mercoledì 11 luglio 2012

The Last Fight: Miracles

Tre brani compongono l’EP Miracles, firmato dai The Last Fight, band che ha già all’attivo un lavoro sulla distanza che conta dal titolo Right of Wave. Le tracce qui proposte non aggiungono grandi novità alla tendenza stilistica del quartetto, che rilascia un sound dall’approccio rock molto deciso, come testimoniato dalla tambureggiante traccia d’apertura, che dà il titolo a questa pubblicazione. La seguente Kiss Cosmic è un brano dipinto con colori leggermente più tenui, anche se la voce di James F. Dini risulta essere l’elemento primario dell’espressione complessiva del gruppo, dietro al quale si muove uno scenario che trova la giusta tensione tra la chitarra elettrica e la sezione ritmica. I nostri giocano le loro carte sull’innesco di ritornelli a presa rapida, che però non sempre lasciano un segno tangibile, come nella conclusiva The Importance of Being Connected.

Clan Bastardo: Clan Bastardo

Quattordici brani, cantati in italiano e stipati in poco più di mezzora, compongono l’album d’esordio dei Clan Bastardo, formazione nata dall’unione dei fratelli Pino (voce e chitarra) ed Enzo Di Guglielmo (basso), ai quali si sono affiancati il batterista Dino Magnotta e il chitarrista Stew Page. Il loro sound è un punk-rock di chiara ispirazione Clash, rivisto e forgiato con approccio dinamico alla materia musicale, scolpita a furia di ritmi martellanti e andamenti che non lasciano spazio alle riflessioni. Questo lavoro arriva dopo un periodo di rodaggio, e denuncia la buona maturità della band campana, che sa farsi valere in particolar modo dal vivo, dove i testi graffianti e rabbiosi arrivano a coinvolgere il pubblico senza possibilità di scampo. Tra i brani più incisivi segnaliamo Whiskey e puttane, che sintetizza l’attitudine dei Clan Bastardo.

martedì 10 luglio 2012

Espresso Atlantico: Espresso Atlantico

Gli Espresso Atlantico danno alle stampe il loro primo album omonimo, che in poco più di mezzora riesce a mettere in mostra un arco espressivo capace di abbracciare diversi generi. Si tratta di un viaggio immaginario che tocca diversi lidi stilistici, come il tango di Tango negro e la tarantella di Tarantella aia sassa, i sapori dell’est Europa di La Balalaika di Kaluga e il valzer elegante di La Valse à Margaux. Rivisitazioni di brani di grandi artisti, come la splendida Escualo di Astor Piazzolla, e pezzi originali – firmati dal pianista Andrea Gattico – si fondono in una miscela inebriante di profumi e sapori, in un continuo cambio di scenario che cattura l’attenzione dell’ascoltatore di turno. Inoltre, in un’amalgama di sicuro interesse, non mancano le parentesi ballabili, come il cha cha dell’iniziale Donde estas Yolanda.

Antinomia: Illusioni ottiche

Gli Antimonia sono una rock band piemontese che finora si è fatta notare per una serie di live in ambito nazionale e per l’EP Sottobosco (2010). Illusioni ottiche è il loro primo album, nel quale riversano un’attitudine rock che rimanda in mente situazioni già esistenti del panorama italiano, leggi Litfiba e dintorni. Le undici tracce che compongono la tracklist formano un insieme nel quale la figura primaria risulta essere la voce profonda e graffiante di Riccardo Rizzi, dietro al quale si muove uno sfondo fatto di chitarra elettrica, tagliente e rugginosa quanto basta, e una rocciosa sezione ritmica. Testi in italiano, che parlano delle contraddizioni dell’attuale società, approccio deciso e tanta voglia di portare a galla la propria idea musicale fanno di questa band una realtà interessante, con le carte in regola per riuscire ad emergere.

Anna Cinzia Villani e MacuranOrchestra: Fimmana, mare e focu!

