Con “Piano verticale” Antonio Fresa intende dare il via a una trilogia tematica, e formale, dedicata al pianoforte, strumento attraverso il quale esprime la propria arte e il suo modo di intendere la comunicazione. Spesso associato alla musica da film, il pianista partenopeo realizza un album dove l’elemento visuale, scaturito da un pianismo incentrato sulla cantabilità melodica e sulla costruzione di “orizzonti espressivi”, risulta essere elemento centrale, necessario e vitale in ognuna delle otto tracce in scaletta. Diverse sono le forme proposte: dal piano solo al duo con la tromba di Luca Aquino, dalle interazioni con gli archi agli interventi di vibrafono, percussioni e fiati.
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martedì 29 ottobre 2019
lunedì 28 ottobre 2019
Giovanni Guidi: “Avec le temps” [ECM, 2019]
In questa nuova uscita per ECM Giovanni Guidi si avvale della collaborazione di Francesco Bearzatti (sax) e Roberto Cecchetto (chitarra), due “voci soliste” che vanno ad arricchire le linee formali messe dei consueti compagni di viaggio Thomas Morgan (contrabbasso) e João Lobo (batteria). Guidi realizza un album dal profondo valore estetico, emozionale ed espressivo. Il suo è un pianismo capace di lambire vette di estrema cantabilità melodica, come nell’iniziale Avec le temps, il brano di Léo Ferré reinterpretato in trio con misura e grazia, o di contribuire a una sottile, quanto tangibile, tensione espressiva. La conclusiva Tomasz è una sentita dedica alla figura, venuta a mancare lo scorso anno, di Tomasz Stanko.
martedì 22 ottobre 2019
►Michel Reis: “Short Stories” [CAM Jazz, 2019]
È un percorso di quattordici brani quello che il pianista lussemburghese Michel Reis mette insieme nel suo “Short Stories”, l’album in solo che pubblica per la CAM Jazz di Ermanno Basso. Si tratta di un lavoro capace di emanare profonde sensazioni di intimità espressiva, tradotta in brani misurati e raccolti attorno a una forte idea di essenzialità. Il pianismo di Reis non conosce né addizioni fuori luogo né passaggi privi di significati, in un album dove si intersecano l’eleganza e la pulizia del suo background classico con le curvature jazzistiche.
lunedì 21 ottobre 2019
David Torn, Tim Berne, Ches Smith: “Sun Of Goldfinger” [ECM, 2019]
Si compone di tre lunghe tracce, ognuna oltre i venti minuti di durata, “Sun Of Goldfinger”, l’album che vede protagonisti David Torn (chitarra, effetti), Tim Berne (alto), Ches Smith (percussioni, elettronica), edito dalla ECM di Manfred Eicher. Si tratta di una maglia sonora tessuta attraverso un piglio di spontanea improvvisazione, nella quale confluiscono suoni di diversa matrice, addizioni timbriche (archi, elettronica), tangenti estetiche e continue interazioni. Ne derivano scenari dai colori a tinte forti, saturi e aggrovigliati, capaci anche di piegarsi verso momenti al limite della rarefazione, scura e sinistra, come nella parte centrale di Spartan, Before It Hit.
sabato 19 ottobre 2019
►Fabio Giachino: “At The Edges Of The Horizon” [CAM Jazz, 2019]
Seppur compatto nella sua idea d’insieme “At The Edges Of The Horizon” si rivela come un album dalla doppia personalità espressiva: da un lato troviamo il piano trio capitanato da Fabio Giachino, e completato da Davide Liberti al contrabbasso e Ruben Bellavia alla batteria, sempre elegante, misurato e calibrato in ogni movenza; dall’altro si ascolta il trio arricchito dalla sezione fiati, composta da alto, tenore, clarinetto basso, tromba e trombone, che frantuma ogni incasellamento di genere. Giachino dirige avvalendosi di un pianismo flessibile, guizzante, ritmico, chiaroscurale o lucente a seconda della situazione, arricchendo ulteriormente l’orizzonte estetico con innesti di sonorità elettroniche.
