dopo un inizio di percorso artistico caratterizzato dall’interpretazione di standard sta emergendo preponderante la tua voglia di sperimentazione. In tal senso, hai delle prassi che segui, un’idea di base, un concetto dal quale poi tutto si sviluppa?
Sono grata del mio percorso. La musica ha sempre fatto parte della mia vita e ho incontrato moltissime persone che hanno di volta in volta messo in discussioni le mie certezze, spingendomi a essere costantemente curiosa. Per me la musica è ricerca: ricerca di compositori, musicisti, perfomer in diversi ambiti artistici; ricerca di significato (trovare sempre un motivo valido almeno al 60% che risponda alla domanda: perché fare musica?); ricerca sul suono; ricerca sulle parole, direttamente connessa alla natura privilegiata del mio strumento che così direttamente può esprimere un messaggio.
Perché canti scalza?
Stare a piedi nudi è sempre stata un’abitudine confortevole, disprezzata nell’infanzia da tutta la famiglia all’unanimità. Cantare a piedi nudi per me è un incentivo per connettere senza filtri tutti gli elementi con cui lavoro come performer: testa (testo, messaggio, idee), pancia (suono, volume, intenzione) e terreno (esistenza e rappresentazione fisica del messaggio).
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