Come il precedente “Chiaro” del 2011, anche “aQustico” esce per l’etichetta di Paolo Fresu Tŭk Music. Per Luca Aquino, recentemente impegnato in diversi contesti artistici, come quello con Manu Katché, si tratta della quinta incisione con il suo nome scritto in grande, e anche in questa occasione non manca l’appuntamento con l’originalità della proposta, sia dal punto di vista formale sia espressivo, che lo ha accompagnato finora nel suo cammino. Si tratta di un lavoro essenzialmente svolto con il fisarmonicista Carmine Ioanna, anche se è la versatilità dell’intero ensemble (completato da Sade Mangiaracina al piano, Giorgio Vendola al contrabbasso e Alessandro Marzi alla batteria) a segnare in maniera determinante le sette tracce in programma, cinque delle quali firmate dal leader. Al centro del linguaggio espressivo c’è l’amore di Aquino per le melodie, che si rivelano nervose e piene di spigolature nella title track, ma anche vellutate e pensose in "Chet e Liz" e in "Mastroianni", brano d’apertura firmato da Mangiaracina. Intorno si muovono ambientazioni stilistiche diverse, che tracciano un percorso d’ascolto che muove con disinvoltura dal jazz in senso stretto, agli echi balcanici, a situazioni free form.
オブリーク・ストラテジーズ / косые стратегии / oblique strategies / schuine strategieën / استراتيجيات منحرف / skrå strategier / 斜策略 / las estrategias oblicuas / তির্যক কৌশল / schräg strategien / אַבליק סטראַטעגיעס / stratégies obliques / kēlā papa kōnane o / kosi strategije
venerdì 11 ottobre 2013
mercoledì 11 settembre 2013
Murcof & Philippe Petit: “First Chapter” (Aagoo Records, 2013)
Fernando Corona e Philippe Petit produce un album fortemente caratterizzato da un approccio alla materia sonora di tipo sperimentale, nel quale confluiscono tappeti di derivazione ambient, religiosità espressiva che muove nei territori di Arvo Pärt e un’idea d’insieme riferibile al mondo delle colonne sonore, intese come sottofondo a immagini in movimento. “First Chapter” si risolve in tre passaggi (per un totale di quaranta minuti) dal ritmo lento, a tratti lentissimo, nei quali assistiamo all’alternaza di voci dal richiamo gregoriano (nello specifico quella di Sarah Jouffroy), archi dall’espressività sinistra e inquietante, e innesti prodotti da macchine elettroniche di vario genere. I significati delle composizioni chiamano in ballo la figura della maga Circe, il divino cavallo Pegaso e leggende della tradizione germanica, per un insieme difficilmente districabile e rivolto a un pubblico pronto a esperienze d’ascolto di confine.
Sleep Makes Waves: “… And So We Destroyed Everything” (Monotreme, 2013)
Gli Sleep Makes Waves sono un quartetto australiano che ha ottenuto diversi riconoscimenti in patria, e che con il loro album di debutto “…And So We Destroyed Everything” tentano di andare alla conquista di nuove frontiere di ascoltatori. L’album si compone di otto brani strumentali (più un CD di nove tracce remixate da vari artisti) nei quali i ragazzi producono la loro cifra stilistica, individuabile in una sorta di terra di mezzo tra post-rock e psichedelia. Grande risalto viene dato alla sovrapposizione, discreta e timbricamente ben calibrata, dei piani sonori prodotti dai due chitarristi Jonathan Khor e Otto Wicks-Green, i quali poggiano la loro espressività sulle matrici ritmiche elaborate dal batterista Tim Adderley e dal bassista Alex Wilson. I brani sono strutturati secondo passaggi in diverse ambientazioni sonore, e si caratterizzano per l’alternanza di situazioni quiete, al limite della trasparenza, ad altre più decise sia dal punto di vista timbrico sia dell’impatto strumentale. Il lavoro di distingue per l’organizzazione d’insieme, anche se i riferimenti ad altre realtà già esistenti (vedi, tra i tanti, Giardini di Mirò) ne compromettono l’originalità.
The Letter Yellow: “Walking Down The Streets” (Autoproduzione, 2013)
martedì 10 settembre 2013
Piero Delle Monache: Thunupa African Tour 2013 (6 - 18 ottobre)
Libreville, Addis Ababa, Nairobi, Maputo, Johannesburg, Città del Capo, Harare. Queste le città dell'Africa subsahariana che il Piero Delle Monache Quartet toccherà il prossimo ottobre, dal 6 al 18. La band del sassofonista abruzzese si esibirà in festival, teatri e istituti culturali per presentare il disco Thunupa pubblicato da Parco della Musica Records (etichetta ufficiale di Fondazione Musica per Roma, con sede presso il famosissimo Auditorium di Renzo Piano. Uscito a maggio 2012 e già acclamatissimo, Thunupa ha ottenuto diversi riconoscimenti: oltre ai quelli italiani di Musica Jazz e Jazzit (relativi bollini più nomination nei Jazzit Awards e inserimento tra i migliori 100 dischi dell’anno), anche il Bollino 4Etoiles della rivista francese Jazz Magazine.
Organizzato dal Ministero degli Affari Esteri, in collaborazione con Fondazione Musica per Roma, il Thunupa African Tour è il quarto dei tour italo-africani indetti dalla Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese, ma il primo tour intercontinentale di Piero Delle Monache.
IL SEME DI THUNUPA Scultura in terra cotta, simbolo ufficiale del tour e omaggio destinato ad ogni sede ospitante. Ideato e realizzato a tiratura limitata dai creativi Elisabetta di Bucchianico e Dario Oggiano per L’Officina delle Invenzioni.
mercoledì 4 settembre 2013
Franco D’Andrea: In concerto a Mito Settembremusica 2013 (8 e 10 settembre)
Tre gli appuntamenti tra Torino e Milano in cui D’Andrea si esibirà in varie formazioni, dal piano solo al sestetto. Insieme a lui sul palco, due ospiti d’eccezione: il batterista Han Bennink e il trombettista Dave Douglas, oltre chiaramente agli altri musicisti del suo sestetto (Mauro Ottolini al trombone, Andrea Ayassot al sax, Daniele D’Agaro al clarinetto, Aldo Mella al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria).
Oltre ai brani del suo disco in piano solo “Today”, edito a maggio di quest’anno dall’etichetta El Gallo Rojo, Franco D’Andrea suonerà gran parte del repertorio di “Traditions and Clusters”, il doppio album che vinto nel 2012 il Top Jazz come “Miglior disco dell’anno”.
L'iridescente arte di Franco D'Andrea è un poliedro tendente alla sfera. Una straordinaria panoramica sul suo pensiero musicale libero da manierismi di sorta e costantemente alla ricerca di un'espressività autentica e profonda. Musica di una caparbietà gentile, appuntita, magmatica, scattante e raffinata. Travolgente e coerente allo stesso tempo. Mirabilmente in bilico tra Apollo e Dioniso. Intensamente personale, completamente jazz.