venerdì 18 ottobre 2019
►Ben Van Gelder – Reiner Baas: “Mokum in Hi-Fi” [Doyoumind? Records, 2019]
È un duo molto interessante quello composto da Ben Van Gelder, alto, e Reiner Baas, chitarra elettrica, sia dal punto di vista prettamente formale, e timbrico, sia per la decisa, quanto rodata in diverse live performance, dinamica creativa. Le otto tracce originali del loro “Mokum in Hi-Fi” prendono spesso vita da elementi sparsi, quasi accennati, capaci poi di farsi melodia concreta, dalla lineare cantabilità e dal respiro estetico sempre ampio e profondo. Giovani musicisti in grado di creare una musica matura e dal carattere ben definito.
giovedì 10 ottobre 2019
Bologna Jazz Festival 2019: Intervista a Francesco Bettini
In programma dal 25 ottobre al 26 novembre anche quest’anno il Bologna Jazz Festival si presenta come uno degli appuntamenti più rilevanti a livello internazionale. Nel calendario, pensato con date anche a Ferrara, Modena e Forlì, spiccano i nomi degli headliner: Pat Metheny, Dianne Reeves, Cross Currents Trio, Fred Hersch ed Hermeto Pascoal. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico Francesco Bettini
C’è un filo logico o un motivo che unisce le molte proposte in programma? Essendo il Festival una rete di collaborazioni con un’infinità di soggetti è praticamente impossibile individuare un unico percorso tematico. Si cerca di assecondare l’orientamento artistico dei singoli partner pervenendo a un’offerta il più possibile variegata che rappresenti al meglio l’attualità jazzistica internazionale. Per quanto riguarda le sole produzioni dirette dell’associazione capofila del festival, si è cercato in passato di dare linee guida al programma. Per esempio la scorsa edizione è stata dedicata ai larghi organici orchestrali e agli arrangiatori. Tuttavia quest’anno non si è optato per una proposta specifica.
Tra i tanti nomi importanti che presenta in cartellone qual è quello che maggiormente attendi di vedere e perché? Difficile individuare un singolo progetto, direi comunque sul piano puramente personale che tra tutti non avendolo mai goduto dal vivo, attendo con interesse di ascoltare il trio di Fred Hersch. Si tratta oltretutto del più classicamente jazz dei concerti principali del palinsesto e di un nome poco noto ai più, che potrebbe sorprendere positivamente il pubblico.
Qual è la chiave per attrarre pubblico nuovo verso il jazz? Le strade sono molteplici, ma è fondamentale la formazione. Da quasi dieci anni lavoriamo con il Liceo musicale e il Conservatorio di Bologna e più di recente abbiamo esteso la nostra sfera d'azione anche ai più giovani. Collaboriamo inoltre anche con il Museo della musica e siamo promotori di convegni musicologici e giornalistici. Oltre al lato didattico agevoliamo la fruizione degli under 30 con biglietti sensibilmente scontati e collaboriamo con locali attivi sul territorio che propongono jazz dal vivo ad una clientela di ventenni e trentenni.
Il festival non si svolgerà solo a Bologna, ma anche in altre sedi a Ferrara, Modena e Forlì. Come avete organizzato questa fitta rete di appuntamenti? Ferrara è partner storico del festival, fin dalla seconda edizione e il primo direttore artistico del BJF 2006 era Alberto Alberti, punto di riferimento anche della programmazione del Jazz Club Ferrara. Quindi la collaborazioni tra le due città e le rispettive associazioni era inevitabile. Modena si è avvicinata successivamente mentre Forlì è per la prima volta presente quest’anno. Questi e altri partner della Città Metropolitana hanno tutti, per differenti ragioni, affinità con lo scopo sociale della nostra associazione e collaborare quando l’obiettivo è comune risulta piuttosto semplice e immediato. Ci vuole solo tempo per coordinarci ed evitare sovrapposizioni di artisti e di date, ma come dicevo prima, lasciamo ampia libertà di scelta a tutti i partner, considerando la diversità un valore aggiunto.
Come è nata la collaborazione con Altan per la realizzazione della locandina? Dall’esperienza in materia di illustrazione di un altro nostro partner storico, BilBOlbul, il festival internazionale del fumetto che inizia ogni anno quando si conclude il Bologna Jazz Festival. Un passaggio di testimone che avviene sempre attraverso l’immagine coordinata che ogni anno viene affidata a un artista scelto da entrambi i soggetti.
