Agus Collective è l’esempio di come molto spesso la voglia di fare riesce a superare difficoltà di ogni genere, come la mancanza di finanziamenti pubblici e l’assenza di spazi idonei per la realizzazione delle idee. È un collettivo di musicisti, di base a Roma, uniti dal comune intento di fare musica dal buon livello qualitativo, con determinazione espressiva e senza compromessi
«Indipendentemente dai nomi e i cognomi di chi partecipa, Agus è un’idea e, dai risultati ottenuti, sembra essere una buona idea». Agus Collective è l’unione di un manipolo di musicisti spinti da un forte senso di gruppo, al punto che anche le dichiarazioni che ci hanno rilasciato sono tutte a firma collettiva. La loro iniziativa è nata quattro anni fa, dopo alcuni sporadici tentativi portati avanti in maniera individuale. Oggi producono un’operatività sistematica che realizza la rassegna Jazz Zone, che si tiene durante l’arco della stagione invernale, ogni giovedì sera, nello spazio sociale Il Cantiere, a Roma. La qualità della proposta musicale è un punto sul quale Agus non scende a patti, e le scelte operate dal singolo musicista sono viste come un’assunzione di responsabilità nei confronti del pubblico. Oltre ai concerti e allo scambio d’idee il fine della loro iniziativa è quello di: «Mettere i musicisti che hanno qualcosa da dire direttamente in contatto con un pubblico che abbia voglia di ascoltare, evitando intermediari spesso parassitari. Importante è anche il fine sociale di rendere chiunque in grado di potersi permettere un eccellente concerto senza spendere un patrimonio». Anche per loro il problema economico resta centrale: «Finché disponiamo di spazi per fare buona musica, finché siamo abbastanza credibili e coerenti da avere un pubblico che si fida delle nostre scelte e ci segue e finché possiamo contare sull’appoggio e la collaborazione di tanti eccellenti, spesso eccezionali, musicisti, ce la facciamo da soli. L’autogestione delle risorse è una condizione obbligata per noi, non una scelta politica; rivendichiamo un’esigenza espressiva, non un modello economico». Situazione non certo facile da gestire, soprattutto quando si opera in un momento culturale deficitario, sia per la propensione nel ricevere una determinata proposta artistica, sia nella considerazione generale del jazz e delle musiche lontane dai circuiti mainstream: «Troviamo che la responsabilità sia in primo luogo degli addetti ai lavori. Foraggiare musica idiota e stereotipata è una strategia di “addestramento” di un “pubblico-massa” fatto su misura per scopi commerciali, e questo provoca un abbassamento della qualità della musica in generale. Ma esiste anche un pubblico attento ed esigente, che è vitale per il musicista. Il musicista con la sua ricerca fa crescere la sensibilità del pubblico, tanto quanto il pubblico esigente aiuta la creatività del musicista. Quelle realtà che vogliono controllare, anziché stimolare, questo rapporto diretto, uccidono l’ambiente e le prospettive di crescita culturale». Musica di sicuro interesse, pubblico pronto nel ricevere proposte inedite, momenti di aggregazione, in una sorta di continuo fermento artistico rendono Agus come uno dei fenomeni di maggiore incisività nell’ambito jazzistico, e lo pongono come un esempio di presa di coscienza culturale e come un forte indizio di itinerario espressivo percorribile.
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