sabato 24 dicembre 2016

Bria Skonberg: Il nuovo album “Bria”

Tra le figure emergenti del panorama jazzistico internazionale di questi ultimi anni troviamo la canadese Bria Skonberg, cantante, compositrice e trombettista che ha da poco inciso il suo nuovo album “Bria” (Sony Music Masterworks, 2016), il primo per una major label

Classe 1983, cofondatrice del New York Hot Jazz Festival, cantante, trombettista e compositrice, Bria Skonberg è una delle figure emergenti del jazz internazionale, sia per la crescente presenza in festival internazionali, sia per il buon riscontro ottenuto dal suo nuovo album “Bria”, inciso per la Sony Music. L’abbiamo raggiunta per capire da vicino il suo momento artistico: «Questo nuovo album è davvero speciale, perché sento per la prima volta che la voce e la tromba raggiungono un grande equilibrio. Ho lavorato con il produttore Matt Pierson per trovare un suono costante, e lui mi ha aiutato a scegliere i brani più adatti a mostrare al meglio le mie qualità». La cifra stilistica della Skonberg, che cita Anita O’Day tra le sue voci di riferimento, è orientata al jazz dei grandi maestri come Duke Ellington o Sidney Bechet, e in questo nuovo lavoro si avvale di una band dove figurano Stefon Harris al vibrafono, Aaron Diehl al pianoforte, Evan Arntzen al clarinetto e tenore, Reginald Veal al contrabbasso e Ali Jackson alla batteria. Questo album è per la Skonberg un importante punto di svolta di un percorso che l’ha vista iniziare a suonare nella sua città natale Chilliwack, British Columbia, in Canada, fino ad arrivare a New York City nel 2010, dove si è confrontata con la fervente scena jazzistica della Grande Mela. Per lei è un momento entusiasmante, come ci ha descritto: «“Bria” ha già superato i miei sogni, sia perché mi ha aperto le porte di una grande etichetta sia perché sta riscuotendo molto successo, come dimostrano le classifiche di vendita. Sono entusiasta e sto già lavorando per una prossima uscita».

giovedì 22 dicembre 2016

Emilia Zamuner: Vincitrice del Premio Massimo Urbani 2016

La cantante Emilia Zamuner, classe 1993, ha vinto il Premio Massimo Urbani 2016, riservato ai migliori solisti jazz a livello internazionale, si sta mettendo in luce attraverso numerose performance dal vivo e sta preparando una nuova uscita discografica per la Philology Records

«Sono fortunata perché il lavoro che sto cercando di fare, quello della cantante, è tutta la mia vita e la mia più grande gioia. Spero di essere sempre felice con la musica e di prendermi tutte le cose belle che mi regalerà, ma soprattutto spero di fare felice anche chi mi ascolta». Si presenta così la cantante Emilia Zamuner, classe 1993, vincitrice del recente “Premio Massimo Urbani – Concorso internazionale per solisti jazz” e prossima alla pubblicazione di un album per la Philology Records, con Piero Frassi al pianoforte, Massimo Moriconi al contrabbasso e Massimo Manzi alla batteria, nel quale si confronterà con un repertorio di standard jazz. Per la giovane cantante napoletana, che cita Ella Fitzgerald come sua maggiore fonte d’ispirazione, si tratta del terzo album dopo il precedente “Vibez” (Autoproduzione, 2016), inciso in quartetto, e il debutto di “Ella And Louis” (Sound Live Records, 2015) in duo con Carlo Lomanto. Oltre allo studio del canto jazz nel suo bagaglio artistico troviamo anche quello del canto lirico, e questi fattori si riscontrano nel suo modo di porsi sia nella forma, timbricamente impeccabile, sia dal punto di vista della profonda capacità espressiva. Caratteristiche che, per esempio, emergono nette nell’interpretazione del brano di Hoagy Carmicheal The Nearness Of You, con il quale si è aggiudicata il Premio Massimo Urbani 2016, e che stanno portando la Zamuner all’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori.

giovedì 15 dicembre 2016

Lanfranco Malaguti: “Why Not?” [Splasc(H) Records, 2016]