In un'epoca in cui nella maggior parte dei casi si maneggiano forme, estetica e arte con i guanti dell'anatomopatologo a proteggersi dalla formalina, Franco e la sua musica sono una delle luci più forti in una notte buia. Un faro da seguire per superare un mare scuro e viscoso in bonaccia.
Torino - Domenica 8 Settembre 2013 - ore 11:00 Teatro Regio, Foyer del Toro Incontro con Franco D’Andrea Partecipano Luca Bragalini, Luciano Viotto Ingresso gratuito
Torino - Domenica 8 Settembre 2013 - ore 17:00 Teatro Regio Franco D’Andrea Traditions and Clusters
PARTE I Franco D'Andrea piano solo (pianoforte) in duo con Han Bennink (percussioni) in trio con Daniele d’Agaro (clarinetto), Mauro Ottolini (trombone), ospite Han Bennink (percussioni) in duo con Dave Douglas (tromba) in quartetto con Andrea Ayassot (sassofoni), Aldo Mella (contrabbasso), Zeno De Rossi (batteria), ospite Dave Douglas (tromba) Posto unico numerato € 10
Torino - Domenica 8 Settembre 2013 - ore 21:00 Teatro Regio Franco D’Andrea Traditions and Clusters
PARTE II Franco D'Andrea, pianoforte in sestetto con Andrea Ayassot (sassofoni), Daniele d’Agaro (clarinetto), Mauro Ottolini (trombone), Aldo Mella (contrabbasso), Zeno De Rossi (batteria), ospiti Dave Douglas (tromba) e Han Bennink (percussioni) Posto unico numerato € 15
Milano - Martedì 10 Settembre 2013 - ore 21:00 Teatro Manzoni di Milano Traditions and Clusters Franco D'Andrea Sextet con Dave Douglas (tromba) Han Bennink (percussioni) Franco D'Andrea (pianoforte) Andrea Ayassot (sassofoni) Daniele d'Agaro (clarinetto) Mauro Ottolini (trombone) Aldo Mella (contrabbasso) Zeno De Rossi (batteria) Ospiti: Dave Douglas (tromba) Han Bennink (batteria e percussioni) posto unico numerato € 20
martedì 3 settembre 2013
JazzitFest - Collescipoli (TR) - 5-8 sett. (106 concerti, 450 musicisti)
LA PIU' GRANDE FESTA DI SEMPRE DEL JAZZ ITALIANO
visita il sito del jazzit fest
4 giorni, 104 concerti, 450 musicisti coinvolti ma anche conferenze, workshop, expo del jazz italiano ed esposizioni d’arte e fotografiche
Dal 5 all’8 settembre 2013, in provincia di Terni, nel borgo medievale umbro di Collescipoli,andrà in scena la prima edizione del JAZZIT FEST, evento promosso e prodotto dalla rivista specializzata JAZZIT senza fare ricorso ai finanziamenti pubblici
La Vanni Editore srl, casa editrice delle riviste JAZZIT e IL TURISMO CULTURALE, conferma il suo spirito pionieristico organizzando dal 5 all’8 settembre 2013 il JAZZIT FEST: una quattro giorni di musica, mostre d’arte e di fotografia, stand, workshop, conferenze, seminari e proiezioni di film che invaderanno le vie, le piazze, gli antichi chiostri e le dimore storiche di Collescipoli, borgo medievale in provincia di Terni dove insiste la redazione di Jazzit, accogliendo il pubblico in una vera e propria “Cittadella del Jazz”.
Il tutto senza alcun tipo di contributo pubblico e a ingresso ad offerta per gli appassionati.
LA DIREZIONE OPEN SOURCE
Con ventisei concerti al giorno, conferenze, corsi, mostre d’arte e cineforum, il Festival sarà una vera e propria festa del jazz italiano, un evento nato da Jazzit per dar vita a un appuntamento tra musicisti, operatori del settore e appassionati di musica jazz attraverso una direzione artistica open source: sono stati i musicisti ad accogliere l’invito di Luciano Vanni, direttore ed editore di Jazzit, e a dare la propria disponibilità per suonare a titolo gratuito al JAZZIT FEST.
E così il programma ospita quattrocentocinquanta artisti provenienti da collocazioni stilistiche eterogenee e percorsi professionali differenti, che presenteranno i loro progetti originali, anche in prima nazionale, nell’ambito di questa manifestazione.
IL MEETING DEL JAZZ IN ITALIA
A rendere ancora più prezioso e innovativo l’evento, all’interno del Festival si terrà il Meeting del Jazz italiano: expo degli operatori del settore - etichette discografiche, festival, jazz club, scuole di musica, associazioni, promoter, agenzie di booking e management - che comprenderà anche conferenze e riunioni a porte aperte della redazione di JAZZIT.
SENZA CONTRIBUTI PUBBLICI
Il JAZZIT FEST si presenta alla prima edizione come l’evento più rivoluzionario dell’estate italiana, in quanto organizzato da una testata giornalistica specializzata senza il ricorso a finanziamenti pubblici con la formula Without Recourse To Public Funds.
Rispetto al consueto iter per il fund raising pubblico, il JAZZIT FEST sarà prodotto attraverso un’idea nuova di collaborazione tra soggetti privati, comunità, istituzioni e spettatori: la Vanni Editore Srl gestirà l’evento assumendosi in toto il rischio d’impresa, la comunità di Collescipoli parteciperà attivamente (tramite la Pro Loco) e le istituzioni comunali sosterranno l’evento senza oneri attraverso la messa a disposizione di strutture e servizi di utilità sociale. Anche il pubblico presente, poi, farà la sua parte: sosterrà l’evento anzitutto con la propria partecipazione e, se vorrà, con una donazione spontanea; potrà comunque assistere gratuitamente ai concerti in programma decidendo liberamente se sostenerli.
IL PAESE-FESTIVAL A DIDATTICA E OSPITALITÀ DIFFUSA
Nell’arco dei quattro giorni del JAZZIT FEST saranno organizzate conferenze, clinics, workshop (improvvisazione - arrangiamento - composizione - musica d'insieme – laboratorio di ear training – laboratorio di musica per bambini) e anche in questa circostanza sarà possibile frequentare ciascun evento a titolo gratuito.
Il piccolo borgo medievale umbro di Collescipoli, in provincia di Terni, sarà un paese interamente coinvolto: l’intera comunità offrirà un servizio di accoglienza, sicurezza, ospitalità e ordine pubblico, e grazie alla Pro Loco di Collescipoli sarà aperta la taverna del paese e più punti ristoro così da offrire, dalla mattina alla sera, servizi di ristorazione per colazione, pranzo, cena e degustazioni di prodotti tipici.