Vi siete posti un obiettivo da raggiungere? L’obiettivo principale è quello di resistere facendo in modo che il bilancio annuale ci tenga a galla per proseguire nel tempo. Fin ora siamo stati bravi perché il programma cresce progressivamente, sia in termini di numeri che di qualità e siamo arrivati al quattordicesimo anno di attività continuativa.
Al termine del festival quale commento ti piacerebbe sentire? “E adesso dove si può andare ad ascoltare qualcos’altro?”. Dopo una scorpacciata di concerti di oltre un mese non dimentichiamo che il Torrione di Ferrara, la Cantina Bentivoglio, il Bravo o il nuovo Camera Jazz Club di Bologna, vanno avanti. Sono i luoghi dove tutto l’anno la programmazione continua a proporre concerti di livello. Il festival è importante, ma non si esaurisce tutto lì. Per esempio subito dopo il festival al solo Jazz Club Ferrara c’è una sequenza concertistica favolosa: The Bad Plus, Chris Potter Circuits, Enrico Rava Special Edition, solo per citarne alcuni.
Dal momento che sei da diversi anni anche il direttore artistico del Jazz Club Ferrara sapresti illustrarci come è cambiato nel tempo il modo di intendere la tua professione?
Quando inizi sei più incosciente, tutto viaggia sulle ali dell’entusiasmo e molto spesso si improvvisa. Mano a mano che si acquisisce esperienza, certi aspetti si automatizzano e non si gira più a vuoto. Tuttavia più ci si professionalizza, più si viene a conoscenza delle criticità di ogni singola fase della produzione e questo genera un mole di lavoro che agli inizi era inimmaginabile. Sul piano più specificamente artistico, in oltre vent’anni di attività, a forza di ascoltare concerti e frequentare artisti, il panorama percettivo si spalanca progressivamente, uscendo dai confini in cui inizialmente si percepiva circoscritto. Si inizia in pratica ad apprezzare linguaggi che prima non si conoscevano o non si comprendevano.
Tutte le info su BJF 2019: https://www.bolognajazzfestival.com/
C’è un filo logico o un motivo che unisce le molte proposte in programma? Essendo il Festival una rete di collaborazioni con un’infinità di soggetti è praticamente impossibile individuare un unico percorso tematico. Si cerca di assecondare l’orientamento artistico dei singoli partner pervenendo a un’offerta il più possibile variegata che rappresenti al meglio l’attualità jazzistica internazionale. Per quanto riguarda le sole produzioni dirette dell’associazione capofila del festival, si è cercato in passato di dare linee guida al programma. Per esempio la scorsa edizione è stata dedicata ai larghi organici orchestrali e agli arrangiatori. Tuttavia quest’anno non si è optato per una proposta specifica.
Tra i tanti nomi importanti che presenta in cartellone qual è quello che maggiormente attendi di vedere e perché? Difficile individuare un singolo progetto, direi comunque sul piano puramente personale che tra tutti non avendolo mai goduto dal vivo, attendo con interesse di ascoltare il trio di Fred Hersch. Si tratta oltretutto del più classicamente jazz dei concerti principali del palinsesto e di un nome poco noto ai più, che potrebbe sorprendere positivamente il pubblico.
Qual è la chiave per attrarre pubblico nuovo verso il jazz? Le strade sono molteplici, ma è fondamentale la formazione. Da quasi dieci anni lavoriamo con il Liceo musicale e il Conservatorio di Bologna e più di recente abbiamo esteso la nostra sfera d'azione anche ai più giovani. Collaboriamo inoltre anche con il Museo della musica e siamo promotori di convegni musicologici e giornalistici. Oltre al lato didattico agevoliamo la fruizione degli under 30 con biglietti sensibilmente scontati e collaboriamo con locali attivi sul territorio che propongono jazz dal vivo ad una clientela di ventenni e trentenni.