Il chitarrista Lanfranco Malaguti è in compagnia di Romano Todesco alla fisarmonica, Nicola Fazzini all’alto e Luca Colussi alla batteria nel suo “Why Not?”, l’album nel quel rilegge alcuni standard, come All The Things You Are e Stella By Starlight, con piglio personale. Il lavoro si distingue per la trame timbrica dei brani e per la duttilità del leader, il quale alterna lo strumento elettrico a quello acustico, utilizzando anche particolari soluzioni di effetti. Quello che ne deriva è un quadro sonoro singolare, dove i brani trovano una nuova estetica, spesso lontana dalle linee melodiche originali. L’unico inedito in programma è Blues To Monica, firmato da Malaguti e che ben si amalgama al contesto d’insieme.

Felice Reggio Trio: “Chet’s Sound” [Splasc(H) Records, 2016]

Si completa con Massimo Currò alla chitarra e Manuele Dechaud al contrabbasso il trio capitanato dal trombettista Felice Reggio, che in questo lavoro rende omaggio a Chet Baker suonando alcuni tra i brani più amati e frequentati dal trombettista. Il trio propone un sound essenziale, a volte ridotto alla sola linea melodica, ottenuto grazie a un attento interplay tra gli interpreti, che con fare moderato, al limite del confidenziale, approcciano celebri temi, come Estate e My Funny Valentine. L’album non è mosso da intenzioni filologiche, e riflette un’evidente sensibilità espressiva, in particolar modo nei dialoghi melodici che si instaurano tra Reggio e Currò.

Mark Murphy: “Live In Italy, 2001” [Splasc(H), 2016]

Quello pubblicato dalla Splasc(H) è un concerto che Mark Murphy ha tenuto nel 2001 insieme a Marco Tamburini alla tromba, Mario Piacntini al pianoforte, Piero Levratto al contrabbasso e Marco Tonin alla batteria. In scaletta troviamo una manciata di standard, come All Blues posta in apertura o Summertime, e l’originale Miles scritto da Murphy. Il cantante, che si produce al pianoforte in Do Nothin’ Till You Hear From Me, dà prova di duttilità stilistica e formale: è confidenziale nelle ballad; risulta fantasioso e intraprendente nelle parti di improvvisazione, nelle quali ricorre spesso allo scat; si pone in primo piano non tralasciando però i dialoghi con il resto della band. In scaletta trova posto una trascinante Milestones, segnata da un ispirato solo di Tamburini.

Umberto Tricca: “Moksha Pulse” [Workin’ Label, 2016]

I sassofonisti Achille Succi e Giacomo Petrucci, il vibrafonista Nazareno Caputo, il contrabbassista Gabriele Rampi Ungar e il batterista Bernardo Guerra sono al fianco di Umberto Tricca nel suo album d’esordio “Moksha Pulse”. Per il chitarrista si tratta di un importante snodo del suo percorso artistico, nel quale mette insieme le influenze e le ispirazioni che lo hanno accompagnato finora: la musica indiana, con le sue particolari modalità ritmiche; il contrappunto tipico delle musiche del centroamerica; uno sguardo vigile sull’improvvisazione contemporanea. Linguaggi diversi che vanno a comporre un idioma comune tra i musicisti coinvolti, per un lavoro d’insieme che denuncia una spiccata personalità estetica, costruita attorno alle idee di Tricca, e che beneficia in maniera decisiva della duttilità, sia formale sia espressiva, degli altri interpreti.

martedì 13 dicembre 2016

Claudio Lodati Dac’Corda: “Boiler” [Splasc(H) Records, 2016]

Dieci tracce firmate da Claudio Lodati compongono la scaletta del suo “Boiler”, l’album che il chitarrista realizza insieme ai Dac’Corda, quartetto completato da Nicola Cattaneo alla chitarra, Giorgio Muresu al contrabasso e Toni Boselli alla batteria. Nel loro orizzonte timbrico trovano spazio anche alcune sonorità sintetiche, prodotte con tastiere ed effetti, e nell’insieme l’album si colloca in un non luogo stilistico a metà tra jazz rock, avanguardia e passaggi melodicamente cantabili. Non mancano i momenti dal piglio moderato, come quelli di Just Go There, nei quali emerge la sensibilità espressiva degli interpreti.