Direzione generale / Luciano Vanni – luciano@vannieditore.com - Direzione commerciale / Arianna Guerin – arianna.guerin@vannieditore.com - Segreteria di produzione del Jazzit Fest / Chiara Colasanti - info@jazzitfest.it - Segreteria di produzione del Meeting del Jazz in Italia / Eleonora Tatti - meeting@jazzitfest.it - Ufficio Stampa e Produzione / Fiorenza Gherardi De Candei - press@jazzitfest.it; Erica Simone erica@jazzitfet.it o Produzione / Vanni Editore srl – via Villa Glori, 3/a 05100 Collescipoli (TR) Tel: 0744.817579-801252
IL PROGRAMMA CONCERTISTICO GIOVEDI' 5 SETEMBRE
Nei diversi palchi del Borgo di Collescipoli: Monastero di S. Cecilia, Chiesa dell'Addolorata (piano), Piazzetta di Porta Ternana, Slargo Chiesa S. Maria Maggiore.
17.00 - 17.45 Koine Jazz Trio Lisa Maroni -Alessandro Bravo “Intwoition" Antonella Vitale - Roberto Genovesi “Acoustic Time" Giacinto Cistola Sextet Francesco Cipollone Trio
18.30 - 19.15
Leonardo De Lorenzo “Pictures" Quintet Michele Gori “Just Flutes Solo Project" Funkin' Monks Hard Chords Trio Dario Germani Trio “For Life"
20.00 - 20.45
Michelangelo Brandimarte “Nemo Project" Luigi Ranghino “Solo" Adovabadan Jazz Band Roberto De Carolis 4tet Alessandro Tedesco Quartet 21.30 - 22.15 Rosa Brunello “Omit Five" Enrico Roccatani “Piano Solo" Amanita Simone Maggio Trio I'M ANITA
23.00 - 23.45
Marini - Rolff - U.T.Gandhi Ottolini"Sousaphone Duo" Massimo D'Avola Trio Roberto Zechini “A Deep Surface" Giovanni Francesca Quintet
After midnight “Jazz e Letteratura" Gabriele Coen “Jewish Experience"
VENERDI' 6 SETEMBRE
17.00 - 17.45 Massimo Carafa “Blue Room 4tet" Trio Futuro “Magrona" Raquel Silva Joly “Bossa Nova Trio" Nutimbre Gabriele Boggio - Ferraris Quartet
18.30 - 19.15 Gazzarra Fabiola Trivella “Soprano In Jazz" Luca Di Luzio -Kamila Staszkòw “Jazzlife Duo" Armonica Jazz Quartet Progetto.Originals
20.00 - 20.45 Majaria Trio Majaria Trio Massimo Fedeli"Piano Solo" Settemeno Andrea Bonioli Quartet “Today Project" Domino's Trio
21.30 - 22.15 Leonardo Radicchi “Riot" Fausto Ferraiuolo-Gustavo Giacosa “Nannetaicus" Wam Trio Vincenzo Saetta - Antonello Rapuano 4tet Lisa Manosperti Trio “VoicingOrnette Coleman"
23.00 - 23.45 Zy Project Zy Project Giorgio Ferrera Trio Gianna Montecalvo -Lisa Manosperti “Open Duo" Cettina Donato “Crescendo in 4" MOF
around midnight “Jazz e Teatro"
SABATO 7 SETTEMBRE
17.00 - 17.45 Follow The Wires Marta J - Francesco Chebat Duo Marilena Paradisi- Ivan Macera “The Cave" Salvatore Arena Bassoon Jazz Quartet Ibrido Hot Six
18.30 - 19.15 Beppe Di Benedetto 5Tet Salvatore Cirillo - Adele Capacchione Duo Filippo Cosentino Duo Mike Rubini Extensive Quartet Nicola Mingo “New Bop Quartet"
20.00 - 20.45 Triad Vibration Milk Walter Beltrami"Looperville" MC3 LuPi
21.30 - 22.15 Claudio Fasoli “Four" Eugenio Macchia Trio Humpty Duo Fabrizio Savino Quartet Pasquale Iannarella Quartet
23.00 -23.45 Improvvisatore Involontario “The Ics-Men" Kekko Fornarelli - Roberto Cherillo “Shine" Giorgio Distante “-RAV-" Raf Ferrari 4tet Fazzini - Fedrigo “XY Quartet" Around midnight “Jazz e Cinema" Proiezione film + Amato Jazz Trio
DOMENICA 8 SETTEMBRE
17.00 - 17.45 Mo' Better Band Marchetti - Alessandrini Duo Gianmarco Filippini “Green Trio" Dagmar's Collective Nido Workshop
18.30 - 19.15 Modern Times Sextet Smoothless 3 Divieto di Bop Marco Albani Acoustic Quartet Marco Pacassoni Quartet
20.00 - 20.45 Bad Uok Nico Pistolesi & Andrea Lagi Else! Ineffable Quartet Dino Massa Quartet “Funky Monky"
21.30 - 22.15 Uroboro Open Collective Fabio Giachino “Piano Solo" Andrea Zanottera 4tet Crossing Quartet Rosario Di Rosa & Contemporary Kitchen
23.00 - 23.45 Eskimo Jazz Band diretta da Fabio Morgera Luca Pietropaoli “Assolo" Gabriele Buonasorte Quartet “Forward" The Bumps Roy Panebianco “Soulside"
venerdì 26 luglio 2013
White: “III” (Aagoo Records, 2013)
Dopo “Sunna”(2009) e “Twin Tigers” (2011) Cory Thomas Hanson, in arte White, dà alle stampe, tramite Aagoo Records, “III”, un album che ne conferma le attitudini pop-cantautorali in dieci brani scritti, prodotti e realizzati in solo. Canzoni nate durante i tour intrapresi negli ultimi anni con la Mikal Cronin Band e Pangea, che ne hanno forgiato la cifra stilistica, nella quale sono previsti inserimenti di parti elettroniche, soprattutto per quel che riguarda le matrici ritmiche, su tessiture melodiche ottenute con strumenti acustici e chitarre elettriche. Il timbro vocale, esile e in alcuni momenti sussurrato, evoca situazioni oniriche, come in “Pretty Creatures”, e richiama in mente le pagine più gentili dei Radiohead. White si occupa anche di arti visive, e nella costruzione della sua musica si rintracciano richiami ad elementi cinematografici, con specifica attenzione allo scambio di posizione tra primi piani, quasi esclusivamente costituiti dalla voce, e sfondi, curati con estrema attenzione nel dettaglio timbrico.