Da sempre attiva nell’ambito della riscoperta e della riproposizione della musica tradizionale salentina Anna Cinzia Villani conferma in Fimmana, mare e focu! la sua attitudine stilistica e la sua forza espressiva, attraverso un repertorio che spazia tra composizioni inedite e canti tipici della sua terra. Tredici brani che hanno come filo conduttore la figura femminile nell’immaginario popolare, spesso oggetto di canzoni, poesie e serenate, nei quali la voce della Villani rappresenta un primo piano di inarrivabile fascino, carica della giusta enfasi e di una cifra interpretativa notevole. A contorno la pizzica, ma anche situazioni chiaroscurali, accennate, e un contesto musicale che sfugge al facile incasellamento perché pieno di derivazioni e stili lontani, dalle semplici canzoni alle rarefazioni di matrice jazzistica.

Baye Fall: Immigration

Idrissa Sarr, in arte Baye Fall, è un rapper senegalese che dopo numerose collaborazioni nell’ambito hip-hop del proprio Paese è arrivato in Italia con il sogno di far conoscere la sua musica. Idea che è diventata realtà grazie alla label salentina 11/8, e concretizzata nell’album Immigration. Titolo emblematico, dal momento che i testi – cantati in inglese, italiano, francese e lingua wolof – parlano di immigrazione e di storie relative a un problema che non trova soluzione di continuità. Razzismo dunque, ma anche sfruttamento di persone attratte da una prospettiva di vita migliore che spesso si rivela fasulla, alle quali si rivolgono i tredici brani in programma. Tracce dietro le quali agisce Cesare Dell’Anna, compositore e direttore artistico di questo interessante progetto che si muove tra afrobeat, manipolazioni dub e rap in senso stretto.

venerdì 6 luglio 2012

Massimo Barbiero e Marcella Carboni - feat: Maurizio Brunod: Kandinsky

Interessante incontro tra le sonorità africane prodotte del percussionista Massimo Barbiero (Odwalla) con il dolce suono d’arpa di Marcella Carboni e le tensioni chitarristiche di Maurizio Brunod, Kandinsky si propone come un lavoro denso di significati espressivi, varietà formale e dallo sviluppo intrigante quanto coinvolgente. Si tratta di dieci brani originali – più la rivisitazione di Come Sunday (Duke Ellington) - legati tra loro dalla voglia di eplorare scenari inediti, intenzione che caratterizza tutte le uscite discografiche – sia di gruppo che in solo – nelle quale troviamo coinvolto Barbiero. In questo nuovo episodio c’è l’idea del suono che si materializza in colori e visioni inedite, tradotte da un triangolo strumentale che produce loop ipnotici, note staccate e sospese, andamenti irregolari, intrecci di corde e pelli piacevolmente sorprendenti.

Ada Montellanico: Suono di donna

Dieci brani di ispirazione stilistica lontana – si va dal pop di Carmen Consoli alla storia del jazz di Abbey Lincoln – compongono il nuovo lavoro firmato dalla vocalist Ada Montellanico, la quale ha affidato il complesso compito di arrangiamento a Giovanni Falzone, che a sua volta ha fatto leva su un gruppo di musicisti giovani e duttili, tra i quali Francesco Diodati (chitarra) e Alessandro Paternesi (batteria). Suono di donna si ispira all’universo poetico femminile e rivela un’anima profonda e coesa, dove la voce e la tromba svolgono ruoli primari, trovando nei suoni e nelle parole una grande liricità e una forza espressiva notevole. Il lavoro, giocato su timbri forti e atmosfere strumentali di grande impatto, presenta diversi momenti di interessante sviluppo formale, anche quando, come nell’originale appositamente composto (Meteora), i toni si fanno più soffusi e pensosi.

Alessandro Bertozzi: Crystals

Undici brani originali compongono Crystals, l’album nel quale il saxofonista Alessandro Bertozzi propone una miscela stilistica che include derivazioni funk, venature soul e mainstream jazz. Il leader si distingue per i suoi lunghi soli, nei quali sviluppa melodie dalla grande canatabilità, come nell’iniziale Da Vince Blues, che formano il primo piano di una scenario nel quale compaiono diversi musicisti come, tra gli altri, Andrea Braido, John Patitucci e Hiram Bullock, splendida voce in Why Must I Wait. O come Randy Breacker che segna in maniera indelebile Falling Leaves, uno dei momenti più intimi e introspettivi di un programma che emana una notevole quantità di groove e passaggi dal tiro ritmico più importante. Si tratta di un lavoro interessante, perché costruito con intelligenza da Bertozzi e con grande unione di intenti malgrado un’affollata credits list.