I Giganti della Montagna: “Io sono tre” [Improvvisatore Involontario, 2016]

Per I Giganti della Montagna, il trio composto da Ferdinando D’Urso, Lorenzo Paesani e Federico Sconosciuto, si tratta della terza prova sulla lunga distanza, e “Io sono tre” – titolo che rimanda all’incipit di Beneath the Underdog, l’autobiografia di Charles Mingus - rimarca le caratteristiche principali di questa formazione: particolare cubatura timbrica costruita con sax, violoncello e pianoforte; capacità di spaziare tra temi rigorosi e deragliamenti improvvisativi; profondo scavo espressivo che tiene conto di una certa tradizione eurocolta, rivista però in chiave contemporanea. Linee melodiche leggibili si dànno alternanza con momenti slegati dal tema, per un insieme che riflette un’estetica personale e lontana da soluzioni prevedibili.

Roberto Spadoni New Project Jazz Orchestra: “Travel Music” [AlfaMusic, 2016]

Sei brani scritti e arrangiati dal chitarrista Roberto Spadoni compongono la scaletta del suo “Travel Music”, l’album che vede la partecipazione di Giovanni Falzone alla tromba, Roberto Cipelli al pianoforte e Mauro Beggio alla batteria, e dell’intera New Project Jazz Orchestra. L’idea concettuale di Spadoni è quella della “musica da viaggio”, riguardo le composizioni nate durante i continui spostamenti a cui è sottoposta la vita del musicista, con note appuntate su un biglietto del treno, un menù di un ristorante o sul registratore vocale dello smartphone. Ne derivano temi melodicamente cantabili, dall’ampio orizzonte timbrico, nei quali trovano spazio suggestioni di diversa natura, dai passaggi riflessivi a quelli dalla forte impronta ritmica, dai “respiri d’insieme” dell’orchestra alle ficcanti uscite soliste. L’itinerario di questo lavoro ci conduce verso molte destinazioni, e attraversa anche lunghi momenti compositi, come nei venti minuti de La vita, in fondo, è un rincorrere emozioni da ricordare, una sorta di mini suite dove Spadoni dà prova di scrittura dalle profonde peculiarità espressive.

mercoledì 7 dicembre 2016

Manlio Maresca & Manual For Errors: “Hardcore Chamber Music” [Auand, 2016]

Nel suo “Hardcore Chamber Music” il chitarrista Manlio Maresca propone una scaletta di undici brani originali, suonati insieme ai Manual For Errors, composti da Daniele Tittarelli all’alto, Francesco Lento alla tromba, Roberto Tarenzi al pianoforte, Matteo Bordone al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria. Si tratta di musicisti che trovano nella duttilità espressiva e formale il loro comune denominatore, attraverso il quale sviluppano un linguaggio di jazz contemporaneo, pronto nel prendere direzioni mai prevedibili. Il lavoro gira attorno all’idea concettuale dell’esaltazione dell’errore, inteso come leva creativa verso scenari inattesi e inconsueti. Brani dalle melodie cantabili si danno alternanza con passaggi dal maggiore piglio introspettivo, situazioni caotiche e frenetiche lasciano spazio a momenti sornioni e riflessivi. La traccia conclusiva, Esercizi di memoria (Summer Version) vede la partecipazione di Domenico Sanna al Fender Rhodes.

Wolfgang Muthspiel: “Rising Grace” [ECM, 2016]

Oltre al leader Wolfgang Muthspiel in “Rising Grace” troviamo una formazione all star composta da Ambrose Akinmusire alla tromba, Brad Mehldau al pianoforte, Larry Grenadier al contrabbasso e Brian Blade alla batteria. Il programma prevede solo musica originale firmata dal chitarrista austriaco, che si divide tra strumento elettrico e acustico, fatta eccezione per Wolfgang’s Waltz di Brad Mehldau, compresa una sentita dedica a Kenny Wheeler dal titolo Den Wheeler, Den Kenny. L’album propone temi melodicamente cantabili, con quello della title track, passaggi dalle atmosfere sospese e sognanti, e un continuo interplay strumentale tra gli interpreti, ognuno dei quali porta contributi decisivi a un suono d’insieme morbido e costruito con estrema parsimonia timbrica.