Marvin: “Barry” (Africantape, 2013)
Sono contenuti in poco più di mezzora i nove brani di “Barry”, l’album firmato dai Marvin, un trio francese giunto al terzo lavoro sulla distanza che conta. La loro è una cifra stilistica perimetrabile in un electro-rock dall’attitudine battagliera, pronto al cambio di marcia ritmico e melodicamente coinvolgente. Elementi che si riscontrano già nell’opener “Tempo Fighting”, brano dal tiro importante, con il quale fa il paio il successivo “Automan”, uno strumentale vorticoso e di grande impatto sonoro. I ragazzi amano tenere i volumi molto alti, come accade in “Giorgio Morricone”, ma sanno anche delineare percorsi melodicamente più contenuti. Il trio riesce a innescare situazioni dance-oriented, come accade in “The Dark Sheep” e “Un chien en hiver”, pur mantenedo costante la tensione ritmica che ne contraddistingue il carattere. Questo lavoro è il risultato di due anni passati a sperimentare sonorità e soluzioni, anche se i Marvin, come hanno avuto modo di sottolineare, preferiscono esprimersi nella dimensione live, dove riescono appieno a realizzare la loro idea estetica.
venerdì 19 luglio 2013
Hobby Horse: "Eponymous" (Parco della Musica Records, 2013)
Dan Kinzelman (sax, cl, fl, tast, voc); Joe Rehmer (cb, tast, voc, perc); Stefano Tamborrino (batt, perc, voc)
L’album “Eponymous” arriva dopo un lungo periodo di attività live intrapreso dagli Hobby Horse, il trio composto dal batterista toscano Stefano Tamborrino e dai musicisti americani Dan Kinzelman e Joe Rehmer. Le nove tracce proposte – molte delle quali firmate da Kinzelman - sono contenute in poco più di mezzora, e trovano una combinazione stilistica che unisce il free jazz, inteso come libertà espressiva dei singoli, innesti elettronici e soluzioni dinamiche vicine al rock e anche alla musica ambient. Il trio si distingue per l’ampiezza timbrica ottenuta con l’utilizzo di molti fiati, sintetizzatori e percussioni, oltre che della voce, come nella rivisitazione di Three Hours, di Nick Drake, o nella conclusiva Non ti scordar di me, che Tamborrino dedica alla memoria della moglie. L’immagine di copertina è il dipinto “Devoured Divergence”, di Evan Ross Murphy, realizzato per l’occasione.
Battle (Part 1) / Visitor / Ribcage / Watercourse / Kitten Salad Sandwich / Battle (Part 2) / Three Hours / Success / Non ti scordar di me
lunedì 24 giugno 2013
Mino Lanzieri: "The Alchimist" (Silta Records, 2013)
Il chitarrista Mino Lanzieri organizza un quartetto dal grande senso di interplay per dar vita al lavoro per Silta Records The Alchemist. Al suo fianco si muovono in maniea flessibile il contrabbassista Reuben Rogers, il batterista Gene Jackson e soprattutto Francesco Nastro, pianista dalle ottime doti tecniche, che nei cinquanta minuti di musica proposti si lascia ampiamente apprezzare anche per la forza espressiva che riesce a trasmettere.
In programma troviamo otto passaggi originali del leader, più la rivisitazione di "Falling Grace" firmata Steve Swallow, nei quali possiamo ascoltare un jazz autentico—con derivazioni boppistiche - giocato spesso e volentieri su andamenti medio-veloci, che fanno risaltare la capacità del quartetto nel saper sfruttare dinamiche importanti. Situazioni che di conseguenza portano quasi sempre Lanzieri e Nastro a dialogare con fluidità e scorrevolezza di linguaggio, mettendo così in evidenza la loro cifra stilistica che prevede al centro del nucleo espressivo la bellezza delle melodie, che risultano levigate e coinvolgenti.
A sventare il rischio di prevedibilità delle soluzioni ci sono dei passaggi più introspettivi, come "High Life," e situazioni leggermente più spigolose, come "Travelin,'" dove si può apprezzare una vibrante introduzione di Rogers, per un lavoro complessivamente denso di significati e dalla buona tensione propositiva.
Nota: per chi volesse avere una visione più profonda di questo album c'è la possibilità, sul sito del musicista, di scaricare alcuni spartiti dei brani.
sabato 22 giugno 2013
Carolina Bubbico: “Controvento” (Workin’ Label, 2013)
Dopo aver dato forma al progetto in solo One Girl Band, dove si è trovata alle prese con più strumenti, Carolina Bubbico realizza “Controvento”, l’album di debutto nel quale è affiancata da Luca Alemanno al contrabbasso e Dario Congedo alla batteria. Formazione che trova nell’apporto di diversi ospiti una discreta apertura timbrica, che include anche fiati e archi, capace di rendere, nei nove brani proposti in scaletta, una buona alternanza di atmosfere espressive. Lo stile della Bubbico, che per timbro e modi ricorda da vicino la migliore versione di Giorgia, è individuabile nell’ambito del pop curato nel dettaglio e suonato con perizia. L’azzeccato innesco tra melodia e ritornelli sfocia in una formula di sicuro appeal, che dà vita ad alcuni singoli episodi, come “Cambierà” e “A me piacerebbe ridere”, capaci di coinvolgere. “Controvento” include anche passaggi più riflessivi, nei quali risalta maggiormente la sensibilità artististica della cantautrice.
giovedì 6 giugno 2013
Live Footage: "Doyers" (Autoprodotto, 2013)
Mike Thies (batteria, tastiere) e Topu Lyo (violoncello, elettronica) continuano a operare insieme nell’area di Brooklyn dove hanno realizzato l’album autoprodotto “Doyers”. Si tratta di una scaletta di diciassette tracce, amalgamate con sagacia e nelle quali riversano le loro diverse attitudini stilistiche, con particolare riferiemento all’unione di elementi elettroacustici, già messe in mostra nelle precedenti prove in studio. Il blend dei Live Footage prevede alcuni passaggi dance oriented, dub seminato a piene mani, tappeti strumentali di derivazione post rock, e un approccio improvvisativo prossimo al jazz in senso lato. La somma di questi fattori dà vita a una musica che si sviluppa senza nessuna fretta performativa, e che caratteriza idee capaci di confluire una dentro l’altra in un continuo divenire. Questo lavoro è da osservare nel suo insieme più che sulla valenza del singolo brano, dal momento che i ragazzi intendono la loro musica come sottolineatura, o sottofondo, ad altre esperienze artistiche, tralasciando l’eventuale colpo da classifica. L’elemento cinematico è dominante in un lavoro dove le melodie si distendono senza opposizioni su sfondi ritmici pensati per essere applicati in diversi contesti d’ascolto.
mercoledì 5 giugno 2013
Marcus Fjellström: “Epilogue –M-” (Aagoo Records, 2013 EP)
L’artista multimediale Marcus Fjellström dà alle stampe per Aagoo Records l’EP “Epilogue –M”, dopo alcune prove in studio che hanno destato un buon interesse da parte di critica e pubblico, come l’autoprodotto "Library Music 1″ del 2011. In scaletta troviamo sei brani strumentali, per una durata totale di mezzora, nei quali Fjellström lascia confluire elementi di musica ambientale, capaci sia di vivere di luce propria e sia per risultare idonei come sfondo per un’eventuale proiezione visiva o un’installazione artistica. La costruzione dei temi segue uno svolgimento di grande lentezza che porta l’ascolto verso stati di assuefazione, nei quali lo spazio e il tempo sembrano dilatarsi all’infinito. Il lavoro non porta con sé novità sotto il profilo formale e rimane costantemente in equilibrio tra la lezione dei Tangerine Dream e quella di Angelo Badalamenti.