Max De Aloe Quartet: Björk on the Moon

L’armonicista Max De Aloe innesta nelle tessiture timbriche del suo quartetto – completato da Roberto Olzer (piano, Fender Rhodes), Nicola Stranieri (batteria) e Marco Mistrangelo (contrabbasso) – il violoncello barocco di Marlise Goidanich per dar vita a Björk on the Moon, un progetto incentrato sulla musica della cantante islandese. In tal senso non siamo al primo tentativo che si registra nell’area jazzistica, ma il lavoro di De Aloe si distingue per la grande voglia di allargare gli orizzonti del repertorio, facendo proprio il nocciolo compositivo per poi intraprendere percorsi che non ti aspetti. Così Hyper Ballad diventa un pretesto per un’improvvisazione collettiva di grande spontaneità; Overture un episodio dall’approccio poetico; Come to Me vira in territori melodici più ampi e solari, in un insieme che ha diversi motivi per farsi ricordare.

Bebo Ferra: Specs People

Per il suo nuovo lavoro Bebo Ferra sceglie l’assetto chitarra-Hammond-batteria, dando vita a un percorso interessante composto da brani originali, sconfinamenti in ambito rock (Satisfaction) e nella musica da film (Gran Torino). Un insieme tenuto legato dal comune senso della profondità espressiva, tradotta dalla chitarra elettrica del leader – molto melodica, ma anche tagliente all’occorrenza - e dal tipico suono dell’Hammond, capace di avvolgere il tutto in un’atmosfera inevitabilmente vintage. Tra le cose migliori di Specs People va segnalata l’iniziale Scuro, dove il leader rilascia sia valore tecnico che comunicativo, in un brano che ben riassume l’intenzione di spaziare tra generi e approcci stilistici diversi. Il trio si muove da situazioni cullanti ad altre intrise di psichedelia, in cinquanta minuti che sanno come rapire l’attenzione di chi ascolta.

sabato 23 giugno 2012

Lips Against the Glass: Vivid Colour

La sempre attenta Seahorse dà alle stampe “Vivid Colour”, l’album di debutto dei Lips Against the Glass, band che si muove in territori post rock, valorizzati e resi più accattivanti da un apporto elettronico deciso, azzeccato sia per rimarcare le trame ritmiche che per dare maggiore risalto alle lunghe ellissi melodiche che caratterizzano buona parte della scaletta. In programma troviamo dieci tracce, tra le quali va messo un asterisco vicino a “56”, brano che più di altri riesce a catturare l’attenzione di chi ascolta, proprio perché condensa le attitudini sopra elencate, con un approccio alla materia musicale istintivo, irruento e molto ben messo a fuoco. La musica prodotta dai Lips Against the Glass vira spesso su andamenti sostenuti, ipnotici e ripetitivi, cosicchè può risultare adatta anche in un contesto dance-oriented (“Tremolo”) o ambient (“Keep Focus”), anche se – nel complesso – i ragazzi prediligono i toni chiaroscurali, le figure in penombra, da osservare a lungo prendendosi il tempo necessario.

Patrizio Trampetti: Qui non si muove mai niente

Da sempre divulgatore della musica tradizionale, prima con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma soprattutto nella lunga collaborazione con Edoardo Bennato, Patrizio Trampetti dà alle stampe un album cantautorale dalla grana espressiva notevole, impreziosito dalla presenza di ospiti di rilievo e curato in fase di produzione da Jennà Romano dei Letti Sfatti. Nei dieci brani di “Qui non si muove mai niente” va sottolineata la voce di Silvia Romano, capace di regalare eleganza con un intervento dal sicuro appeal emozionale in “Sono un animale”, e quella altrettanto aggraziata di Mena Casoria in “Perdere tempo”. Tra le cose migliori c'è la rilettura del brano di Ivan Graziani “Scappo di casa”, probabilmente il passaggio più leggero della scaletta, e la più aggressiva “Italian Kaos”, nella quale fanno la loro comparsa i partenopei A’67. Nel complesso si tratta di un insieme interessante, nel quale Trampetti propone brani originali e cover piegate verso una propria identità radicata nel tempo, legati insieme dai timbri caldi, dai ritmi e dalle atmosfere mediterranee, che trovano la loro sintesi in “Al mercato delle parole”, dove compare la tromba di David Larible. Chiude questo lavoro “Portugal”, nella quale Trampetti dialoga con Gilberto Gil, e dove la lingua portoghese e il dialetto napoletano si fondono in un esempio riuscito di commistione tra culture diverse.

