lunedì 24 settembre 2018

Walter Prati – Sergio Armaroli: “Close (Your) Eyes Open Your Mind” [Dodicilune, 2018]

Basso, violoncello, percussioni ed elettronica sono gli ingredienti base della formula messa a reagire da Sergio Armaroli e Walter Prati, artisti che si muovono nei territori dello sperimentalismo con estrema destrezza e dedizione. Il loro album licenziato da Dodicilune è un invito, già dal titolo, all’ascolto “aperto” e senza pregiudizi, nel quale si susseguono cinque passaggi dalla forma mutevole, e dove si incontrano piani sonori magmatici, capaci di estendersi, con elasticità creativa, da silenzi rarefatti a densità di notazione, tra discese oblique a improvvise impennate di umori. Il loro è un processo che trova la propria spina dorsale nell’improvvisazione, sempre funzionale all’estetica d’insieme, e in dialoghi a volte volontariamente incoerenti, che generano dicotomie timbriche o passaggi idealmente sovrapponibili, per un amalgama dal fascino ancestrale.

giovedì 13 settembre 2018

Frank Martino Disorgan Trio: “Level 2 Chaotic Swing” [Auand, 2018]

Edito da Auand “Level 2 Chaotic Swing” è l’album che fotografa il momento creativo del Disorgan Trio, realtà nata dalle idee del chitarrista Frank Martino che si avvale in line up della presenza di Claudio Vignali (pianoforte, Fender Rhodes, synth) e Niccolò Romanin (batteria, drum machine, synth). Il loro è un suono sviluppato attraverso un lungo periodo di sperimentazione, durante il quale l’elettronica è entrata a far parte di un arco espressivo vario e dal deciso impatto estetico, come lo stesso Martino ci ha illustrato. 




Come è nata e si è evoluta la collaborazione tra i musicisti del Disorgan Trio? 
Io e Claudio Vignali siamo cresciuti musicalmente insieme, ci conosciamo dai tempi del Conservatorio, mentre ho iniziato a suonare con Niccòlò Romanin in tempi più recenti. La passione per la formazione classica dell’organ trio mi ha portato, nel 2015, a proporgli una collaborazione di quello stampo, anche se fin dalla prima prova abbiamo capito che sarebbe andata diversamente. Nel tempo, i bassi dell’Hammond sono stati sostituiti dal basso synth e l’organo da pianoforte e Fender Rhodes, la batteria è stata implementata con la drum machine e ho iniziato a usare la chitarra otto corde al posto della sei, oltre che a campionare il piano, filtrandolo poi attraverso la mia catena di effetti. “Disorgan” mi sembrava l’appellativo più appropriato.

La Auand del produttore Marco Valente è l’etichetta con la quale avete inciso l’album “Level 2 Chaotic Swing”. Quando avete avuto la sensazione che si trattasse del momento giusto per entrare in studio? 
In questi tre anni abbiamo sperimentato varie soluzioni, dall'improvvisazione radicale a jazz standard e musica più strutturata, testando anche diversi tipi di strumentazione, soprattutto nel cercare di integrare il sound elettronico. Da settembre 2017 abbiamo riordinato il materiale e iniziato a fare un lavoro approfondito sull’arrangiamento di tanti brani che avevamo a disposizione, registrato tutta la pre-produzione e poi a gennaio di quest’anno abbiamo messo a punto il repertorio per il disco.

Qual è la caratteristica principale del vostro suono?
Lavoriamo molto sul rendere il suono “da studio” il più vicino possibile a quello “da live”, con le dovute differenze. Quando si inserisce l’elettronica non è sempre facile e il rischio “sovraincisione di cento tracce” è sempre dietro l’angolo; dunque, investire tanto tempo sulla produzione è stato fondamentale per capire come organizzare tutte le possibilità in modo funzionale all’impatto dal vivo. Inoltre, il fatto che i ruoli all’interno del trio siano divisi in modo molto specifico ci permette di avere un’ampia varietà di colori da poter utilizzare alternativamente o contemporaneamente; a volte potremmo sembrare un sestetto.

Avevate un obiettivo espressivo da raggiungere? 
Non ne abbiamo mai parlato esplicitamente, ma sicuramente l’idea prevedeva di realizzare una sintesi dei suoni e degli ambienti lavorati negli anni passati. Ci siamo concentrati molto sull’aspetto compositivo e dell’arrangiamento, limitando leggermente le parti solistiche, a cui lasciamo invece tanto spazio nei concerti. Il trio però è in costante movimento e stiamo già lavorando su materiale nuovo che inseriremo nei live; il bisogno di ricercare sempre soluzioni diverse dalle precedenti rende totalmente imprevedibile la direzione che potrebbe prendere il prossimo disco. Dunque l’obiettivo espressivo condiviso sicuramente è presente, ma il processo con cui si sviluppa risiede nel nostro subconscio.