Francesco Orio Trio: “Causality Chance Need” [NAU Records, 2016]

Come descritto nelle note di copertina le tracce di “Casuality Chance Need” seguono un principio comune di improvvisazione basata sull’elaborazione di brevi frammenti originali, per un lavoro d’insieme che il pianista Francesco Orio firma in trio con Fabio Crespiatico al basso elettrico e Davide Bussoleni alla batteria. La loro è una visione della materia sonora che travalica con destrezza gli argini di genere e stile, andando a indagare spazi e luoghi remoti, dove si incontrano melodie cantabili (alcune esposte in solo da Orio), ma anche figurazioni astratte o introspettive. In due brani troviamo la voce recitante dell’ospite Umberto Petrin, che conferisce al lavoro ulteriori spunti d’interesse espressivo e di variazione formale. L’artwork è firmato da Gianmarco Balestri.

sabato 3 dicembre 2016

Dejan Terzić: “Prometheus” [CAM Jazz, 2016]

Nel suo “Prometheus” il batterista Dejan Terzić è a capo di un quartetto completato da Chris Speed al sassofono, Bojan Zulfikarpašić al pianoforte e Matt Penman al contrabbasso. In scaletta troviamo dieci tracce, tutte firmate dal leader, che riflettono forme ed espressioni di contemporaneità jazzistica, per sommi capi legata alla tradizione, ma perennemente piegata verso una ricerca di timbri, di significati e di melodie del tutto originali. Terzić propone sia situazioni leggibili, con esposizioni tematiche concrete, come in Red, sia passaggi più introspettivi, riuscendo a creare un equilibrio estetico di valore e dalle forti connotazioni personali. Nella sua musica entrano echi folklorici balcanici, spinte ritmiche prossime al rock, intesa tra gli interpreti di matrice jazzistica. Nelle note di copertina il giornalista scozzese Brian Morton definisce l’impronta del batterista come: «Un’audace sfida alla divinità della musica».

Trygve Seim “Rumi Songs” [ECM, 2016]

Nel suo “Rumi Songs” il sassofonista norvegese Trygve Seim organizza una cubatura timbrica che include la partecipazione di Frode Haltli alla fisarmonica, Svante Henryson al violoncello e la voce di Tora Augestad. La scaletta prevede l’interpretazione di testi, tradotti in inglese, del poeta Jalaluddin Rumi con musica originale scritta da Seim. I primi piani espressivi sono a favore della voce moderata della Augestad, la quale si muove in un’ambientazione misurata, cameristica, costruita attorno a un costante controllo dei volumi e delle forme, per un insieme che riflette sensazioni di eleganza e contemplazione. Per Trygve Seim si tratta della realizzazione di un progetto costruito attorno all’arte Jalaluddin Rumi, pensato nel dettaglio e messo a fuoco grazie alla produzione artistica di Manfred Eicher.

venerdì 2 dicembre 2016

Frank Martino: “Revert” [Auand, 2016]

“Revert” è nella discografia di Frank Martino il suo primo album nelle vesti di leader. Per l’occasione il chitarrista e produttore organizza un quartetto completato da Claudio Vignali al pianoforte, Stefano Dallaporta al contrabbasso e basso elettrico e Diego Pozzan alla batteria. Una delle principali componenti timbriche ed espressive del lavoro è individuabile nell’uso degli effetti elettronici, che entrano in diverse misure negli otto brani proposti. Le tracce riflettono intenzioni d’improvvisazione, ma anche di strutture ben definite, per un insieme in equilibrio tra fantasia e rigore, precise scansioni e passaggi deraglianti. Oltre ai brani originali troviamo il rifacimento di Nude dei Radiohead, della quale è tenuta in piedi una costola melodica che emerge dopo un’introduzione di suoni slegati e rarefatti. Paolo Fresu, nelle note di copertina, definisce l’album: «[…] Un reverse da poter ascoltare anche al contrario infrangendo il tradizionale modo di sentire».