venerdì 22 giugno 2012

Peppe Fonte: Secondo me è l’una

Influenzato in maniera decisiva dall’incontro personale con Piero Ciampi – al quale, nel precedente lavoro “Quello che ti dirò”, aveva dedicato la cover di “Sobborghi” – Peppe Fonte arriva alla pubblicazione del nuovo album “Secondo me è l’una”, dopo un percorso che lo ha visto impegnato, oltre che nella composizione, in diverse live performance. Dodici brani, arrangiati dal maestro Riccardo Biseo, nei quali si susseguono scenari di vita personale e sociale, descrizioni di rapporti, situazioni quotidiane ed eventuali. Il suo è un modo che si allaccia con quello del cantautorato italiano: atmosfere chiaroscurali al limite dell’essenziale; momenti timbricamente più aperti e solari; voglia di costruire melodie cantabili con testi di buonissima levatura, che non conoscono il qualunquismo. Peppe Fonte ha stile. Fatto di cose semplici, ma mai semplicistiche, che insieme riescono a formare una piacevole alternanza.Nella lista dei crediti sono diversi i nomi noti: tra gli altri Francesco Puglisi al basso, Derek Wilson dietro i tamburi, Pino Iodice alle chitarre, per un contesto capace di formare lo sfondo mutevole alla voce di Fonte, a sua volta pronta nel risultare confidenziale o di liberarsi in ritornelli aggreganti.

giovedì 21 giugno 2012

Lüger: Concrete Light

Il quintetto madrileno Lüger – già in vista in alcuni festival importanti come il Primavera e il South By Southwest - dà seguito all’omonimo debutto del 2010 con un album che ne ribadisce l’ottimo approccio stilistico, a metà strada tra rock tendenzialmente industrial (“Dracula’s Chauffeur Wants More”), estasiante psichedelia e una dose di riconoscibilità melodica che non guasta. Sono questi gli elementi che emergono dalle sette tracce di “Concrete Light”, lavoro dove si alternano atmosfere sinistre, come in “Zwischenspiel”, nella quale fa bella mostra il sitar di Daniel Fernandez, e sintesi elettroniche, come nell’iniziale “Belldrummer Motherfucker”, un pezzo strumentale che scomoda paragoni fin troppo scontati con la serialità della scena kraut di settantiana memoria. I ragazzi si muovono in maniera decisa attraverso un percorso mai scontato, che li vede spingere spesso sull’acceleratore espressivo, come nella vorticosa e ipnotica “Monkey’s Everywhere”. “Concrete Light” non mostra evidenti punti deboli, rimanendo in costante tensione espressiva, che a sua volta richiede a chi ascolta un piccolo sforzo di attenzione.

mercoledì 20 giugno 2012

Tindara: Quando parlo urlo

I Tindara conoscono il loro debutto negli undici brani che compongono “Quando parlo urlo”, un album di rock italiano molto curato sotto l’aspetto produttivo (firmato da Luca Bergia dei Marlene Kuntz), che porta in serbo diversi motivi di interesse e alcuni passaggi trascurabili. I nostri si fanno largamente apprezzare quando propongono un suono d’insieme avvolgente, pronto nel colpire a fondo grazie ai ritornelli piazzati con decisione, come in “Ho scelto il nero”, mentre si perdono in un’anonima sufficienza quando i toni si fanno più compassati, come nella title track. A emergere è sempre più la voglia di urlare anziché di parlare, attitudine che affiora in “Sopra la delusione”, tra i momenti meglio messi a fuoco di una scaletta apprezzabile, alla quale fa da relativo poco convincete “Sogna che ti passa”, brano con atteggiamento pop leggermente fuori luogo. Forse si poteva azzardare qualcosa in più, ma per il momento va bene così, perché i ragazzi hanno trovato una giusta base dove poter costruire qualcosa di importante.