Il festival non si svolgerà solo a Bologna, ma anche in altre sedi a Ferrara, Modena e Forlì. Come avete organizzato questa fitta rete di appuntamenti? Ferrara è partner storico del festival, fin dalla seconda edizione e il primo direttore artistico del BJF 2006 era Alberto Alberti, punto di riferimento anche della programmazione del Jazz Club Ferrara. Quindi la collaborazioni tra le due città e le rispettive associazioni era inevitabile. Modena si è avvicinata successivamente mentre Forlì è per la prima volta presente quest’anno. Questi e altri partner della Città Metropolitana hanno tutti, per differenti ragioni, affinità con lo scopo sociale della nostra associazione e collaborare quando l’obiettivo è comune risulta piuttosto semplice e immediato. Ci vuole solo tempo per coordinarci ed evitare sovrapposizioni di artisti e di date, ma come dicevo prima, lasciamo ampia libertà di scelta a tutti i partner, considerando la diversità un valore aggiunto.
Come è nata la collaborazione con Altan per la realizzazione della locandina? Dall’esperienza in materia di illustrazione di un altro nostro partner storico, BilBOlbul, il festival internazionale del fumetto che inizia ogni anno quando si conclude il Bologna Jazz Festival. Un passaggio di testimone che avviene sempre attraverso l’immagine coordinata che ogni anno viene affidata a un artista scelto da entrambi i soggetti.
Vi siete posti un obiettivo da raggiungere? L’obiettivo principale è quello di resistere facendo in modo che il bilancio annuale ci tenga a galla per proseguire nel tempo. Fin ora siamo stati bravi perché il programma cresce progressivamente, sia in termini di numeri che di qualità e siamo arrivati al quattordicesimo anno di attività continuativa.
Al termine del festival quale commento ti piacerebbe sentire? “E adesso dove si può andare ad ascoltare qualcos’altro?”. Dopo una scorpacciata di concerti di oltre un mese non dimentichiamo che il Torrione di Ferrara, la Cantina Bentivoglio, il Bravo o il nuovo Camera Jazz Club di Bologna, vanno avanti. Sono i luoghi dove tutto l’anno la programmazione continua a proporre concerti di livello. Il festival è importante, ma non si esaurisce tutto lì. Per esempio subito dopo il festival al solo Jazz Club Ferrara c’è una sequenza concertistica favolosa: The Bad Plus, Chris Potter Circuits, Enrico Rava Special Edition, solo per citarne alcuni.
Dal momento che sei da diversi anni anche il direttore artistico del Jazz Club Ferrara sapresti illustrarci come è cambiato nel tempo il modo di intendere la tua professione?
Quando inizi sei più incosciente, tutto viaggia sulle ali dell’entusiasmo e molto spesso si improvvisa. Mano a mano che si acquisisce esperienza, certi aspetti si automatizzano e non si gira più a vuoto. Tuttavia più ci si professionalizza, più si viene a conoscenza delle criticità di ogni singola fase della produzione e questo genera un mole di lavoro che agli inizi era inimmaginabile. Sul piano più specificamente artistico, in oltre vent’anni di attività, a forza di ascoltare concerti e frequentare artisti, il panorama percettivo si spalanca progressivamente, uscendo dai confini in cui inizialmente si percepiva circoscritto. Si inizia in pratica ad apprezzare linguaggi che prima non si conoscevano o non si comprendevano.
Tutte le info su BJF 2019: https://www.bolognajazzfestival.com/
mercoledì 2 ottobre 2019
Fabrizio Bai Trio: “Comunque sia…” [Dodicilune, 2019]
Ad affiancare il chitarrista Fabrizio Bai nel suo “Comunque sia…” troviamo Raffaele Toninelli al contrabbasso ed Emanuele Pellegrini alla batteria. Si tratta di un trio affiatato e attivo da diverso tempo, che rilascia un album sviluppato nelle sette tracce originali del leader, nelle quali echeggiano sonorità latine e mediterranee, arricchite da timbri di diversa natura, come, per esempio, l’utilizzo della kalimba e di varie percussioni. Le sette corde della chitarra classica di Bai mantengono una costante tensione nei primi piani espressivi, e producono una profonda cantabilità in tematiche che, se ascoltate nel loro insieme, disegnano un
percorso dal forte appeal. La foto di copertina è firmata da Slava Gerj.