venerdì 17 maggio 2013
Sorrow: “Dreamstone” (Monotreme, 2013)
Dopo una serie di interessanti EP, prodotti negli ultimi due anni, per Sorrow è arrivato l’atteso momento del debutto sulla distanza che conta. “Dreamstone” esce per Monotreme, e contiene undici brani dove l’artista inglese mette a reagire nel suo pentolone diverse matrici stilistiche, dalla bossa all’ambient, dal dubstep all’house più leggera e sognante. Un’ibridazione ottenuta grazie al lento accatastamento di piani sonori, che vanno a formare figure in divenire dove entrano voci sussurrate – come quella dell’ospite CoMa -, beats e accostamenti timbrici sempre coerenti alla visione d’insieme del progetto. Ne viene fuori un lungo flusso sonoro, che coinvolge e circonda l’ascoltatore in maniera discreta ma inevitabile, in una sorta di abbandono temporale, che conosce, a volte, situazioni ballabili. Disponibile anche in vinile da 180g.
https://www.facebook.com/sorrowgarage
Suonocaustica: “Aprile” (Soundiva Music, 2013)
“Aprile” è il primo lavoro sulla lunga distanza per i Suonocaustica, gruppo bergamasco che nel corso degli anni ha conosciuto diversi cambi di line up e percorso un sentiero stilistico che li ha portati fino all’attuale ibridazione di melodie e ritmi di stampo britannico. Il loro è un pop-rock cantato in italiano, che trova alcuni momenti coinvolgenti, come quelli espressi da “Per sempre” – classico singolo dal ritornello appiccicoso e dall’innesco ritmico dance oriented -, passaggi più pensosi e riflessivi, come nell’introduzione di “Particelle”, situazioni dove il dosaggio rock assume forme più consistenti. Nel complesso si tratta di un album pensato nel dettaglio e suonato con un aproccio strumentale deciso, ma non vi è traccia di originalità espressiva, di carattere, di soluzioni meritevoli di particolari attenzione. Per costruire l’eventuale futuro ci sarà bisogno di altri ingredienti.
giovedì 16 maggio 2013
Slow Earth: Latitude and 023 (EP Autoprodotto, 2013)
Per gli Slow Earth si tratta di un EP di debutto che lascia intravedere alcuni motivi d’interesse, anche se le tracce contenute nella mezzora di “Latitude and 023” non convincono del tutto sotto il profilo dell’originalità. Questo perché fin dall’apertura affidata a “Identify” sembra troppo evidente l’accostamento ai primi Placebo, poi ribadito in altri passaggi, come in “Change Nothing”. Somiglianze con la band di Molko si intravedono nella costruzione dei ritornelli, negli inneschi ritmici e soprattutto nei timbri utilizzati per tessere una rete pop-rock a volte ammiccante, e in altre situazioni leggermente virata di malinconia. Oltre a farsi notare per l’artwork, firmato dallo studio del leggendario Storm Thorgerson, questo lavoro non lascia grandi segni del suo passaggio. Attendiamo gli Slow Earth alla prova sulla lunga distanza.
lunedì 13 maggio 2013
Massimo Zamboni e Angela Baraldi: “Un'infinita compressione precede lo scoppio” (URP, 2013)
Si erano già incrociati i destini di Massimo Zamboni e Angela Baraldi, come nel recente “Solo una terapia: dai CCCP all’estinzione”, il live-album con il quale l’ex componente dei CCCP ha riportato alla luce il percorso intrapreso molti anni fa con la band di Giovanni Lindo Ferretti, di cui è stato per anni ingranaggio fondamentale. Quello con la Baraldi è un incontro speciale, che secondo Zamboni: «Non è stata una scelta, nel senso che non c’è stato un casting, non faccio mai i conti a tavolino. Con Angela avevo già collaborato, e ci siamo piaciuti. Ho fiuto per le persone, ho sensibilità, non ho bisogno di esami».
L’idea di un progetto in studio era da qualche periodo nei pensieri dei due, ed oggi ha preso forma nelle undici tracce dell’album “Un'infinita compressione precede lo scoppio”, con il quale Zamboni ribadisce un feeling speciale con la scrittura e con l’assemblamento degli elementi sonori, che da una parte rinvigoriscono la fiamma del passato mai del tutto spenta, e dall’altra rimandano l’idea di modernità espressiva, fedele a sé stessa ma al contempo pronta al cambiamento eventuale.
Fattori che emergono fin dal brano d’apertura “Vorremmo esserci”, dove la Baraldi dà fondo alla sua forza comunicativa, con un approccio vocale capace di flettere da timbri scuri e opachi ad aperture melodiche coinvolgenti. Melodie lineari che segnano anche la successiva “Che farai”, dove si intrecciano chitarre ed effetti, e nella quale a colpire nel segno è la qualità testuale di un brano perfettamente in equilibrio con un andamento vagamante easy. La situazione si fa più aggressiva in “Lamenti”, griffata dal basso di Gianni Maroccolo, e diventa spigolosa in “Fallimetare”, dove affiora il coro sostenuto da Giorgio Canali, in un percorso che conosce con “In rotta” le coordinate del punk di un’Emilia sempre e comunque dal carattere paranoico. È la terra sonora di Zamboni, è una precisa identità che ritorna in mente, senza mai venire a noia, in un’ulteriore prova di forza espressiva, che nel brano “Nel cuore della notte” raggiunge vertici di semplicità ed efficacia, dramma e passione.
domenica 5 maggio 2013
Dino & Franco Piana Septet: Seven (Alfa Music, 2012)
Franco Piana stava attraversando un periodo di grande ispirazione nel momento in cui questo capolavoro è stato messo su carta e poi realizzato: «Ho iniziato a scrivere la musica di “Seven” pensando innanzitutto alla parte melodica, lasciandomi influenzare dall’affetto e dall’amore che nutro per la mia famiglia». Come d’altra parte deve essere stata decisiva la spinta e la convinzione di suo padre Dino: «Appena ho letto la musica gli ho detto che il materiale era da mettere su disco, perché si trattava di un qualcosa d’importante». Il resto lo hanno fatto gli altri musicisti chiamati in causa - Fabrizio Bosso ed Enrico Rava alla tromba; Max Ionata ai sax; Enrico Pieranunzi e Luca Mannutza al pianoforte; Giuseppe Bassi al contrabbasso; Roberto Gatto alla batteria -; la professionalità dei tecnici e dei produttori di Alfamusic; e la magia che ha attraversato queste session di registrazione.