domenica 17 giugno 2012

Joan & The Sailors: Mermaid

“Mermaid” è un disco dove confluiscono diversi filoni espressivi: c’è del retrogusto folk, c’è una netta sensazione di malinconia cantautorale, c’è anche del post rock spinto al giusto livello di introspezione. In “Mermaid” c’è la voce di Joan – profonda, sensuale e un pizzico bjorkiana – che si prende quasi tutti i primi piani, relegando i suoi Sailors a tessere fitte tele melodiche, fatte di violoncello, ritmica robusta e chitarre timbricamente gentili. Dodici brani che nel loro insieme compongono un quadro sonoro importante, dove non trovano spazio né i silenzi – anche se l’incedere è spesso compassato, riflessivo – né gli spiragli di luce, anche perché Joan concede poco e niente al registro alto, ed è restia nel liberare in cielo melodie che tiene strette al petto, come gioielli preziosi, dei quali non ci si può disfare con troppa semplicità. Brani che portano nel loro destino una coerenza certa, fino alla “traccia fantasma”, che chiude il cerchio in splendida dissolvenza. Un’ora di musica incredibilmente buia, magnificamente impenetrabile.

mercoledì 13 giugno 2012

Diego Nozza: Hard Core (Crac Edizioni)

Hard Core di Diego Nozza vuole essere nelle sue intenzioni un’introduzione al punk italiano degli anni Ottanta, come del resto recita senza indugi il sottotilono posto in copertina. È in effetti lo è, ma non solo. Perché il libro può risultare buono sia come viatico, come campo base da dove partire alla scoperta di un panorama ampio e insidioso, ma anche un punto di arrivo, un ottimo riassunto per coloro che vogliono solo prendere visione di ciò che è accaduto in Italia – nel sottosuolo della musica del nostro Paese - a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. Il libro è strutturato in maniera semplice quanto lineare e di immediata comprensione. A una parte introduttiva, nella quale viene descritta in modo complessivo la scena di quegli anni, seguono delle mini biografie di un numero considerevole di gruppi, suddivisi in modo ragionato in prima e seconda ondata. Linea di confine necessaria per guidare il lettore tra i gruppi che hanno sviluppato un’attitudine punk derivante dall’estero e altri che sono stati in grado di erigere una tessitura culturale, musicale e politica tipicamente italiana. Band che sono elencate in rigoroso ordine alfabetico, tra le quali troviamo nomi dimenticati, altri più famosi, metti i Gaznevada o le Kandeggina Gang di Jo Squillo, altri ancora che hanno fatto parte della situazione in maniera marginale, alcuni che non sono mai arrivati a incidere dischi ma che hanno contribuito a fomentare la scena. Un orizzonte multiforme, spontaneo, nel quale non era semplice muoversi vista l’assoluta mancanza di fondi a disposizione, caratterizzato dalle difficoltà nel coprire le distanze e dunque relazionarsi in maniera costruttiva con altre realtà, dall’esigenza di creare, e in certi casi occupare, spazi come i Centri Sociali nei quali esprimersi liberamente, senza eventuali patteggiamenti. C’è dunque una storia in questo libro, che si rintraccia e che si mette insieme attraverso la descrizioni, a volte brevissime, dei singoli gruppi. Un puzzle multiforme che solo dopo averne rimesso insieme tutte le tessere regala una figura singolare e ben delineta. – 152 pgg – 14 euro.

lunedì 11 giugno 2012

Joy as a Toy: Dead as a Dodo

“Dead as a Dodo” è il secondo lavoro dei belgi Joy as a Toy (Gil Mortio, Clément Nourry, Jean-Philippe De Gheest), che in questo nuovo episodio propongono una scaletta – quasi esclusivamente strumentale - che prende spunto dalla musica di Ennio Morricone e i Goblin, proiettandosi in una terra di confine in equilibrio tra la sountrack di un film horror e una tessitura dai filamenti progressive-rock. Miscela di sicuro interesse, che trova il giusto innesco in “Subway To Your Brain”,un brano dalla melodia facilmente assimilabile, seguita dai brevi accenni di “Better Lock you Door” e “Successful Failure”, che introducono “Zombie Safari”, passaggio dai lineamenti vintage, con riferimento agli anni Settanta e a tutto quel substarto culturale che rimanda costantemente alle colonne sonore, meglio se in modalità low-fi. Disco nel complesso non semplice, dall’andamento irregolare e che a volte cede il passo a qualche situazione priva di senso concreto, ma anche per questo apprezzabile soprattutto da chi cerca un ascolto lontano dalle soluzioni semplicistiche.

