La Netflix sta producendo un nuovo documentario sulla vita di Nina Simone. Intitolato “What Happened, Miss Simone?”, il film è diretto da Liz Garbus con la collaborazione di RadicalMedia. Il documentario includerà alcune registrazioni audio inedite di Nina Simone, oltre a rari filmati d’archivio. Attualmente i produttori stanno lavorando su oltre cento ore di regitrazioni video, nonché interviste con la figlia di Simone, Simone Lisa Kelly, amici e collaboratori.
オブリーク・ストラテジーズ / косые стратегии / oblique strategies / schuine strategieën / استراتيجيات منحرف / skrå strategier / 斜策略 / las estrategias oblicuas / তির্যক কৌশল / schräg strategien / אַבליק סטראַטעגיעס / stratégies obliques / kēlā papa kōnane o / kosi strategije
martedì 30 dicembre 2014
“Born To Be Blue”: The Chet Baker Biopic
Partirà a breve la produzione di un nuovo biopic riguardante Chet Baker, dal titolo “Born To Be Blue”. La pellicola avrà come attore protagonista Ethan Hawke, che svolgerà il ruolo del leggendario trombettista, e sarà concentrata sul periodo relativo alla vita di Baker tra gli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta. Nel cast figura anche l’attore canadese Callum Keith Rennie.
lunedì 29 dicembre 2014
New Jazz Books
“Jazz In the New Millennium: Live and Well”: “Jazz In the New Millennium: Live and Well” è il nuovo libro di Rick Mitchell, con le fotografie a colori di Pin Lim, pubblicato da Dharma Moon Press, in collaborazione con Da Camera Of Houston. Il volume contiene i profili di quasi sessanta artisti jazz contemporanei, tra cui Randy Weston, Roy Haynes, Wayne Shorter, Jason Moran, Robert Glasper e Esperanza Spalding. Le centosessanta pagine includono discografie selezionate per ogni artista. La versione stampata, al prezzo di 24,95 dollari, è attualmente in vendita solo in una edizione limitata su RickMitchell.us o DaCamera.com. L’eBook, a 9,99 dollari, è disponibile solo per gli Stati Uniti.
“Miles Davis/1973”: Il giornalista musicale Stephen Davis ha pubblicato, tramite Vigliano Books, un nuovo libro riguardante Miles Davis, dal titolo “Miles/1973”. Il volume racconta alcune vicende legate alla vita del leggendario trombettista, come il recupero fisico dopo l’incidente in Ferrari sulla New York’s Westside Highway.
Frank Foster: l’autobiografia: “A Jazz Master: Frank Foster, An Autobiography” è stata di recente pubblicata, e narra della vita del sassofonista venuto a mancare nel 2011. Il libro è ordinabile su: http://foscease.com/Order.html
“Gil Scott-Heron: Pieces Of A Man”: È stata pubblicata da St. Martin Press la prima biografia del defunto Gil Scott-Heron, scritta da Marcus Baram. Secondo un comunicato stampa si tratta di un libro che “ripercorre il viaggio di un genio musicale”.
domenica 28 dicembre 2014
Nguyên Lê With Michael Gibbs & NDR Bigband: "Celebrating The Dark Side Of The Moon" (ACT, 2014)
Nguyên Lê (ch el, electronics); Youn Sun Nah (voc); Gary Husband (batt); Jürgen Attig (b el); NDR Bigband diretta da Jörg Achim Keller
Rileggere un’opera d’arte come “The Dark Side Of The Moon” non è impresa facile, e per farlo c’è bisogno di grande passione, originalità d’intenti e una buona dose d’incoscienza. Doti che Nguyên Lê dimostra d’avere in questa uscita per ACT Records, messa in piedi insieme a Micheal Gibbs, all’orchestra della NDR e tre musicisti di grande spessore come Youn Sun Nah, Gary Husband e Jürgen Attig. Quello proposto in scaletta è un percorso che ripercorre per intero i passaggi del capolavoro pinkfloydiano, con l’aggiunta di una manciata di temi firmati da Lê. In alcuni casi i brani originali sono espansi dagli arrangiamenti orchestrali, in altri sono suonati con maggiore fedeltà idiomatica. Il chitarrista vietnamita si rende spesso figura di primo piano, come in Time, in alcuni brani cede il ruolo alla voce di Youn Sun Nah o all’orchestra, come nella versione di The Great Gig In The Sky. L’insieme si rivela sempre molto originale, mai eccessivo né pacchiano. In copertina un dettaglio dell’opera Blue Valentine di Martin Nöel.
Speak To Me / Inspire / Breath / On The Run / Time / Magic Spells / Hear This Whispering / The Great Gig In The Sky / Gotta Go Sometime / Money / Us And Them / Purple Or Blue / Any Colour You Like / Brain Damage / Eclipse
venerdì 26 dicembre 2014
Massimo Barbiero: “Simone de Beauvoir” (Autoprodotto, 2014)
Massimo Barbiero (mar)
I motivi di un album in completa solitudine, il quarto della sua produzione, in questo caso utilizzando la sola marimba, ce li spiega lo stesso Massimo Barbiero nelle note di copertina: «(…) cercavo un rifugio nella mia solitudine, un senso d’intimità, il suono caldo e profondo del legno, il suono nel senso più intimo, il suono come metafora del pensiero». E quello che traspare dalla nove tracce in scaletta è proprio la voglia di tradurre un’espressione, che questa sia di malinconia, di gioia o di semplice punto d’osservazione degli eventi è dato dalla sensibilità e dalla voglia di coinvolgimento di chi è chiamato ad ascoltare. Sta di fatto che il contenuto di “Simone de Beauvoir”, titolo per certi versi programmatico e riferito alla corrente di pensiero dell’esistenzialismo, è un percorso che sa di abbandono agli eventi improvvisativi, basati su temi già esistenti e proposti in passato con strutture meno scarne, ma che poi prendono tangenti impreviste, approcciate con estrema leggerezza, non intesa come superficialità ma come voglia di tradurre i vari passaggi sulle ali di un pensiero profondamente ispirato. Il legno della marimba ci proietta alle radici del suono, all’Africa, in uno stadio di essenzialità al quale non siamo, nella maggior parte dei casi, più abituati. La copertina è realizzata da Antonio Muroni su idea di Fabio Rodda.
Nausicaa / Guai ai vinti / Keres / My Dance / Naiadi / Cristiana / Crono / L’architrave / La gabbia
More: www.massimobarbiero.com
Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello: “Tandem” (Verve, 2014)
Fabrizio Bosso (tr, flic); Julian Oliver Mazzariello (pf); Ospiti: Fiorella Mannoia (voc #8); Fabio Concato (voc #2)
Quello disegnato da Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello in “Tandem” è un percorso che attraversa standard jazzistici, rivisitazioni di musica popolare e brani originali di sicuro interesse. Uno di questi è firmato e ospita alla voce Fabio Concato, che rende una versione di Gigi dove Mazzariello si fa elemento di sfondo e Bosso funge da prezioso punto di dialogo melodico. La cantabilità dei temi è al centro degli sviluppi espressivi dell’intero album, come in Roma nun fa’ la stupida stasera, il classico di Trovajoli/Garinei/Giovannini che in questo episodio vede protagonsita Fiorella Mannoia. Atmosfere pensose e struggenti, vedi quelle dell’iniziale You Don’t Know What Is Love, si alternano a situazione dal maggiore tratto ritmico e timbrico, come in Dizzy’s Blues, firmata da Fabrizio Bosso. Tra i leader del progetto si evidenzia una sana complicità d’intenti, che dà luogo a un’estetica di estrema eleganza formale, costruita su equilibri tanto sottili quanto solidi e coesi. La versione digitale dell’album contiene anche la bonus track Estate.
You Don’t Know What Is Love / Gigi / Have You Met Miss Jones? / Wide Green Eyes / Dizzy’s Blues / Luiza / Goodness Gracious / Roma nun fa’ la stupida stasera / Windmills Of Your Mind / Oh Lady Be Good / Taxi Driver
“Radhe Radhe: Rites Of Holi”: A Film by Prashant Bhargava, music by Vijay Iyer (ECM, 2014)
Il DVD “Radhe Radhe: Rites Of Holi”, edito da ECM, segna l’incontro artistico tra il regista Prashant Bhargava e il pianista e compositore Vijay Iyer. I due realizzano un documentario di circa trentacinque minuti relativo alla festa indù di Holi, famosa nel mondo per l’euforia di chi vi partecipa, che celebra l’amore tra Krishna e la sua consorte Radha, personificazione della Shakti, l’energia divina femminile. La musica a commento delle immagini, registrata dal vivo nel marzo 2013, evidenzia la forza espressiva dell’International Contemporary Ensemble, una sorta di arcobaleno timbrico che include fiati, archi e percussioni. I movimenti dell’ensemble sottolineano l’altrettanta forza comunicativa della sequenza filmica, attraverso la quale possiamo osservare l’atmosfera di gioia e devozione che si respira durante i giorni della festa, ripresi nella città di Mathura in India. La musica di Iyer, il quale non si sottrae ad alcuni passaggi in solo, risulta melodicamente lineare e cantabile, mentre tra i bonus del DVD troviamo un documentario, diretto da Ross Karre, relativo alla realizzazione del film, con gli interventi dei protagonisti senza sottotitoli. Disponibile anche in versione Blu-ray.