Si tratta di un lavoro destinato a rimanere per lungo tempo tra i preferiti degli appassionati di jazz italiani e non - al punto che sono stati in molti a considerarlo un classico già subito dopo la pubblicazione –, perché la musica che contiene coniuga in un verbo di grande modernità la tradizione jazzistica, qui intesa come qualità sia della musica scritta sia delle parti improvvisate, interplay millimetrico, grande propensiene a realizzare un suono d’insime capace però di far risaltare anche le doti soliste, e dosaggi pressoché perfetti di timbri, ritmi e melodie. La scaletta si apre con la suite in quattro movimenti intitolata “Open Dialogues”, dove possiamo intercettare le splendide introduzioni in solo di Pieranunzi (sul primo e terzo movimento), il respiro melodico del settetto che rimanda all’idea d’arrangiamento di una piccola big band, e alcuni soli, come quello al trombone a pistoni di Dino Piana, di grande fantasia e cantabilità. In “Your Smile” ad emergere è l’anima blues e chiaroscurale di questo progetto, mentre in “Eighty and One” è la forza di Ionata e Bosso ad essere messa in evidenza grazie a uno svolgimento ritmico su tempi rapidi e scambi serrati tra gli interpreti. Album di grande eleganza, capace di mettere tutti d’accordo sulla sua valenza, e nel quale si intrecciano citazioni, momenti di grande intimità, come in “Sunlight”, e fuori programma che non ti aspetti, come i sapori latin serviti nell’ultima traccia “Step by Step”.
Elenco dei brani: 1. Open Dialogues: I Movimento; 2. II Movimento; 3. III Movimento; 4. IV Movimento; 5. Your Smile; 6. Eighty and One; 7. Dark Eyes; 8. Asimmetrico; 9. Sunlight; 10. Step by Step.
giovedì 4 aprile 2013
Giuliana Soscia & Pino Jodice Quartet: Il viaggio di Sindbad (AlfaMusic, 2012)
Prodotto nel 2012 da AlfaMusic, “Il viaggio di Sindbad” rappresenta un buon esempio di fusione riuscita tra jazz e musica orientale, tra percorsi scritti nel dettaglio e ampie aperture di compasso improvvisative. In programma troviamo dieci brani originali, quasi tutti firmati dai due leader Giuliana Soscia e Pino Jodice, ai quali si affiancano Aldo Vigorito al contrabbasso e Giuseppe La Pusata alla batteria e soprattutto il musicista iracheno Raed Khoshaba all’oud, elemento determinante per la costruzione espressiva di questo lavoro. Si tratta di un album dall’impasto timbrico particolare e spiazzante, che si colloca in un territorio formale di grande singolarità, dove gli interpreti sono sempre inclini al cambio di registro emozionale. Il contesto rimane sospeso tra derivazioni puramente jazz, vedi alcuni fraseggi serrati tra il pianismo di Jodice e la sezione ritmica, musica tradizionale italiana, tradotta dalla fisarmonica di Giuliana Soscia, pronta nel ritagliarsi discrete parti di primo piano, e i profumi misteriosi e intensi emessi da Khoshaba. Tra i momenti meglio messi a fuoco vanno sottolineati i dieci minuti della riuscita “Terre del s’oud”, dove il quintetto trova un equilibrio ritmico/melodico di raro buon gusto.
giovedì 28 marzo 2013
Powerdove: Do You Burn? (Africantape, 2013)
Annie Lewandowski è una songwriter del Minnesota che ha dato vita al progetto Powerdove nel 2007, anno in cui ha unito il proprio cammino artistico con il percussionista Alex Vittum e il bassista Jason Hoopes. I tredici brani che compongono la mezzora dell’album “Do You Burn?” hanno visto la loro creazione durante il tour europeo che Annie ha affrontato alcuni anni più tardi con Curtis McKinney; dopodichè, di ritorno in America, ha messo in atto le sue intenzioni con un nuovo trio, composto da John Dieterich (basso e chitarra) e il multistrumetista Thomas Bonvalet. Il suono d’insime risulta intimo, con delle linee melodiche che a volte sembrano solo accennate, in un continuo gioco di spunti e rimandi a situazioni essenziali. Corde appena pizzicate, percussioni ridotte allo stato primordiale fanno da sfondo alla voce eterea e trasparente di Annie, che nella sua fascinosa malinconia ricorda Nico. L’album scorre via veloce, anche se non dà mai la sensazione di frettolosità esecutiva, trovando nella penombra espressiva il motivo di maggior forza.
Israel Martínez: The Minutes (Aagoo Records, 2013)
“The Minutes” è la settima registrazione in studio di Israel Martínez, un artista messicano che si dedica da diverso tempo alla costruzione di musica capace di miscelare elettronica, riprese ambientali e tensioni melodiche che rimandano a situazioni complicate. Le sue sovrapposizioni di piani sonori e le strutture ritmiche dilatate formano le dieci tracce – composte nel biennio 2011/2012 – presenti in quest’album, che non si sottraggono al tipico approccio di Martínez. Il risultato è nel suo insieme affascinante, anche se privo di senso compiuto vista l'assenza di un'eventuale parte visiva. La sua intenzione di base è quella di trasferire in musica il disagio e le difficoltà del popolo messicano, che sta attraversando un periodo di profonda crisi, culturale ed economica. Impresa difficile, ma certamente meritevole di elogio, anche da parte di chi osserva il tutto da una distanza considerevole.
mercoledì 27 marzo 2013
Ventura: Ultima Necat (Africantape, 2013)
Con “Ultima Necat” torna a far parlare di sé il trio svizzero Ventura, in questo nuovo episodio coadiuvato dal chitarrista aggiunto Oliver Schubert. Registrato da Serge Morattel il lavoro ribadisce le buone impressioni destate in passato da questa realtà attiva in Europa da diverso tempo, e apprezzata in ambito undergound grazie al muro sonoro che riesce a realizzare. Ma non si tratta di semplice rumore, perché i ragazzi sanno sviluppare melodie coinvolgenti grazie al sapiente lavoro di sovrapposizione di piani sonori, come accade in “Very Elephant Man”, brano dove è messa in risalto anche la voce di Philippe Henchoz. Sulla loro carta d’intetidà stilistica potrebbero scriverci “Rock progressive”, certamente, ma dall’approccio moderno, possente e allo stesso momento dettagliato. Non c’è spazio per i ritornelli a presa rapida, e – sotto il profilo timbrico - i raggi di luce che riescono a vincere le fitte trame dei Ventura sono pochi, come quelli che illuminano “Exquisite and Subtle”, passaggio che chiude la scaletta e che arriva come conclusione di un sonno tormentato, fatto di sogni inquieti.