giovedì 7 giugno 2012

Adam’s Castle: Vices

Gli Adam’s Castle sono originari di Detroit, ma negli ultimi anni si sono gradualmente spostati nell’area newyorkese, entrando a far parte della scena sotterranea di Brooklyn. Sono una band dall’alta produttività creativa, e il loro full length “Vices” (2010) conferma una certa attitudine alla ricerca, all’ibridazione di stili e modi lontani. In queste nove tracce strumentali la musica del trio oscilla tra situazioni caratterialmente progressive, lidi che risentono positivamente di una corrente di jazz elettrico, al rock in senso stretto. Spesso i ragazzi giocano le loro carte su tempi veloci, sfruttando la buona propensione ai ritmi serrati, come in “You’re Fucking the Best” e “Bender”, ma si lasciano apprezzare anche in situazioni più pensose, leggi in tal senso “VLM”, e nella funky oriented “Alarm Clock”. Una buona alternanza di umori dunque, tradotta in particolar modo dalle melodie sviluppate dal piano elettrico di Sami Jano, che è il centro gravitazionale di questa interessante realtà, supportato dalla ritmica rocciosa di Eric Adams (basso) e Zach Eichenhorn (batteria). Lavoro di indubbia valenza, farcito di effetti e soluzioni originali, che si posiziona a debita distanza dall’incasellamento immediato.

mercoledì 6 giugno 2012

I Cosi: Canti bellicosi

Sono trascorsi cinque anni da quando I Cosi si erano fatti notare con l’album di debutto “Accadrà”, e oggi con “Canti bellicosi” ripropongono il loro stile rock-pop orecchiabile, leggero, in equilibrio tra momenti intimi e giocati in punta di melodia, con altri che spingono maggiormente sul tasto della larga fruizione. Si tratta di dieci brani nei quali al centro delle tematiche troviamo il concetto di conflitto, con riferimento specifico ai rapporti sentimentali. I ragazzi (Marco Carusino: voce e chitarra, Antonio Mesisca: basso e Alessandro Deidda: batteria) raggiungono la giusta cifra espressiva in brani come “Cerco dentro me”, e sanno proporre la parte più tagliente e intrigante del loro sound in “Quello che so”. La scaletta scorre via senza intoppi e senza grandi deragliamenti, grazie a un concetto melodico sempre vivo e qualche ritornello a presa rapida. Il trio milanese mantiene costantemente lo sguardo rivolto al passato, con attenzione alla musica italiana degli anni Sessanta, dalla quale prendono in prestito alcuni ingredienti stilistici, pur riuscendo a emanare una fresca sensazione di attualità.

domenica 20 maggio 2012

Violassenzio: Nel dominio

Per la band ferrarese Violassenzio si tratta del secondo lavoro sulla distanza che conta, a due anni dall’interessante “Andrà tutto bene”, un album che aveva ottenuto diversi riscontri positivi da parte di critica e pubblico. “Nel dominio” riallaccia i fili con il rock cantautorale dell’esordio, e propone quattordici brani legati insieme da un concept che gira intorno al termine “dominio”, inteso come controllo dei numeri e di conseguenza del potere politico e degli eventi. Assistiamo quindi a un innalzamento sensibile dell’asticella espressiva e dei significati, per un lavoro ambizioso e complesso, che si lascia apprezzare per lunghi tratti e che non si sottrae a qualche caduta di tensione. Tra le cose migliori segnaliamo il buon taglio rock di brani come “Rinchiusi in una scatola” e “Nelle fabbriche”, nei quali travano spazio dei momenti only instrumental che allargano le vedute stilistiche del gruppo, che in questo modo riesce a uscire leggermente dagli schemi precostituiti della song in senso stretto. La voce di Fabio Cipollini si pone al centro dello scenario proposto, mentre al suo fianco la solida intelaiuatura di basso-chitarra-batteria viene in alcuni casi ingentilita dalla presenza di pianoforte e synth. Nel suo complesso la strada intrapresa sembra essere quella giusta.