Credits: Vijay Iyer: composer / Prashant Bhargava: film director, editor / Anna George: actor / Craig Marsden: director of photography / International Contemporary Ensemble: Eric Lamb, Laura Jordan Cocks (flute, alto flute, piccolo ); Joshua Rubin (clarinet, bass clarinet); Rebekah Heller (basoon, contrabassoon); Gareth Flowers, Amir Elsaffar (trumpet); Jennifer Curtis (violin); Kyle Armbrust (viola); Kivie Cahn-Lipman (cello); Cory Smythe (piano); Ross Karre (percussion); Tyshawn Sorey (percussion, drum set); Adam Sliwinski (conductor); Vijay Iyer (piano, electronics).
mercoledì 24 dicembre 2014
Reviews: Anthony Cedric Vuagniaux / Inutili / KK Null
Quindici brani stipati in poco più di mezzora formano la scaletta del nuovo lavoro in studio di Anthony Cedric Vuagniaux, dal titolo “Le clan des guimauves”. Il polistrumentista e compositore svizzero crea una scaletta dove si narrano le vicende di un gruppo di alieni scesi sul nostro pianeta, tra sonorità che ibridano elettronica e strumenti acustici, e forme stilistiche che oscillano tra movimenti chiaroscurali e situazioni più movimentate. Ne viene fuori una miscela personale e molto originale, che rimanda costantemente all’idea di soundtrack per immagini.
More : http://anthonycedricvuagniaux.com/
Inutili: “Unforgettable Lost And Unreleased” (Aagoo Records, 2014)
Come il titolo lascia intendere, questa edizione targata Aagoo Records propone una raccolta di tracce inedite della band italiana Inutili. Si tratta di nove brani dove si possono ascoltare le diverse diramazioni formali del quartetto, dalla trance contenuta in Bangkok alle sonorità ipnotiche e vagamente bluesy di Nicotine, che poi sfociano verso una zona ai confini del noise, dal rock energico e progressivo di Radon alle matrici cadenzate e distorte della conclusiva My Girlfriend Is A Zombieslut, una sorta di jam che si protrae per oltre venti minuti. Nel complesso questa raccolta si rivela come un ottimo pretesto per approcciare la musica degli Inutili.
More: http://bandofinutili.blogspot.it
KK Null: “Cryptozoon Stereo Condensed Mix” (Aagoo Records, 2014)
Disponibile anche nell’edizione DVD, che include la versione quadrifonica del mix, Cryptozoon è il nuovo singolo firmato KK Null ed esce per l’etichetta Aagoo Records. Venti minuti nei quali il giapponese Kazuyuki Kishino dà forma al suo noise sound, mettendo a reagire un’enorme quantità di campionamenti e musica suonata, tra rumori ambientali, loop ipnotici e grovigli di matrici ritmiche e strutturali. L’immagine sonora prodotta da Kishino si trasforma in maniera repentina, e non cede mai il fianco ad andamenti prevedibili.
More: http://kknull.com
martedì 23 dicembre 2014
New releases, reissues and vinyls
Abdullah Ibrahim: Il pianista sudafricano Abdullah Ibrahim pubblicherà il nuovo album “The Song Is My Story” il prossimo 17 febbraio, su etichetta Sunnyside Records. Si tratta di un box contenente anche un DVD che, oltre al concerto ripreso la scorsa estate a Sacile, in provincia di Pordenone, include commenti di Ibrahim riguardo la sua performance in solo, in gran parte fatta di libera improvvisazione.
Jack DeJohnette : “Made in Chicago” è il titolo del nuovo album che Jack DeJohnette pubblicherà su etichetta ECM il prossimo 10 marzo. La line up prevede, oltre a quella del batterista, la presenza di Muhal Richard Abrams, Henry Threadgill, Roscoe Mitchell e Larry Gray. Un concerto, per promuovere l’album, è in programma il 12 marzo al Walker Arts Center di Minneapolis.
Vijay Iyer : È previsto per il prossimo 10 febbraio il nuovo album del Vijay Iyer Trio, completato dal bassista Stephan Crump e dal batterista Marcus Gilmore, per l’etichetta ECM. “Break Stuff” è titolo annunciato del lavoro, che è stato registrato agli Avatar Studios di New York City nel giugno 2014 con la produzione di Manfred Eicher.
Rudresh Mahanthappa: Sarà la ACT Records a pubblicare il nuovo lavoro di Rudresh Mahanthappa il prossimo 10 febbraio, dal titolo “Bird Calls”, nel quale il sassofonista, attraverso dei brani originali, esamina l’influenza che ha avuto Charlie Parker nella storia del jazz e sul proprio modo di intendere la musica. Insieme a Mahanthappa troviamo il trombettista Adam O’Farrill, figlio di Arturo O’Farrill, il pianista Matt Mitchell, il bassista François Moutin e il batterista Rudy Royston.
Bill Evans: Esce per la Concord Music Group “The Complete Village Vanguard Recordings, 1961”, il box in quadruplo vinile del Bill Evans Trio, completato da Scott LaFaro al contrabbasso e Paul Motian alla batteria. I quattro dischi, stampati su vinile da 180g, sono corredati da un libretto di dodici pagine, contenente nuove note di copertina curate da Bill Belmont. La registrazione originale risale al 25 giungo del 1961.
Mosaic Records: “The Complete Dial Modern Jazz Sessions” è il titolo del cofanetto di nove dischi pubblicato dalla Mosaic Records. Il lavoro comprende quasi duecento tracce, tra le quali sono incluse tutte le sessioni realizzate da Charlie Parker per la Dial negli anni 1946 e 1947. Bird, insieme a Dizzy Gillespie, è presente anche in una rara sessione con Red Norvo, in precedenza pubblicata dalla Comet Records.
Bud Powell: La ESP-Disk’ ristampa “Live At The Blue Note Café” di Bud Powell, registrato a Parigi nel 1961. Questa edizione, ideata per celebrare quello che sarebbe stato il novantesimo compleanno del pianista, propone la copertina originale realizzata da Francis Paudras.
Red Garland: Il 20 gennaio esce su etichetta Elemental Music il doppio CD (disponibile anche in triplo vinile) “Swingin’ On The Korner”, l’album contenente una registrazione inedita del pianista Red Garland datata 1977, in trio con il bassista Leroy Vinnegar e il batterista Philly Joe Jones. La performance è relativa a un set registrato al Keystone Korner di San Francisco.
lunedì 22 dicembre 2014
Francesca Ajmar: “Dois lugares” (FMC Phonograph, 2014)
Francesca Ajmar (voc); Moacyr Luz (ch, voc); Riccardo Bianchi (ch el); Alberto Graziani (ch); Antonio Zambrini (pf); Fausto Beccalossi (fisa); Carlo Nicita (fl t); Tito Mangialajo Rantzer (cb); Gilson Silveira (perc); Alessandro Marzi (batt)
Tra gli ottimi musicisti presenti nei crediti del nuovo lavoro di Francesca Ajmar “Dois lugares” spicca il nome di Moacyr Luz, che firma sette degli undici brani in scaletta. Il lavoro presenta un repertorio incentrato sulla musica popolare brasiliana, e dunque risulta denso di atmosfere a metà strada tra nostalgia e brio, malinconia e passaggi ballabili. L’iniziale Malícia delinea gli aspetti d’insieme dell’album, con la voce della Ajmar in primo piano e uno sfondo timbrico ricco di sfumature, dal pianismo elegante di Antonio Zambrini alle caratteristiche percussioni di Gilson Silveira. Alcuni brani sono meno carichi di eventi sonori, cosicché la voce della leader, della quale si apprezza la sfumatura e il controllo dinamico, riesce a risaltare ancora in maniera più evidente. Elemento dalla grande forza espressiva si rivela, tra i tanti, anche il fisarmonicista Fausto Beccalossi, che interviane in alcuni brani restituendo un ulteriore suggestione al già ricco panorama timbrico e strutturale di “Dois lugares”. In copertina è proposto un acrilico su carta dell’artista Dim Sampaio.
Malícia / Ah, Yolanda / Circular / Garrincha / Espelho D’água / Ilha das cobras / Choro triste / Arpoador / Dança de roda / Amacíado / Un raro esplendor
sabato 20 dicembre 2014
Fasching Jazz Club: Finest Live Jazz Since 1977
Quello che in molti Paesi europei è oggi visto come un’utopia è stato possibile in Svezia nel 1977: i giovani musicisti di jazz, riuniti nell’associazione Swedish Jazz Musicians Federation, creano un luogo dove esprimere la propria arte e dare forma alle loro idee, il Fasching Jazz Club di Stoccolma. Il locale diventa subito un luogo centrale dell’attività jazzistica nazionale, e in breve tempo assume anche una caratura internazionale grazie ai concerti dei molti jazzisti americani di passaggio in Scandinavia. Il momento peggiore arriva nel 2002, anno in cui il Fasching chiude per fallimento, salvo poi rinascere nello stesso anno e riprendere la piena attività nel 2007, grazie all’ingresso di una nuova organizzazione societaria. L’attuale direttrice Lena Åberg Frisk ci spiega quali sono le intenzioni e gli obiettivi che si sono preposti gli attuali proprietari: «La meta è quella di creare un melting-pot moderno e attraente per il jazz e la musica correlata, dove una gamma molto ampia di pubblico di diverse generazioni può godere della musica improvvisata più interessante e creativa del mondo di oggi». Nel 2013 il club è stato ristrutturato, anche per presentare al meglio i concerti del Festival Jazz di Stoccolma, manifestazione di successo che in questi ultimi anni ha restituito molto interesse e visibilità. Dal punto di vista finanziario il Fasching fa fronte alla crisi economica del Vecchio Continente grazie a una politica attenta ai costi e alle spese di gestione, sia per la proposta artistica sia riguardo i cibi e le bevande che vengono servite nel club. Attualmente, tra ingegneri del suono, cuochi e manager, l’organizzazione conta circa trenta persone. Questo permette al club di ottenere un buon equilibrio di spese e, allo stesso tempo, di presentare una valida proposta per il pubblico, sia artistica sia di intrattenimento. Lena Åberg Frisk ci ha illustrato come è costruito il cartellone dei concerti: «Proponiamo più di duecento eventi all’anno, la metà dei quali provengono dalla scena jazz svedese. L’altra parte si basa sui grandi nomi del jazz internazionale e su altre proposte stilistiche, che spaziano dall’hip hop al soul, passando per blues e cantautori». Il Fasching è il club scandinavo con il maggior numero di spettatori, con circa ottantamila l’anno. Rispetto ad altri club, ha un basso grado di finanziamento pubblico e riusce ad andare avanti grazie alle proprie forze. Negli ultimi quattro anni il pubblico si è fatto più numeroso e questo si rispecchia nel fatturato in crescita. Quella del Fasching è una realtà molto attiva, capace sia di flettere a seconda delle richieste del mercato della musica dal vivo, sia di muoversi con una gestione intelligente e lungimirante, mai incline al raggiungimento dell’obiettivo più a portata di mano. Un esempio di grande positività che si lascia ampiamente apprezzare e che è dunque per tutti, in tempi spesso funestati dal pessimismo, un’ottima notizia.