Midas Fall: Wilderness (Monotreme, 2013)
Al centro delle strategie espressive dei Midas Fall c’è la voce di Elizabeth Heaton, la quale – con il suo timbro sottile, evocativo, sensuale – riesce a prendere per mano l’ascoltatore e trascinarlo con delicatezza attraverso le dieci tracce che compongono “Wilderness”. Un album dagli atteggiamenti melodici pop-oriented, contenente diverse tracce coinvolgenti e buone per tentare la scalata alle classifiche di vendita, come nel caso dell’azzeccata “Borders”. Brani pensati per arrivare subito al nocciolo della questione, senza grandi sottintesi formali, basati essenzialmente sulla struttura della song, e che vedono sullo sfondo un’impalcatura fatta di chitarre e suoni sintetizzati che non invadono mai il primo piano vocale. Nel complesso si tratta di un album curato nel dettaglio, anche se le tracce sembrano avere più valenza se prese singolarmente che nel loro insieme, dal quale affiora un pizzico di monotonia, dovuta alla ripetizione delle medesime soluzioni ritmico-melodiche.
domenica 24 marzo 2013
Child Bite: Vision Crimes + Monomania (Joyful Noise Recordings, 2013)
Si tratta di un CD (disponibile anche in vinile) contenente due extended play dei Child Bite, realtà tra le più attive nell’area di Detroit. Le tracce di “Vision Crimes” (2013) e “Monomania” (2012) formano un insieme coeso, in quanto riportano nel loro dna il medesimo approccio alla materia sonora, fatto di tagli improvvisi, irruenza melodica e ritmi sostenuti. Nelle trame di questa band – capitanata dalla mente pensante del vocalist Shawn Knight - non è semplice inquadrare situazioni accomodamti, dal momento che i ragazzi fanno il possibile per andare sempre verso una direzione noise, che sulla lunga distanza si rivela piegata a una evidente monotonia espressiva. Brani dall’alto contenuto adrenalinico delineano un atteggiamento che potrebbe portare a risultati concreti nella dimensione live, mentre trova meno adattabilità in un ascolto casalingo.
lunedì 18 marzo 2013
Sananda Maitreya: Return to Zooathalon (Treehouse Publishing, 2013)
Edito anche in versione strumentale, “Return to Zooathalon” segna il ritorno di Sananda Maitreya (dai più conosciuto prima del 2001 come Terence Trent D’Arby) a due anni dal precendete “The Sphinx”, e sancisce uno dei momenti maggiormente ispirati del suo percorso. Si tratta di un lavoro complesso, sia nei significati che sotto il profilo prettamente formale ed espressivo. Al centro del discorso c’è la splendida voce di Maitreya, capace di accarezzare le melodie, ma anche di scendere in profondità cariche di groove dal fascinoso appeal. L’album riesce a coinvolgere anche grazie a un andamento ritmico sempre in perfetta tensione con le ellissi melodiche, e a ruotare in buona sincronia ci sono molteplici esperienze stilistiche, che spostano le coloriture timbriche dal funk al pop più disimpegnato, dal rock alle diramazioni blues. Un calderone importante, forte di una scaletta di oltre venti brani necessaria per illustrare il concetto stesso di Zooathalon, riferito all’insieme del movimento stellare, lo zodiaco, gli spiriti, e le anime che vivono intorno a noi. Una sorta di mondo parallelo che in questo lavoro è tradotto dall’artista con estrema efficacia e caleidoscopica capacità di mettere a frutto la sua esperienza venticinquennale, che ha conosciuto situazioni importanti e delle flessioni, ma che avrebbe meritato nel suo insieme una rilevanza maggiore.
more info: http://www.sanandamaitreya.com/
venerdì 15 marzo 2013
Cuong Vu: It’s Mostly Residual (Auand, 2006)
In questo lavoro, organizzato nel 2005 da Auand records, vengono a contatto due tra i personaggi più fantasiosi, e pronti nel prendersi dei rischi creativi, che ci sono in circolazione: Cuong Vu e Bill Frisell. I due, supportati da Ted Poor alla batteria e Stomu Takeishi al basso elettrico, danno vita a un percorso di sei brani – tutti a firma del trombettista di Saigon – che rilasciano diverse sensazioni emozionali. Ci sono i cortocircuiti ritmico-melodici, come accade in “Brittle, Like Twigs”, una traccia capace di far saltare i polsi anche all’ascoltatore più compassato; c’è l’amore per l’atmosfera rilassata, vedi “Chitter Chatter”, ma il tutto è legato dalla voglia di non fermarsi mai davanti alle apparenze, cercando di andare sempre oltre il limite raggiunto. Contraddizioni creative, che portano la musica prodotta in territori di confine stilistico, dove il jazz si bagna di psichedelia visionaria, come in “Expressions of a Neuronic Impulse”, o prende il largo verso scenari levigati a perfezione, come nella title track. Album eccitante e di grande impatto.
giovedì 14 marzo 2013
Paolo Fresu Devil Quartet: Desertico (Tuk Music/Ponderosa, distr.EMI – 2013)
Il Devil Quartet è per Paolo Fresu una dimensione di libertà espressiva, dove riesce a far uscire al meglio la sua diversità di linguaggio. È per lui anche un posto dove poter incontrare degli ottimi compagni di ventura, con i quali mettere insieme le idee per poi intraprendere degli itinerari capaci di far scoprire all’ascoltatore degli orizzonti sempre nuovi e inattesi. “Desertico”, che segue di sei anni il precedente “Stanley Music”, vive di queste sensazioni in dodici tracce coinvolgenti, nelle quali possiamo apprezzare l’ottimo lavoro di squadra svolto da Fresu con Paolino Dalla Porta al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria, e i grandi dialoghi – che sfociano spesso in scontri o accordi creativi – imbastiti con Bebo Ferra, che anche in questo episodio si conferma musicista dalla grande sensibilità e di livello assoluto. Sullo sfondo c’è l’Africa, introdotta dall’immagine di copertina e poi rilasciata nel disco attraverso gli ampi spazi di manovra ritmico/melodici, dove trovano posto episodi di grande brio e lucentezza timbrica, come la cover di “Satisfaction” posta in apertura; momenti di assoluta tranquillità emotiva, come nella splendida “Ambra”; discese piene d’insidie nel sottosuolo di uno scenario metropolitano incontrato lungo il cammino, come nella title track. Fresu lascia molta iniziativa agli altri componenti del gruppo, ma la forza della sua poetica, che si tratti di passaggi serrati che di note accennate, rimane il motivo principale intorno al quale ruotano gli altri intenti. Ci mette anche degli effetti elettronici il trombettista sardo, per dare una maggiore ampiezza formale, senza strafare e con il buon gusto esecutivo che lo contraddistingue da sempre. Lavoro dai significati densi, avvolto da vesti melodiche di fascinosa bellezza, come nella traccia “Suite for Devil”, dove Fresu e Ferra ingaggiano un rimbalzo di scambi emozionali che danno vita a una sorta di danza pacata, capace di dare brividi anche a una pietra.