Following Friday: Outside the Fence EP

Secondo Ep per gli italiani Following Friday, che con i sei brani di “Outside the Fence” ribadiscono la loro attitudine pop oriented, e non aggiungono granchè a quello già sentito nel precedente lavoro. Si tratta di una formula che strizza entrambi gli occhi alle sonorità radiofoniche, con linee melodiche chiare e dirette, che non conoscono momenti di tensione o strappi alla regola stilistica. Intenzione evidente già nella traccia d’apertura “First Shot is the Hardest”, che sintetizza il credo di questa band, che sembra avere bene in mente la strada da percorrere. Percorso però da verificare sulla lunga distanza, lì dove con tutta probabilità quello proposto fino a questo momento non basterà.

mercoledì 16 maggio 2012

Orlando Andreucci: Inusitato

Quella di Orlando Andreucci è una voce che canta fuori dal coro. Il cantautore romano, classe ’47, se ne resta lontano dalla facile fruizione, dai ritornelli a presa rapida, dagli abbellimenti di facciata. Il suo modo di intendere il songwriting rimanda ai grandi del passato, a un tempo sparito, coniugato nel presente dei dieci nuovi brani che compongono “Inusitato”, un album che bada al sodo, ai significati concreti. Parole che seguono la narrazione di eventi e descrivono persone, che si pongono in garbato primo piano sullo sfondo musicale che si sposta da andamenti dal sapore jazzy ad altri più disimpegnati, rimanendo sempre nell’ambito dell’essenzialità, elemento basilare di questo lavoro, preannunciato anche dall’artwork in bianco e nero, semplice e minimale. Al fianco di Andreucci c’è l’accompagnamento della sua chitarra e del pianoforte elegante di Primiano Di Biase, ingredienti che servono a rendere notturne le atmosfere proposte, avvolte in quella malinconia che sa colpire le giuste corde emozionali. Canzoni registrate in un paio di sedute, che rimandano costantemente l’idea della spontaneità, e che si lasciano ascoltare – e riascoltare – con interesse, proprio per la qualità della pazienza che portano dentro di loro e che richiedono per essere apprezzate in tutte le loro sfumature. Non ci sono momenti di maggiore appeal, l’intero lavoro si muove compatto in un territorio denso di valori, di descrizioni minuziose e toni calibrati. Rarità.

lunedì 14 maggio 2012

Shelley Short: Then Came the After

Shelley Short prosegue il suo percorso cantautorale riprendendo le linee tenui e le timbriche accennate nel precedente “A Cave, a Canoo”, per dar vita ai dodici nuovi brani che compongono l’altrettanto malinconico e chiaroscurale “Then Came the After”. Album registrato a cavallo tra il 2010 e il 2011 con la collaborazione attiva del fidato Alexis Gideon, e con un gruppo di musicisti pronti a delineare gli sfondi sui quali la voce di Shelley narra storie di vita personale, relazioni e misteri dell'esistenza. La songwriter di Portland non ama fare le cose di fretta. E i suoi brani emanano in maniera inesorabile questa attitudine compositiva e caratteriale. Cosicchè assistiamo al lento succedersi di eventi sonori, che ci accompagnano dalle gentilezze melodiche di “Right Away”, ai lineamenti impalpabili di “Plane”, dove Shelley mostra un timbro vocale al limite della trasparenza, ai tratti più marcati di “Steel”, nella quale la chitarra elettrica di Gideon rende qualche buona grinza al tessuto pregiato di questo lavoro. Ci sono poi dei passaggi fragili, come “Caravan”, che contribuiscono a impreziosire il tutto e che potrebbero trovare la propria ragione in un sottofondo a lume di candela. La voce di Shelley Short – molto levigata, mai fuori da un binario espressivo coerente – segna in maniera indelebile un album che va ascoltato in tutte le sue sfumature, facendo parecchia attenzione ai particolari. Prendetevi del tempo libero.