Fasching Kungsgatan 63, Stockholm www.fasching.se
sabato 13 dicembre 2014
Ketil Bjørnstad: “A Passion For John Donne” (ECM, 2014)
Håkon Kornstad (sax, fl, voc); Ketil Bjørnstad (pf); Birger Mistereggen (perc); Oslo Chamber Choir diretto da Håkon Daniel Nystedt
“A Passion For John Donne” è l’album con il quale Ketil Bjørnstad rende omaggio alla figura del poeta inglese John Donne, già sua fonte d’ispirazione e passione artistica da diversi anni. Per realizzare questo lavoro si è avvalso della collaborazione del coro Oslo Chamber Choir, diretto da Håkon Daniel Nystedt, del sassofonista Håkon Kornstad e di Birger Mistereggen alle percussioni. Registrato dal vivo nel marzo 2012, al Sofienberg Kirke di Oslo, l’album si snoda attraverso una scaletta di quindici brani, stilisticamente versati a un’ambientazione liturgica, dovuta alla presenza quasi costante delle voci del coro, interrotta dagli interventi al sax di Kornstad, che in alcuni casi sposta lo scenario in un ambito più vicino alle sonorità prettamente jazzistiche. La musica è interamente scritta da Ketil Bjørnstad, mentre i testi, riportati nel dettagliato booklet, sono stati scelti dal vasto reperorio di John Donne. Il compositore norvegese, in merito a questo lavoro per ECM, ha dichiarato: «La vita drammatica di Donne si riflette nei suoi testi, e in ognuno c’è la passione e la melodia. Dopo tanti anni riesco ancora a trovare nuovi approcci alla sua poetica, al suo linguaggio fatto di silenzi tra le frasi».
Introitus – A Passion For John Donne / Thou Hast Made Me / A Fever / Death, Be Not Proud /Interlude No.1 / The Legacy / Batter My Heart, Three Personed God / A Nocturnal Upon St.Lucy’s Day / Farewell To Love / Interlude No.2 / Since She Whom I Loved Hath Paid Her Last Debt / A Valediction, Forbidden Mourn / Oh, To Vex Me, Contraries Meet in / Interlude No.3 / There We Leave You
venerdì 12 dicembre 2014
Teho Teardo: “Ballyturk” (Spècula Records, 2014)
Teho Teardo (ch bar, ch el, ch ac, Rhodes, bs, autoharp, celesta, synth, electronics, taisho koto, pf); Cillian Murphy, Mikel Murfi (voc); Joe Lally (bs); Lori Goldston (vlc ampl); Martina Bertoni, Nick Holland (vlc); Stefano Azzolina (vla); Vanessa Cremaschi, Elena De Stabile (vl).
Sono raccolte in poco più di mezzora le otto tracce di “Ballyturk”, l’album firmato da Teho Teardo frutto della collaborazione con il drammaturgo Enda Walsh, e realizzato con la partecipazione dell’attore Cillian Murphy, qui nelle vesti di voce recitante insieme a Mikel Murfi. Inizialmente composte per l’omonima opera teatrale, le musiche di questo lavoro sono state poi rielaborate e incise da Teardo insieme a un gruppo di musicisti dove figurano, tra gli altri, Joe Lally, Lori Goldston e Martina Bertoni. La musica che si ascolta rimanda ai tipici scenari da colonna sonora firmati dal compositore veneto, con lunghi tappeti che fanno da sfondo a eventi sonori che si susseguono con lentezza, e fortemente caratterizzati dagli archi, elemento essenziale per proiettare scenari sinistri e carichi di pathos. Il discorso espressivo va al di là della sola funzione di commento per immagini, e la musica di “Ballyturk”, che idealmente si allaccia al percorso delineato con il precedente “Music For Wilder Mann” (Spècula Records, 2012), vive di luce propria su melodie dense di elementi emozionali.
Disponibile, oltre che su CD e Digital Download, anche in vinile.
Poisonous His Envy / Kitchen, Infinity / Foreboding / Everything I Thought There Was To Know / Let’s Not Talk About Us / Just Maybe / It Needs A Death / The Outside Force
giovedì 11 dicembre 2014
John Coltrane: in lavorazione un nuovo documentario
La colonna sonora della pellicola sarà composta solo dalla sua musica
Un nuovo documentario su John Coltrane, in uscita al cinema a fine 2015, sarà scritto e diretto dal regista John Scheinfeld. Il film è stato creato con la piena collaborazione della famiglia di Coltrane. I produttori della pellicola hanno ottenuto per la colonna sonora un accesso senza precedenti al catalogo completo del sassofonista, comprese le registrazioni su Prestige, Blue Note, Atlantic, Pablo e Impulse!.
mercoledì 10 dicembre 2014
Onofrio Paciulli: Epoca [Fo(u)r Records, 2014]
Onofrio Paciulli (pf); Fabrizio Bosso (tr #1,4,7); Rosario Giuliani (alto #1,4,7); Guido Di Leone (ch #1,2,4,5,6,7,8,9); Francesco Angiuli (cb #1,4,7,8); Dario Di Lecce (cb #2,3,5,6,9); Giovanni Scasciamacchia (batt #1,4,7,8); Fabio Delle Foglie (batt #2,3,5,6,9)
Registrato in una doppia seduta al Sorriso Studios di Bari, “Epoca” è il secondo lavoro che vede il pianista Onofrio Paciulli nelle vesti di leader, dopo l’esoridio di “Musicopoli” (Philology Records, 2010). In scaletta troviamo nove brani, tra originali e rivisitazioni, realizzati con diverse formazioni. Tre sono le tracce che vedono la presenza di Fabrizio Bosso e Rosario Giuliani, nelle quali si respira un’atmosfera densa e piena di spunti melodici cantabili, caratterizzata sia dai movimenti d’insieme sia dai soli espressi dai singoli interpreti. Ad aggiungere ulteriori suggestioni timbriche all’album interviene in più riprese il chitarrista Guido Di Leone, capace di un tocco felpato e carico di swing. In altre tracce Paciulli sceglie di non coinvolgere i fiati, e in occasione della title track emerge il suo amore per le ballad e la grande sensibilità del suo pianismo, forte di sottintesi, pause e passaggi di grande eleganza. Nell’insieme il lavoro si rivela espressivamente vario, di grande impatto emozionale e curato nei dettagli sia melodici sia di arrangiamento.
Believe / You Go To My Head / Birth / My Happiness / Epoca / You And The Night And The Music / My Love And I / Enjoy / Old Devil Moon
Felice Clemente: a gennaio il nuovo album "6:35 AM"
E' prevista per il 7 gennaio 2015 l'uscita del nuovo album firmato da Felice Clemente, dal titolo "6:35 AM", tramite la propria etichetta Crocevia di Suoni (distribuzione IRD). Si tratta di un traguardo importante per il sassofonista lombardo, che con l’uscita del suo decimo disco celebra la nascita della figlia, nata, appunto, alle 6:35 del mattino.
Il disco è stato registrato con la ritmica composta da Paolino Dalla Porta al contrabbasso, Massimo Manzi alla batteria, e con la partecipazione speciale di Daniele Di Gregorio alla marimba e al vibrafono.
A riguardo, Felice Clemente ha dichiarato: “Quest’avvenimento l’ho voluto fortemente tramutare in musica. E il mio decimo disco rappresenta, perciò, la volontà di cercare di andare oltre, senza adagiarmi su ciò che si è già fatto e sperimentato, “rischiando”, senza dare nulla per scontato, sia nelle composizioni, sia nelle strutture sia nei ruoli, mantenendo però intatti la missione e il desiderio di toccare le corde più sensibili dell'ascoltatore, attraverso la cantabilità e la liricità della melodia, supportate dalla varietà timbrica e ritmica".