Nelle note di copertina Enrico Bettinello fa riferimento all’imprevedibilità dello sviluppo estetico e formale delle tracce in scaletta. Come si sviluppa il percorso creativo e d’improvvisazione del trio? 
Pur essendo coordinato da me, il Disorgan Trio è un gruppo vero e proprio, in cui ognuno porta il suo contributo e propone possibili direzioni. “Level 2 Chaotic Swing” è partito quasi interamente da idee mie, ma si trattava per lo più di bozze o temi ancora non interamente definiti. L’apporto di Claudio e Niccolò è stato fondamentale a livello di sviluppo, sound e arrangiamento, che abbiamo lavorato e prodotto insieme durante i primi mesi. Gli ambienti su cui si svolgono le improvvisazioni sono solitamente realizzati partendo da cellule melodiche o ritmiche più o meno definite e sviluppate in gruppo. Ovviamente questo comporta un maggior numero di ore di prove, tentativi, discussioni e cambi di direzione, ma, nonostante la fatica, è l’approccio che preferisco, in quanto permette a ciascun elemento di contribuire alla musica in modo più naturale possibile. È una modalità molto “garage” e non tipicamente jazzistica, ma, se tutti i membri la condividono, contribuisce in modo decisivo all’affiatamento generale della band; e inevitabilmente tutto questo si riversa poi nella musica.

mercoledì 5 settembre 2018

Hank Roberts – Zeno De Rossi – Pasquale Mirra – Giorgio Pacorig - Filippo Vignato: “Pipe Dream” [CAM Jazz, 2018]



Esce per la CAM Jazz “Pipe Dream”, l’album che vede l’incontro in studio tra Hank Roberts (violoncello), Zeno De Rossi (batteria), Pasquale Mirra (vibrafono), Giorgio Pacorig (pianoforte) e Filippo Vignato (trombone). Abbiamo chiesto al giovane trombonista di illustrarci i tratti salienti di questa realizzazione dal particolare assetto timbrico e dal profondo scavo espressivo, in equilibrio tra lucenti melodie e passaggi immaginifici.




Il quintetto di “Pipe Dream” presenta una particolare organizzazione timbrica. Come è nata la collaborazione tra di voi?
Tutto nasce da un’idea di Zeno De Rossi, estimatore della musica di Hank Roberts da più di trent’anni. Per affinità umana e musicale ha coinvolto Giorgio Pacorig e Pasquale Mirra e successivamente anche me, per avere un’altra voce accanto al violoncello, e mi sono subito entusiasmato. È poi diventato un progetto collettivo e condiviso che ci sta dando molte soddisfazioni.

In che periodo vi siete frequentati e per quale motivo avete pensato in seguito di incidere?
Nei primi mesi del 2017 abbiamo lavorato al repertorio per qualche mese in quartetto senza Hank, che vive a Brooklyn. Abbiamo trovato la complicità del Festival Jazz &Wine of Peace di Cormons, che ci ha subito dato carta bianca per la première del progetto, avvenuto a ottobre 2017. Una volta avuta questa possibilità, decidere di andare in studio subito dopo è stata una naturale conseguenza, l’occasione perfetta. La CamJazz, sempre alla ricerca di nuovi progetti, si è mostrata interessata ed eccoci qui.

Come si è sviluppato il lavoro in studio?
Ognuno ha contribuito con un paio di brani, portando ciascuno un pezzetto di sé e del proprio universo e immaginando come adattarlo agli altri. Ne è risultato un insieme di brani eterogeneo e ricco di diversità, che abbiamo arrangiato insieme per adattarli alla strumentazione che è decisamente singolare, quasi cameristica. Stefano Amerio di Artesuono si è preso cura del suono del disco, riuscendo a riconsegnare fedelmente attraverso la registrazione quello che è il sound della band.

Qual è il segno distintivo di questo album?
È prima di tutto frutto di un incontro umano davvero meraviglioso. Ci diverte passare del tempo insieme e questo si riflette nella musica. Fin da subito anche Hank si è inserito con grande spirito in questo mood, il che ha favorito il lavoro collettivo e la condivisione di una visione comune riguardo al progetto. 

Il titolo e l’artwork di copertina hanno un particolare significato?
“Pipe Dream” significa letteralmente Sogno impossibile. Hank e Zeno si conobbero a Verona più di venticinque anni fa, Zeno era già un fan della sua musica e si sono tenuti sempre più o meno in contatto. Mettere in piedi un gruppo con lui è sempre stato uno dei suoi sogni - se non impossibile - molto complesso da realizzare per ovvi motivi logistici. Ora si è realizzato, ma rimane sempre un Pipe Dream. Il riferimento, inoltre, è ai sogni di ognuno di noi, al non abbandonarli ma coltivarli e prendersene cura. Le immagini di Francesco Chiacchio non potevano essere più adatte per accompagnare la nostra musica, che usiamo per rendere vivi i nostri sogni più intimi.