more: www.feliceclemente.com
martedì 9 dicembre 2014
Cristina Donà: Live @ Orion, Ciampino (Roma) 08.12.2014
Orion Club, Ciampino, periferia romana. Fuori c’è un inverno che inizia a farsi sentire. Dentro c’è Cristina Donà, impegnata nel tour promozionale del recente album “Così vicini”. Terminata la parentesi intima e riservata del tour acustico è arrivata l’ora di attaccare i jack, scaldare gli amplificatori, elargire emozioni forti, senza sussurri e sfumature. Prima di partire per la serie di concerti, la Donà scrive sul suo profilo Facebook: «La valigia ancora da fare. Mi pare di ricordare quasi tutti gli accordi e le parole, però non credo di ricordare chi sono io, ma questo non è importante... Su quel palco sarò in mutazione costante alla ricerca di una personalità e di un nome... magari lo faremo assieme. Adoro il mio lavoro anche per questo». E sotto quel palco c’è chi l’adora, principalmente, per la sua complessa semplicità. Da sempre il suo linguaggio è fatto di parole silenziose e grida, carezze e graffi, e la tappa romana ne conferma le attitudini, ne ribadisce lo spessore e ne alimenta, forse, qualche rimpianto per quello che sarebbe potuto essere. “Settembre” e “Universo”, per l’occasione unita ad “Across The Universe”, cantate su equilibri sottili di percussioni e pianoforte alzano il livello di emozionabilità, “Invisibile” è densa e scura più che mai, “Torno a casa a piedi” riflette grinta a piene mani. Dal vivo i brani del nuovo album assumono una dimensione più importante, e qualcuno, forse, è destinato a rimanere in scaletta anche in futuro, come “Il senso delle cose”. La band è di quelle d’eccezione, con Saverio Lanza, Emanuele Brignola e Cristiano Calcagnile capaci di flettere con scioltezza a seconda degli scenari proposti, facendosi sfondo prezioso e, in certi casi, prendendosi la scena. Cristina Donà è autoironica, racconta aneddoti, gioca con i doppi sensi del kazoo, parla con il pubblico e, tra le tante divagazioni al limite del nonsense, dice cose importanti, molto importanti. Canta l’amore, narra storie andate storte, ma emana, soprattutto forza e positività a piene mani. Uscendo dall’Orion sbattiamo contro l’inverno, ma con il cuore gonfio di calore.
mercoledì 3 dicembre 2014
Agus Collective: Jazz indipendente
Agus Collective è l’esempio di come molto spesso la voglia di fare riesce a superare difficoltà di ogni genere, come la mancanza di finanziamenti pubblici e l’assenza di spazi idonei per la realizzazione delle idee. È un collettivo di musicisti, di base a Roma, uniti dal comune intento di fare musica dal buon livello qualitativo, con determinazione espressiva e senza compromessi
«Indipendentemente dai nomi e i cognomi di chi partecipa, Agus è un’idea e, dai risultati ottenuti, sembra essere una buona idea». Agus Collective è l’unione di un manipolo di musicisti spinti da un forte senso di gruppo, al punto che anche le dichiarazioni che ci hanno rilasciato sono tutte a firma collettiva. La loro iniziativa è nata quattro anni fa, dopo alcuni sporadici tentativi portati avanti in maniera individuale. Oggi producono un’operatività sistematica che realizza la rassegna Jazz Zone, che si tiene durante l’arco della stagione invernale, ogni giovedì sera, nello spazio sociale Il Cantiere, a Roma. La qualità della proposta musicale è un punto sul quale Agus non scende a patti, e le scelte operate dal singolo musicista sono viste come un’assunzione di responsabilità nei confronti del pubblico. Oltre ai concerti e allo scambio d’idee il fine della loro iniziativa è quello di: «Mettere i musicisti che hanno qualcosa da dire direttamente in contatto con un pubblico che abbia voglia di ascoltare, evitando intermediari spesso parassitari. Importante è anche il fine sociale di rendere chiunque in grado di potersi permettere un eccellente concerto senza spendere un patrimonio». Anche per loro il problema economico resta centrale: «Finché disponiamo di spazi per fare buona musica, finché siamo abbastanza credibili e coerenti da avere un pubblico che si fida delle nostre scelte e ci segue e finché possiamo contare sull’appoggio e la collaborazione di tanti eccellenti, spesso eccezionali, musicisti, ce la facciamo da soli. L’autogestione delle risorse è una condizione obbligata per noi, non una scelta politica; rivendichiamo un’esigenza espressiva, non un modello economico». Situazione non certo facile da gestire, soprattutto quando si opera in un momento culturale deficitario, sia per la propensione nel ricevere una determinata proposta artistica, sia nella considerazione generale del jazz e delle musiche lontane dai circuiti mainstream: «Troviamo che la responsabilità sia in primo luogo degli addetti ai lavori. Foraggiare musica idiota e stereotipata è una strategia di “addestramento” di un “pubblico-massa” fatto su misura per scopi commerciali, e questo provoca un abbassamento della qualità della musica in generale. Ma esiste anche un pubblico attento ed esigente, che è vitale per il musicista. Il musicista con la sua ricerca fa crescere la sensibilità del pubblico, tanto quanto il pubblico esigente aiuta la creatività del musicista. Quelle realtà che vogliono controllare, anziché stimolare, questo rapporto diretto, uccidono l’ambiente e le prospettive di crescita culturale». Musica di sicuro interesse, pubblico pronto nel ricevere proposte inedite, momenti di aggregazione, in una sorta di continuo fermento artistico rendono Agus come uno dei fenomeni di maggiore incisività nell’ambito jazzistico, e lo pongono come un esempio di presa di coscienza culturale e come un forte indizio di itinerario espressivo percorribile.
martedì 2 dicembre 2014
Bandzoogle insieme ad All About Jazz
Nuova collaborazione tra i due siti web
Bandzoogle, la piattaforma on line di riferimento per moltissime band e musicisti di tutto il mondo, ha annunciato una nuova collaborazione con All About Jazz. I musicisti membri di AAJ avranno delle agevolazioni riguardo ai servizi offerti da Bandzoogle, sia riguardo al discorso di marketing e pubblicità sia di vendita dei supporti. David Dufresne, CEO di Bandzoogle, ha dichiarato: «Siamo lieti di offrire i nostri servizi a prezzi accessibili ai musicisti e alle etichette che necessitano di una soluzione semplice, ma potente, per la costruzione di una presenza web professionale».
lunedì 1 dicembre 2014
Blue Note Records e Sonos annunciano una partnership esclusiva
Accordo raggiunto tra l’etichetta e l’azienda di Hi-Fi
La Blue Note Records e Sonos, l’azienda tra i leader mondiali nel settore di prodotti Home Audio Wireless, hanno annunciato un’esclusiva collaborazione in occasione dei settantacinque anni delle storica etichetta americana. È stato lanciato sulla piattaforma digitale di Sonos il Blue Note Channel, attraverso il quale gli ascoltatori posso ascoltare in streaming gli artisti presenti nel catalogo dell’etichetta. Inoltre è prevista anche una nuova applicazione per dispositivi mobili e altre novità che verranno annunciate in futuro.
venerdì 28 novembre 2014
WBGO Radio: Amy Niles nuovo direttore e CEO
Prende il posto di Cefa Bowles
La stazione radio americana WBGO 88.3 FM ha annunciato la promozione di Amy Niles come nuovo direttore e amministratore delegato. Si tratta del quarto in trentacinque anni di storia dell’emittente specializzata in musica jazz. Amy Niles ha stretto collaborazioni importanti per la radio, come con il Jazz at Lincoln Center, il Brooklyn Museum of Art e il Gateway Center di Newark. In merito al suo nuovo incarico ha dichiarato: «Sono incredibilmente entusiasta, e per il futuro continueremo a intraprendere e realizzare grandi cose».
giovedì 27 novembre 2014
Kenny Garrett: nuovo incarico alla William Paterson University
È il direttore del programma Jazz Studies
Il sassofonista e compositore Kenny Garrett è il nuovo direttore del programma Jazz Studies alla William Paterson University di Wayne, nel New Jersey. Garrett diventa il quinto musicista nella storia a dirigere questo speciale corso, fondato nel 1973 e tra i più prestigiosi degli Stati Uniti, dopo Thad Jones, Rufus Reid, James Williams e Mulgrew Miller. Il programma, oltre agli attestati di jazz, offre la possibilità di specializzazione in audio recording, educazione musicale e music management.
mercoledì 26 novembre 2014
Jøkleba: Outland (ECM, 2014)
Per Jørgensen (tr, voc, kalimba, fl); Jon Balke (electronics, pf); Audun Kleive (electronics, batt, perc)
“Outland” è il debutto su etichetta ECM del trio norvegese Jøkleba, attivo da diversi anni e apprezzato per i precedenti episodi discografici sia dal pubblico sia dalla critica internazionale. In scaletta troviamo quattordici tracce, alcune delle quali sono dei brevi frammenti della durata di due minuti o poco meno, nelle quali il trio mette insieme una musica basata sull’interazione di piccoli segmenti di suono, tra innesti elettronici, melodie accennate di pianoforte, tromba e voicing. Ne viene fuori un contesto formalmente prossimo alla totale libertà espressiva, ma coerente a un processo di costruzione sonora in continuo divenire, che dà luogo a risultati spiazzanti. Il trio agisce facendo leva su pause e dilatazioni temporali, che riflettono l’intenzione concettuale di “Outland”, lavoro che si ispira alla perdita di coscenza della mente umana, come descritto nei testi di Sylvia Plath, Laura Restrepo, Guy de Maupassant, Sadegh Hedayat e Ken Kesey, ai quali si riferiscono i titoli dei brani.
Vridd 1 / Bell Jar / Blind Owl / Beyond The Glass / The Nightwood / Rodion / Horla / Vridd 2 / Tremens / Brighton / One Flew Over / Curious Incident / Below The Vulcano / Vridd 3
martedì 25 novembre 2014
ECM Records: nuove rimasterizzazioni
Quindici titoli per iTunes
La ECM Records ha annunciato che, con effetto immediato, saranno disponibili quindici titoli rimasterizzati per la piattaforma digitale iTunes. Il lavoro sulla prima lista di album, dove troviamo incisioni come “Sleeper” di Keith Jarrett, “Tabula Rasa” firmato Arvo Pärt e “Mutations” di Vijay Iver, è stato supervisionato da Manfred Eicher, il quale ha dichiarato: «È stato particolarmente interessante lavorare sulle sorgenti analogiche degli album più vecchi e riuscire a ottenere un ottimo risultato anche a 24 bit».
more: ECM
lunedì 24 novembre 2014
Steinway & Sons: “Live From The Factory Floor Series”
Jason Moran apre la nuova serie di uscite discografiche
La prestigiosa ditta di pianoforti Steinway & Sons ha lanciato una nuova serie di registrazioni discografiche denominata “Live From The Floor Factory”. Si tratta di performance dal vivo che avranno luogo, con frequenza trimestrale, nella fabbrica della società a New York City. Il primo nome in catalogo è quello di Jason Moran, e l’obiettivo è quello di registrare i pianisti che si esibiscono nel mondo utilizzando i pianoforti della società. Michael Sweeney, presidente di Steinway, ha definito l’incontro con Moran come: «Un avvenimento magico, che nessuno di noi dimenticherà».
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venerdì 21 novembre 2014
Frank Morgan: Sound Of Redemption Documentary
La vita del sassofonista in una pellicola diretta da N.C. Heikin
Sound Of Redemption è il nuovo documentario, diretto da N.C. Heikin, sulla vita del sassofonista Frank Morgan, venuto a mancare nel 2007. La pellicola è stata presentata durante il Los Angeles Film Festival, ed ha riscontrato pareri favorevoli da parte di pubblico e critica. Quella di Morgan non è stata una vita facile, e “Little Frank”, come era soprannominato da Charlie Parker, ha avuto spesso a che fare con storie di droga che ne hanno ostacolato la carriera. Heikin indaga, in ottantaquattro minuti, gli aspetti di un talento mai del tutto sbocciato.
giovedì 20 novembre 2014
Sean Jones nominato direttore del Brass Department di Berklee
Prende il posto del trombonista Tom Plsek
Il Brass Department del Berklee College of Music di Boston ha un nuovo direttore: si tratta del trombettista Sean Jones, che prende il posto del trombonista Tom Plsek in carica negli ultimi venticinque anni. Il presidente di Berklee Roger H. Brown ha dichiarato in merito: «Siamo molto felici di accogliere Sean alla nostra famiglia, certi che il suo contributo sarà decisivo per la formazione dei futuri musicisti». Appena dopo la nomina Jones si è detto: «Onorato di aver ricevuto una così grande opportunità. Mi sembra di vivere un momento surreale».
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mercoledì 19 novembre 2014
Made in New York Jazz Competition insieme a Kawai America
Rinnovato l’accordo di sponsorizzazione
Per il secondo anno consecutivo si rinnova la collaborazione tra gli organizzatori del contest Made in New York Jazz Competition e la Kawai America Corporation, la ditta giapponese specializzata nella costruzione di pianoforti e tastiere. Ad annunciarlo è stato Mikhael Brovkin, responsabile del contest on-line, che si è detto: «Entusiasta di avere un brand così importante come sponsorizzazione della nostra giovane realtà». Al vincitore di questa nuova edizione andrà, oltre a un premio in denaro, anche un piano Kawai MP11.
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martedì 18 novembre 2014
Vito Liturri Trio: in uscita "After The Storm" (Dodicilune/Ird)
Giovedì 27 novembre esce in Italia e all’estero, nel circuito IRD e nei principali store digitali, "After The Storm", il nuovo progetto discografico del Vito Liturri Trio, prodotto dall’etichetta pugliese Dodicilune. Il pianista e compositore barese è affiancato dal contrabbassista Marco Boccia e dal batterista Lello Patruno.
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lunedì 17 novembre 2014
João Lencastre's Communion: esce oggi "What is this all about?"
Esce oggi tramite Auand Records, con ditribuzione Goodfellas, il nuovo lavoro targato João Lencastre's Communion dal titolo "What is this all about?". Questa la scaletta: 01 View Over the Palace / 02 The House of Fun / 03 Kubrick / 04 The Game / 05 Opus 39, N. 9 / 06 Whai is This all About? / 07 Lucky River / 08 Picture / 09 Alma.
Alle regitrazioni, oltre a João Lencastre (batteria), hanno preso parte: David Binney (alto); Phil Grenadier (tromba); Jacob Sacks (pianoforte); André Matos (chitarra); Thomas Morgan (contrabbasso). Ospiti: João Lencastre (batteria e synth #4); Sara Serpa (voce in #2,#3); Tiago Bettencourt (voce in #1,#2,#3); Ary (modular synth efx in #1,#2); Benny Lackner (Wurlitzer in #4).
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venerdì 14 novembre 2014
"Miles Ahead": il film su Miles Davis di Don Cheadle
Miles Ahead, il film diretto da Don Cheadle sulla vita di Miles Davis, è finalmente pronto. Il percorso per la realizzazione della pellicola, e della necessaria raccolta dei fondi, non è stato tra i più semplici. Viste le difficoltà, lo scorso mese di giugno, Don Cheadle ha avuto l’intuizione di mettere in piedi una campagna di crowdfunding attraverso il sito Indiegogo, che in poco tempo ha ottenuto il risultato sperato di oltre trecentomila dollari. Una cifra considerevole, che ha permesso al regista, al debutto dietro la cinepresa dopo aver costruito la sua fama come attore e produttore cinematografico, di portare a compimento questa idea, che a suo avviso: «Non poteva seguire un percorso di produzione tradizionale. Un film come questo è rivolto a un pubblico di nicchia, perché, anche se Miles Davis è molto conosciuto, il jazz rimane al di fuori del circuito mainstream». Don Cheadle sta pensando al film da circa dieci anni, anche se la sua passione per Miles Davis è iniziata da quando era bambino, come ha recentemente dichiarato: «La sua musica è stata sicuramente una parte della mia vita, grazie soprattutto ai miei genitori. Inoltre, sono stato fortunato, quando andavo a scuola, ad avere insegnanti di musica che ci hanno introdotto al jazz. In quinta elementare ho iniziato a suonare il sax ed ero un fan di Charlie Parker e Cannonball Adderly. È attraverso Cannonball che ho poi trovato la via verso Miles». Ma Miles Ahead non è il solito film biografico, che ripercorre la vita dell’artista in una sequenza temporale. Don Cheadle, in fase di presentazione, ha spiegato che si tratta: «Di una sorta di gangster movie, nel quale lo stesso Miles avrebbe voluto recitare. Del resto Miles è sempre stato protagonista della propria storia. Non volevo realizzare il classico film biografico, ma riflettere nella pellicola il suo stesso approccio musicale, sempre rivolto alla stretta attualità e alle ipotesi future. Se oggi fosse vivo, probabilmente, starebbe collaborando con artisti come Jay Z e Skrillex». L’idea principale è stata quella di raccontare una storia non strettamente legata al jazz, ma di mettere in risalto anche il profilo umano di una persona. L’attenzione del regista si è focalizzata, oltre che sul controverso rapporto con la ballerina francese Frances Taylor, su un particolare periodo, quello relativo all’isolamento artistico e al ritorno alle scene, sul finire degli anni Settanta, in un momento della sua vita particolarmente difficile e tormentato. In fase di realizzazione sono stati decisivi i supporti dei famigliari di Miles, delle case discografiche Sony e Columbia, di Herbie Hancock per la scelta delle musiche per la colonna sonora e di Robert Glasper, autore di alcuni brani originali, appositamente scritti per il film. Per la stesura Don Cheadle, che interpreterà Miles, è stato supportato da Steve Baigelman, mentre tra gli altri attori protagonisti troviamo i nomi di Ewan McGregor e Michael Stuhlbarg.
giovedì 13 novembre 2014
Marcin Wasilewski Trio w/ Joakim Milder: Spark Of Life (ECM, 2014)
Marcin Wasilewski (pf); Slawomir Kurkiewicz (cb); Michal Miskiewicz (batt); Joakim Milder (ten)
Nella nuova uscita per ECM “Spark Of Life”, il trio capitanato dal pianista Marcin Wasilewski si avvale della collaborazione del sassofonista svedese Joakim Milder. Ne deriva un album dal forte senso lirico, giocato essenzialemente sul fattore melodico dei brani, sempre cantabili e suonati in maniera lineare ed equilibrata. L’iniziale Austin, dedicata alla memoria del giovane musicista Austin Peralta (http://en.wikipedia.org/wiki/Austin_Peralta), è svolta in trio, e riflette la capacità di Wasilewski di suonare temi che prendono forma e consistenza con calma, nel pieno rispetto delle dinamiche e delle geometrie d’insieme. Milder è chiamato a espandere le capacità timbriche del gruppo, svolgendo sia un ruolo da solista melodioso ed estremamente fluido negli interventi, sia da elemento di dialogo per il leader. Oltre ai brani originali troviamo in scaletta anche una personale rilettura di Message In A Bottle di Sting.
Ausitn / Sudovian Dance / Spark Of Life / Do rycerzy, do szlachty, do mieszczan / Message In A Bottle / Sleep Safe And Warm / Three Reflections / Still / Actual Proof / Largo / Spark Of Life
mercoledì 12 novembre 2014
Francesco Negro Trio: Apettando il tempo (Silence Records, 2014)
Francesco Negro (pf); Igor Legari (cb); Ermanno Baron (batt)
Il trio guidato da Francesco Negro si era già distinto nel precedente lavoro in studio “Silentium” (Alfa Music, 2012), e con il nuovo “Apettando il tempo” conferma le buone impressioni riscontrate in quella occasione, mettendo in evidenza un’acquisita presa di coscienza delle proprie possibilità. Questo perché la scrittura del leader riflette un’ampia apertura di possibilità espressive, che spaziano, con estrema flessibilità formale, da temi chiari ed esposti in maniera diretta a situazioni pià introspettive e articolate, da movimenti eleganti, giocati su millimetrici equilibri timbrici, ad altri costruiti in maniera più isitintiva. Francesco Negro si ritaglia spesso un ruolo cardine negli ingranaggi dell’intero lavoro, composto da sette brani originali con l’aggiunta, in chiusura di scaletta, della monkiana Trinkle Tinkle. Inoltre, c’è da sottilineare anche la concettualità dell’album, basata sull’ideale unione degli elementi di tempo, spazio ed energia, che nel lavoro grafico, messo a punto da Luigi Partipilo in un particolare packaging con all’interno dei lucidi sovrapposti, si evidenzia nell’interazione dei colori giallo, rosso e blu, ognuno dei quali associato a un musicista del trio.
Aspettando il tempo / Il triangolo del cerchio / Sky Is High / Frammento III / Apettando il tempo – parte seconda / Il piccolo principe / Apettando il tempo – parte terza / Trinkle Tinkle
martedì 11 novembre 2014
Alessandro Lanzoni: il nuovo album "Seldom" in uscita il 18 novembre
Alessandro Lanzoni pubblicherà il nuovo album "Seldom" su etichetta CAM Jazz (distr. Goodfellas) il prossimo 18 novembre. Il disco, registrato col suo trio composto da Matteo Bortone al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria, vede la partecipazione straordinaria del trombettista americano Ralph Alessi.
Si tratta di un nuovo convincente passo avanti per il ventiduenne pianista, che con il nuovo album dimostra una notevole maturazione sia tecnica sia espressiva. La vittoria al Top Jazz 2013 come miglior nuovo talento, avvenuta dopo la pubblicazione dell’album "Dark Flavour", è stata seguita da un’intensa attività live che ha permesso a Lanzoni di focalizzare appieno i nuovi brani prima dell’incisione. Con Ralph Alessi si è subito instaurata una perfetta sintonia musicale nonostante non avessero mai suonato assieme in precedenza.
lunedì 10 novembre 2014
Louis Sclavis Quartet: Silk And Salt Melodies (ECM Records, 2014)
Louis Sclavis (cl); Gilles Coronado (ch); Benjamin Moussay (pf, tast); Keyvan Chemirani (perc)
Louis Sclavis, Gilles Coronado e Benjamin Moussay, già attivi come Atlas Trio, si sono dati appuntamento nel marzo 2014, insieme al percussionista iraniano Keyvan Chemirani, presso gli studi La Buissonne, a Pernes-les-Fointaines, per dare forma a “Silk And Salt Melodies”, l’album edito dalla ECM di Manfred Eicher. Ne è scaturita una musica espansa, capace di oltrepassare, con grande flessibilità formale, i confini stilistici del jazz propriamente inteso, per andare a indagare, attraverso lunghi percorsi d’eplorazione melodica, espressioni lontane, che portano anche verso figure dalle sfumature orientali. Lo stesso Sclavis, riguardo alle intenzioni dell’album, ha dichiarato che: «C’è dentro il mio desiderio di riflettere un immaginario nomade, e che rimandi alla tematica dell’immigrazione nella storia del mondo». La scaletta si compone di soli brani originali scritti dal leader, che sfrutta appieno le qualità timbriche di questa formazione, attraverso temi articolati e costruiti con lentezza, nei quali l’utilizzo delle pause gioca, a volte, un ruolo decisivo. La foto di copertina è di Louis Sclavis.
Le parfum de l’éxil / L’homme sud / L’autre rive / Sel et soie / Dance For Horses / Des feux lointains / Cortège / Dust And Dogs / Prato plage
venerdì 7 novembre 2014
Le personalità eccezionali: intervista a Filippo Bianchi
Qual è oggi, al tempo dell’informazione totale, il ruolo del critico musicale?
Ci sono casi, in natura, di processi evolutivi esagerati, per cui certi animali sviluppano arti enormi o code enormi o denti enormi o corna enormi, che finiscono per diventare ingombranti e paralizzanti. Un curioso fenomeno, che si chiama ipertelia, cioè eccesso di funzione. Uscendo dalla metafora naturalistica, è chiaro che viviamo una sorta di ipertelia della comunicazione: ci sono tante di quelle informazioni che finiscono per nascondersi una sotto l’altra; prese singolarmente sono trasparenti, ma la sovrapposizione dei loro strati crea un effetto di opacità. In un mercato sempre più ridondante di offerte, il ruolo del critico, dello specialista – che per mestiere deve gestire molte più informazioni di un ascoltatore qualunque – cresce di importanza, nell’individuare e indicare quelle opere che gli paiono originali, o particolarmente riuscite, o realmente innovative, o destinate a durare. Poi i suoi lettori valuteranno se, secondo la loro sensibilità, quel critico è un advisor affidabile o meno. Per il resto, il ruolo del critico è quello di sempre: riuscire a trasmettere le emozioni che un’opera gli ha suscitato; compito non facile, meno che mai dovendo tradurre la musica in parole, cioè mettendo in relazione due linguaggi fra loro intraducibili. Infatti spesso, piuttosto che assolvere missioni così ardue, ci si arrabatta a pontificare, o aggettivare con ridondanza, o indagare strutture.
La critica musicale italiana in ambito jazzistico, nel corso del tempo, in cosa ha peccato?
Mi perdonerai se mi autocito, ma quando ero direttore di Musica Jazz mi è capitato di scrivere quanto segue: «Se volessimo usare una metafora giudiziaria, potremmo dire che nella tradizione italiana il jazz ha avuto moltissimi giudici, parecchi avvocati difensori e pubblici ministeri, ma una certa penuria di testimoni. La critica jazz ha generato illustri musicologi e valenti polemisti, ma ricordo pochissimi critici di impostazione giornalistica, quelli che non hanno la pretesa di raccontare la storia con la esse maiuscola, bensì le storie quotidiane, vissute, magari banali ma umane, che poi diventano fonti, cioè nutrimento degli storici. E siccome la funzione giornalistica è – oltre che informativa – anche divulgativa e narrativa, forse anche a questa impostazione si può far risalire l’interesse tiepido che – paragonato a quello di altri Paesi europei – il pubblico italiano ha storicamente mostrato nei confronti di questa musica». Fra quelli che sono riusciti a raccontare in modo appassionante, e a connettere, l’arte e la vita dei suoi protagonisti mi vengono in mente A. B. Spellman, Philippe Carles, Brian Priestley, Mike Hennessey. In quell’ambito, di italiani mi viene in mente solo Alberto Rodriguez, che però purtroppo ha scritto di jazz solo sporadicamente.
Esiste il jazz italiano, inteso come stile riconoscibile?
Mi sembrerebbe un’affermazione spericolata. Non credo molto alle scuole su base geografica, anzi penso che quelle che conosciamo siano la conseguenza della comparsa di personalità eccezionali, diventate cime di piramidi: sotto di loro sono cresciuti gli emulatori, a varie altezze; senza di loro, non è che l’aria di New Orleans o di Chicago abbia qualcosa di speciale rispetto, poniamo, a Detroit o Boston. Le personalità eccezionali sono le scintille da cui nasce “un ambiente” favorevole, quello che poi si stratifica in una scuola o uno stile. Ricordo che alcuni protagonisti del West Coast Jazz non erano affatto californiani, probabilmente erano capitati lì proprio perché sapevano che avrebbero trovato colleghi interessanti. Negli anni Sessanta, a Londra, Ronnie Scott cambiò sede al suo celeberrimo locale, ma siccome aveva pagato l’affitto della vecchia sede per tutto l’anno, ne concesse l’uso a quella generazione di musicisti ¬– comprendente Kenny Wheeler, Tony Oxley, Dave Holland, Evan Parker, John Stevens, John McLaughlin, Paul Rutherford – che lì suonava sperimentando liberamente tutte le sere, senza altra preoccupazione che la musica. Una volta ho chiesto a Dave Holland se quella generazione avrebbe maturato una tale originalità e statura espressiva non avendo a disposizione in permanenza uno spazio libero. Mi rispose: «Probabilmente no». È chiaro che l’ambiente culturale e sociale esercita una qualche influenza, e che il multiculturalismo e multilinguismo di New Orleans creavano una situazione feconda per il jazz. Ma, pur collettivo nell’esecuzione, il jazz si regge sulla forza delle personalità individuali.
In molto lo individuano nella forza melodica.
Certo, esiste una tradizione melodica italiana che puoi rintracciare nello stile di Enrico Rava o Paolo Fresu, come ne esiste una nordica che riconosci in Jan Garbarek o Nils-Petter Molvær. E forse non è un caso che tre grandi di uno strumento vocato alla melodia come il clarinetto fossero di origini italiane: Tony Scott, Buddy DeFranco e Jimmy Giuffre. Uno stile italiano molto riconoscibile c’era semmai al tempo di Gorni Kramer e del Quartetto Cetra, oggi non saprei definirlo: ci sono in giro molti bravi jazzisti, e la loro somma fa il jazz italiano, in un’amplissima varietà di stili e orientamenti. Nonostante l’indifferenza delle istituzioni, al limite dell’ostilità, l’ambiente è piuttosto fecondo e aperto: due musicisti tanto diversi quanto Antonello Salis e Fabrizio Bosso suonano insieme, e si divertono molto a farlo, ma ognuno dei due ha un suo stile. La natura del jazz è nello scambio cosmopolita dei saperi e delle influenze.
Per quale motivo molte enciclopedie del jazz hanno ignorato per molti anni i musicisti italiani?
Non mi risulta che ci siano motivi intenzionali. L’informazione una volta non era così facile da reperire, e la maggior parte delle enciclopedie serie sono precedenti all’era della comunicazione globale. Sono poco citati anche i jazzisti sudafricani, quelli olandesi, polacchi, scandinavi, e di rado viene citato il fatto che Oscar Peterson, Gil Evans e Paul Bley sono canadesi. Il motivo probabilmente è nel fatto che la critica più autorevole si è sviluppata storicamente negli Stati Uniti, grande paese in cui però generalmente si è poco propensi a guardare fuori dai confini: perfino oggi, perfino nel jazz. I francesi ad esempio soffrono meno di sottoesposizione enciclopedica perché lì c’è una tradizione forte di pubblicistica jazz.
Sei stato per diversi anni direttore della rivista Musica Jazz. Come è cambiato il profilo dell’appassionato di jazz negli ultimi dieci anni?
Il problema forse è proprio che non è cambiato: è invecchiato, soprattutto quello che legge pubblicazioni specializzate. Probabilmente c’è anche un pubblico più giovane, ma pochi sono in grado di intercettarlo o definirlo perché comunica attraverso mezzi diversi dalla stampa, in un raggio compreso fra il tam-tam e Facebook.
giovedì 6 novembre 2014
Mark Turner Quartet: “Lathe Of Heaven” (ECM, 2014)
Mark Turner (ten); Avishai Cohen (tr); Joe Martin (cb); Marcus Gilmore (batt)
Sei brani firmati da Mark Turner, frutto delle sedute di registrazione agli Avatar Studios di New York City del giugno 2013, compongono la scaletta del suo “Lathe Of heaven”. Ad affiancarlo, in questa nuova uscita discografica targata ECM, ci sono il trombettista Avishai Cohen e la sezione ritmica formata da Joe Martin al contrabbasso e Marcus Gilmore alla batteria. I temi, lunghi e articolati, si sviluppano prevalentemente su tempi medio-lenti e la cantabilità delle melodie è l’elemento di primo piano dell’intera registrazione. Gli interpreti non si allontanano mai troppo dalle radici tematiche, cosicché ne deriva un ascolto lineare, privo di stravolgimenti, dove è la pregiata tessitura timbrica e il millimetrico gioco d’incastri ritmici a rendere scorrevole l’ora di musica proposta. Cohen e Turner denunciano un grande affiatamento e sono i loro dialoghi e i loro unisoni a ricoprire le parti di primo piano.
Lathe Of Heaven / Year Of The Rabbit / Ethan’s Line / The Edenist / Sonnet For Stevie / Brother Sister 2
mercoledì 5 novembre 2014
È stato il lavoro di una vita: intervista ad Adriano Mazzoletti
Adriano Mazzoletti (classe 1935) ha dedicato una vita al jazz, come giornalista, produttore, conduttore radiofonico e scrittore. Negli ultimi anni ha pubblicato per Edizioni EDT i due monumentali volumi Il Jazz in Italia: il primo nel 2004, “Dalle origini alle grandi orchestre”; il secondo nel 2008, “Dallo Swing agli anni Sessanta”. È in programma il terzo volume, per completare uno sforzo editoriale difficilmente superabile, che ha messo un ordine decisivo alla storia del jazz italiano.
Le più importanti storie del jazz nel Mondo ignorano, o sottovalutano, il jazz italiano. Perché?
È una ragione molto lunga da spiegare. In passato il jazz italiano, dal dopoguerra agli anni Settanta, non è mai stato aiutato dai promoter, dai critici e dalle persone che eventualmente dovevano sottolineare l’evolversi del jazz. Se per esempio prendiamo la rivista francese Jazz Hot e la confrontiamo con Musica Jazz, che al tempo era l’unica rivista che esisteva in Italia, possiamo notare che ogni due o tre uscite della rivista francese c’erano dei musicisti della loro nazionalità, mentre da noi era rarissimo trovare in copertina un musicista italiano. Questo avveniva perché quelli che facevano Musica Jazz erano dei fondamentalisti; per loro il jazz era americano e non si scostavano da questa idea. In parte avevano anche ragione, però al di là del jazz americano ci sono stati grandi musicisti, che avevano il loro grande valore. Anche per questo motivo il jazz italiano non ha mai goduto di considerazione all’estero, non ha mai catturato l’attenzione delle riviste e della critica in genere fuori dai confini nazionali. Sono di fatto rarissimi i casi di musicisti italiani che hanno passato le Alpi fino agli anni Settanta.
Nel corso del tempo alcune cose sono cambiate.
Sì, e un po’ lo si deve a un qualcosa che in un certo senso mi riguarda. A metà degli anni Sessanta c’è stata da parte dell’Unione Europea Radiodiffusione una sorta di organizzazione molto importante: tutte le radio pubbliche d’Europa si sono messe d’accordo e hanno varato un’iniziativa per la musica jazz, con uno scambio continuo di registrazioni e di musicisti. Questo ha fatto sì che i musicisti italiani hanno incominciato a essere apprezzati all’estero. Uno su tutti è stato Gianluigi Trovesi. Quando l’ho mandato a un concerto in Austria, tutti i colleghi presenti rimasero a bocca aperta, perché non si aspettavano che in Italia ci fosse un musicista così interessante. In seguito fu invitato spesso all’estero, e la stessa cosa accadde a Enrico Rava e Giovanni Tommaso. Dopodiché le cose si sono evolute e con il tempo il jazz italiano – e non lo dico io, ma molti colleghi stranieri – nella sua globalità è il jazz più importante nel Mondo.
Quanto è stato difficile mettere insieme, e in maniera ordinata, la storia del jazz italiano vista la scarsità di materiale a disposizione?
È stato il lavoro di una vita. Quando ero molto giovane mi trovavo a Perugia, ero uno studente appassionato di jazz, al tempo c’erano musicisti come Bill Coleman e Chet Baker che ogni tanto venivano a suonare in Italia. In quel periodo ho conosciuto un musicista molto anziano che suonava sax e clarinetto, che mi raccontava che in Italia si suonava del jazz negli anni Venti. La cosa mi incuriosì molto, perché a quei tempi si sapeva poco o nulla sulla nascita del jazz italiano. Da lì è partita la mia ricerca. Il jazz in quegli anni era una musica che non si suonava in forma di concerto, ma in sala da ballo. Di seguito sono nati i primi jazz club, come quello di Torino, dove si svolgeva un’attività di tipo jazzistico. Le mie ricerche sono durate tantissimo, ho intervistato centinaia di musicisti, perché dovevo mettere insieme una grande quantità d’informazioni. All’inizio furono pubblicate su libro-disco dalla Ricordi, poi in un piccolo libro per l’editore Laterza e poi finalmente ho trovato la EDT che ha creduto molto in questo progetto pubblicando due volumi di circa duemila pagine. Ho fatto un lavoro certosino, anche perché ho dovuto verificare tutte le informazioni che i musicisti mi davano, quindi ci sono state tantissime ricerche incrociate.
C’è in cantiere il terzo volume?
Sì, lo sto realizzando. Tratterà del jazz in Italia dagli anni Sessanta ai giorni nostri, con particolare attenzione all’attività dell’UER, perché esistono delle registrazioni negli archivi delle radio che non sono mai state pubblicate, ma che sono d’importanza straordinaria. Ormai di jazz in radio se ne fa veramente poco, mentre prima c’era una presenza massiccia di questa musica.
Il jazz italiano deve qualcosa a chi descrive e analizza quasta musica?
Sì, sia in negativo che in positivo. Di recente ci sono stati dei critici che hanno detto cose importanti, soprattutto per far conoscere meglio i nostri musicisti. Un collega della radio danese mi diceva che il jazz italiano ha un insieme di musicisti di altissimo livello. Fino a venti anni fa era impensabile che un musicista italiano incidesse dischi in America, mentre oggi questo avviene grazie anche alla diffusione e alla visibilità data dalla critica. Tra l’altro in America oggi c’è un problema: in giro per le grandi città non c’è più un certo tipo di jazz, non c’è più il senso del jazz, una musica che più di tanto non rende dal punto di vista economico, quindi i giovani si spostano su altri stili.
Com’è cambiata la critica musicale in Italia nel corso degli anni?
Negli anni Trenta c’erano tre persone, musicisti e musicologi, che erano Livio Cerri, Roberto Nicolosi ed Ezio Levi. Avevano una capacità importante di capire e di rendersi conto di quello che stava succedendo e avevavo intuito delle cose molto interessanti. Nicolosi era un musicista professionista, Cerri era un musicista, ma faceva l’odontoiatra, mentre Ezio Levi – per via del suo nome – dovette lasciare l’Italia per le questioni delle leggi razziali. Poi c’erano gli altri, che non erano musicisti e avevavno un’idea del jazz abbastanza particolare, molti facevano dei parallelismi con la storia, la letteratura, la filosofia. Una vera critica di jazz seria, non c’era. Poi negli anni sono venute alla luce personalità importanti, come Marcello Piras. Lui è un musicologo straordinario, di grande talento, una persona molto intelligente per la capacità che ha di mettere insieme le notizie. Ce ne sono anche altri come Maurizio Franco o Stefano Zenni, un allievo di Piras. Queste persone hanno cambiato la critica jazz. Poi c’è anche la categoria del giornalista, colui che scrive di jazz, ma si occupa anche di musica in generale e che di solito scrive sui quotidiani.
Quali sono le differenze sostanziali?
Tra il critico musicista e il critico non musicista e non musicologo c’è un’enorme differenza. Il primo scende in profondità e nel tempo questi personaggi hanno detto delle cose molto importanti per il jazz italiano di questi ultimi anni. Gli altri fanno la cronaca. La critica italiana oggi è interessante per l’aspetto musicologico, mentre dovrebbe tentare di mettere maggiormente a fuoco quello che oggi è il jazz. Il pianista Dado Moroni, che vive negli Stati Uniti, mi ha detto che oggi non si capisce bene cosa sia il jazz. Dunque, perché la critica non comincia a fare un’estetica del jazz attuale? Questo sarebbe importantissimo. Il jazz in passato aveva determinate regole che riguardavano la modalità di esecuzione, e oggi la critica dovrebbe essere più attenta e dire, nero su bianco, “oggi il jazz è questo”. C’è una grande confusione, bisognerebbe creare i presupposti per chiarire le idee, ma questo non solo in Italia.
Nel futuro, in che direzione si sposterà il jazz?
Bisognerebbe avere la sfera di cristallo. Come idea di fondo, come concetto filosofico, il jazz è sempre stata una musica di fusione, con una sua estetica. Non è ancora venuto fuori oggi un qualcosa di importante. Siamo ancora nel campo della ricerca? Non lo so. È una bella domanda, sulla quale sarebbe opportuno fare un dibattito internazionale.
lunedì 3 novembre 2014
Renato Sellani: “Glad There Is You” (Ponderosa Music & Art, 2014)
Renato Sellani (pf)
Pochi giorni fa Renato Sellani ha lasciato questo mondo. Di lui ci resta la sua musica e il ricordo di una esemplare figura umana. Il doppio album “Glad There Is You”, registrato in piano solo nelle sedute di aprile e maggio 2014, diventa dunque un involontario testamento, di un artista capace di creare dal nulla un percorso che lo ha portato ai vertici del jazz italiano, grazie a un modo di fare che non ha mai tradito la sua umiltà e attraverso le tante esperienze esaltanti raccolte nel tempo, come gli incontri con Chet Baker e Billie Holiday. Oltre ad alcuni brani autografi, in questo lavoro Sellani rivisita molti classici, della musica italiana nel primo CD e di alcuni autori stranieri nel secondo, con la consueta classe e con il suo modo di esprimersi attraverso l’abbellimento delle melodie, sempre tenute in primo piano anche quando emergono vestite con altri abiti, arrangiati sempre con gusto e mai fuori luogo. A tal proposito, il pianista ci aveva recentemente dichiarato che: «Chi vuole suonare jazz deve rispettare le belle melodie, perché rappresentano la radice di tutto». Su questo assioma Sellani produce musica più che mai viva, vogliosa di innescare curiosi accostamenti, sempre con grande garbo ed estremo equilibrio espressivo.
CD1: Autoritratto / Doce doce / Anna Bri / E la chiamano estate / Ti ricordo ancora / Io che amo solo te / Torna a Surriento – Caruso / Un lenzuolo per sognare / Roma nun fa la stupida / Volare / Dolfo / Il nostro concerto / Dov’è Walter / A-A / Ma l’amore no / Patetico
CD2: I’m Glad There’s You / Everything Happens To Me / Moon River / Laura / My Foolish Heart / Nature Boy / Angel Eyes/ Ruby, My Dear / Lament / My Funny Valentine / Ne me quitte pas / Que reste-t-il de nos amour / The Man I Love / Pavane
giovedì 30 ottobre 2014
FABRIZIO BOSSO: il nuovo album “TANDEM” in uscita il 4 novembre per la Verve
Fabrizio Bosso pubblica il nuovo album, dal titolo “Tandem”, in coppia con il pianista Julian Oliver Mazzariello. In uscita il 4 novembre per la Verve, il disco vede la partecipazione straordinaria di Fiorella Mannoia e Fabio Concato.
Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello presenteranno ufficialmente “Tandem” il 23 novembre al Blue Note di Milano, per poi tornare nuovamente in concerto a Orvieto in occasione di Umbria Jazz Winter, dal 28 al 31 dicembre.
In attesa dell’uscita del 4 novembre, è possibile prenotare già da ora il disco su iTunes, ottenendo in anteprima il brano Wide Green Eyes di Bosso. Inoltre, la versione digitale contiene anche la bonus track Estate.
mercoledì 29 ottobre 2014
In perenne ricerca di sé: Intervista a Paolo Benvegnù
“Earth Hotel” è il tuo nuovo lavoro. Anche in questo caso, come accaduto in passato per altri album, l’attenzione è rivolta all’amore e ai sentimenti in genere.
Sì, “Earth Hotel” fa parte di un discorso espressivo partito molto tempo fa ed è una tappa del mio percorso. Siamo su questo pianeta e viviamo, disperatamente felici, situazioni nel presente. Di questo parla l’album, dell’esistenza di ognuno di noi. Ho cercato di descrivere la nostra esistenza, di come possiamo essere visti da un alieno e di come noi possiamo immaginare loro, cercando di essere il più leggero possibile, anche se non credo di esserci riuscito (ride, NdR).
Per la realizzazione del precedente “Hermann” avevi lavorato con il tuo gruppo, mentre questo sembra un lavoro di scrittura più personale.
Sì, decisamente. Ho vissuto momenti di solitudine. Avevo la sensazione di aver detto già tutto quello che avevo da dire. Pensavo di aver raggiunto il mio limite, mentre poi ho cercato di scavare nel profondo di me stesso, lentamente, senza sapere bene dove andare a cercare. Mi sono piacevolmente perso, e un po’ per volta ho iniziato a costruire il nuovo lavoro. Chiaramente, anche in questo caso, la missione non è del tutto compiuta. È stata una sorta di gravidanza isterica, che è comunque una gravidanza.
Mentre per la musica come hai costruito il lavoro da portare in studio di registrazione?
Mi sono arrangiato con quello che avevo a disposizione: una chitarra, un basso e dei synth. Una volta che avevo raccolto tutto il materiale ho fatto delle scelte, ma non avevo bene in mente cosa avrei voluto realizzare. L’album è nato in maniera molto spontanea. A volte pensiamo che le cose debbano essere mirabilmente costruite, in altre situazioni fanno parte di un caos infinito.
Quali caratteristiche deve avere un brano per convincerti che sia pubblicabile?
In realtà è la prima volte che, ottenuta una certa sintesi, ho messo insieme un’istantanea del mio presente, e ancora oggi non so se era quello che volevo ottenere, lasciando aperta la strada a eventuali cambiamenti. Però, questo modo di operare, senza preconcetti e strategie, mi è piaciuto, e probabilmente lo riproverò in futuro.
Attraverso la musica, come hai più volte dichiarato, fai luce nel tuo personale modo di essere. Pensi di essere arrivato a un punto dove riesci a capire di cosa hai realmente bisogno?
Direi che sono consapevole del fatto che le cose che mi servono veramente sono molto poche. Questo è certamente un raggiungimento di coscienza. Mi basta avere il cibo necessario, godo del fatto di poter respirare, e poco altro ancora. Questo mi rende felice, e debbo dire che sto passando un momento gioioso, di grande serenità, perché mi sono liberato di tante cose superflue per la mia sopravvivenza. Certe volte la gente, non si sa perché, sembra non riuscire a staccarsi da alcune cose e questo crea in loro una grande disperazione.
Come riesci a vivere in un mondo fatto essenzialmente di cose superflue, esasperazione e ritmi accelerati?
Mi difendo, è questa la chiave per andare avanti. È drammaticamente complicato, cerco di fare le scelte che mi sembrano più giuste, anche se servirebbe più di una vita per capire appieno la situazione. Il mio è un tentativo di vivere in un certo modo, e credo di aver trovato la strada, anche se il significato di certi aspetti del nostro modo di essere non li capiremo mai. Il tutto è meraviglioso, anche se, per certi risvolti, terribile al tempo stesso.
Pensi che per apprezzare arrivare alla felicità bisogna necessariamente attraversare momenti di estrema difficoltà?
Sì. A volte si piange per molto poco, e un torto subito al momento ci dà sensazioni strazianti, un po’ come quando da bambini non ci davano il leccalecca. Ho detto leccalecca? È una parola che non si sente più dire, sto diventando anziano (ride, NdR). È da quando che esiste la filosofia che ci portiamo dentro una certa insoddisfazione, e da questo stato nascono le domande sul reale significato della nostra esistenza. Ovviamente non ho risposte a riguardo, penso solo che sto andando verso una direzione che, tra una trentina d’anni, mi porterà a rispondere appieno a queste domande.
Tornando all’album, molti hanno apprezzato il fatto che “Earth Hotel” è uscito anche in vinile.
È una scelta dell’etichetta che mi è piaciuta molto. In generale sono molto entusiasta delle loro scelte e del loro modo di fare le cose. Il vinile riporta la musica alla giusta dimensione, è un’esperienza d’ascolto decisamente più adatta per apprezzare il contenuto musicale dell’album. Un vinile non puoi ascoltarlo in giro o mentre sei a fare footing. A me è sempre piaciuto, mettere un vinile sul piatto è un po’ come leggere un buon libro. La musica merita del tempo per essere ascoltata.
Oggi il mercato discografico è ridotto all’osso. Sei stato in passato promotore di artisti emergenti, te la senti ancora di invogliare un giovane a intraprendere la carriera musicale?
Suonare è per me una meravigliosa necessità. Non la vedo sotto l’aspetto dell’intrattenimento. È importate a livello di espressione personale, più che sotto il profilo economico. Di fatto, per suonare, spesso bisogna fare qualcos’altro per vivere. Una volta che si è consapevoli di questo, consiglio di mettersi a fare musica solo se si sente dentro una grande voglia di espressione. Bisogna rimanere coerenti con sé stessi se si vuole che questa passione diventi una cosa bella. Ho lasciato un lavoro sicuro per la musica, quindi me la sono sentita dentro di me. Senza questa spinta è inutile mettersi in opera. Sono scelte di vita, molto importanti, ancora di più oggi che non si guadagna praticamente niente.
Sei scaramantico?
No.
Al tuo funerale cosa vorresti che dicessero riguardo alla tua persona?
Niente, mi piacerebbe che, con un minimo di lucidità, me ne andassi da questa vita con profonda dignità. Vorrei sciogliermi nell’armonia celestiale dell’universo.