sabato 9 marzo 2013
Quintorigo: Experience (Métro/Self, 2012)
I Quintorigo non sono nuovi a lavori di rivisitazione, basti ricordare il premiato “Plays Mingus” che nel 2008 ripercorreva il sentiero tracciato da un’icona del Novecento come Charles Mingus, e non sono nuovi a spiazzare chi li segue con lavori sempre diversi e interessanti, sia come approccio che dal punto di vista dell’organizzazione formale. In “Experience” si sono messi sulle tracce di Jimi Hendrix, cavando quattordici brani dal forziere del chitarrista di Seattle e mettendoci del loro sotto il profilo dell’interpretazione, che assume diverse colorazioni anche grazie agli ospiti chiamati a interagire. Moris Pradella alla voce entra senza sfigurare nella prestigiosa lista di cantanti che si sono susseguiti in questi anni dietro al microfono della band; poi ci sono Vincenzo Vasi, voce e anche theremin in “Voodoo Child”, Eric Mingus – sì, proprio il figlio di - e il pianista Michele Francesconi. Nei vari brani proposti – quasi tutti classici del repertorio, come “Hey Joe” o “Angel” - c’è del retrogusto bluesy, ci sono gli innesti al vetriolo di Andrea Costa al violino, c’è il sax – quasi sempre incendiario – di Valentino Bianchi e dunque ci sono tutte le componenti che rendono unico il suono dei Quintorigo. Si tratta di una band che ama suonare, nell’accezione più pura del termine "amare", e le performance dal vivo – ancor più delle incisioni - ne sono evidente testimonianza.
venerdì 1 marzo 2013
Marilena Paradisi & Stefania Tallini: Come Dirti (Silta, 2012)
"Come dirti" si sviluppa attravero sedici brani di musica totalmente improvvisata, nei quali l'espressività narrativa della voce di Marilena Paradisi e la forza melodica del pianismo delicato di Stefania Tallini intrecciano le loro strade in un destino di grande fascino, dove regna sovrano il divenire delle situazioni, in una sorta di equilibrismo senza rete di grande interesse, Primo piano (voce) e sfondo (pianoforte) mantengono le loro posizioni fidandosi senza remore dei rispettivi ruoli, dipingendo un'atmosfera chiaroscurale fatta di lievi sfumature, timbri accennati, tradotti dalla voce lieve e spettrale della Paradisi. Brani a volte molto brevi, che spesso sembrano dei bozzetti accennati con un filo di matita, pronti nel poter diventare qualcosa di più concreto, ma che vengono lasciati nel loro stato embrionale proprio per creare quel senso di continuità che caratterizza l'intero album. Un lavoro pensato e avvolto da una trama in bianco e nero, fitta, quasi impenetrabile, nella quale difficilmente si scorgono angoli luminosi di melodie aperte e assonanti. Non è semplice individuare un momento di maggiore impatto rispetto agli altri, perché "Come dirti" è un discorso che va interpretato nel suo insieme, nell'interezza di uno stile personale che potremmo avvicinare a quello dello sperimentalismo vocale, o se preferite a un'avanguardia minimale e colta.Esperienza ostica, alla quale bisogna dare il giusto tempo di sedimentazione e l'esatto spazio di comprensione, altrimenti il tutto potrebbe cedere facilmente il fianco a tentazioni di distrazione. Abbassare le luci in sala.
venerdì 15 febbraio 2013
Box Demolition: Banale (Autoproduzione, 2013)
Nel nuovo album “Banale” i Box Demolition ripropongono la loro formula ad alta tensione emozionale: punk rock tagliente, tempi sostenuti, suono rugginoso e tanta voglia di lasciare ricordi tangibili nelle orrecchie di chi ascolta. Segni di riconoscimento che hanno permesso a questa realtà del sottobosco toscano di farsi conoscere in giro per il Paese, con al loro attivo cinque demo, più di cento esibizioni live e tanta gavetta sfociata in due album.In questo secondo lavoro troviamo otto tracce in poco più di venti minuti, nelle quali c’è tanta voglia di divertirsi e divertire, come riportato nella nota stampa, ma anche di creare musica con delle vere credenziali. Apprezzabile l’utilizzo sia della lingua madre che dell’inglese; ottima la tenuta della band sui tempi sostenuti; decisa la tendenza a portare a galla tematiche scomode di disagio e rapporti interpersonali non certo semplici.Cattivi, ma anche intelligenti, musicalemnte parlando i Box Demolition possono essere accusati di tutto tranne che di mancare sotto l’aspetto dell’autenticità, in un contesto – quello della musica emergente italiana - eccessivamente xfactorato e piegato alle logiche di un mercato che, grazie al cielo, non esiste più. Gli dei se ne vanno e gli arrabbiati continuano a rimanere tra i piedi.
venerdì 8 febbraio 2013
Barber Mouse feat. Samuel: Plays Subsonica (Auand , 2012)
Quello operato dal trio Barber Mouse - Fabrizio Rat (pianoforte), Stefano Risso (contrabbasso), Mattia Barbieri (batteria) - sul repertorio dei Subsonica è un lavoro decisamente intrigante, sia sotto il profilo dell’espressività che dal punto di vista prettamente formale. Il progetto, al quale partecipa anche Samuel Romano che presta la voce in alcuni passaggi, vive su una tensione generale sviluppata grazie alla “preparazione” degli strumenti, ai quali è stato abbinato l’utilizzo di oggetti di vario tipo in modo da creare effetti curiori, dissonanze, e vibrazioni innatuarli che in qualche modo si sostituiscono agli inserti elettronici tipici del sound della band piemontese. Vengono a crearsi delle piacevoli analogie che producono cantabilità in “Incantevole”, isterismi creativi che vanno a caratterizzare l’iniziale “Colpo di pistola”, stravolgimenti ideali per intraprendere tangenti lontane e a volte lontanissime, come in “Disco labirinto”. La voce di Samuel e alcune cellule melodiche mantengono intatto un filo – che a tratti tende a scomparire – con la linea madre del repertorio proposto, in un lavoro di rivisitazione rischioso, di grande impatto e rara originalità.
martedì 5 febbraio 2013
So Special: #1 Gianluca Petrella
“X-Ray” segna l’inizio di due grandi storie: quella della Auand di Marco Valente, etichetta tra le più intraprendenti in circolazione malgrado la prima decade degli anni Duemila abbia di fatto sancito il passaggio dal supporto fisico alla fruizione “liquida”; e quella di Gianluca Petrella come leader, da lì a poco ritenuto come una delle più belle e interessanti realtà del jazz italiano ed europeo. Nelle undici tracce proposte si può ascoltare un grande quartetto, con Javier Girotto spesso sugli scudi con il suono profondo e importante del sax baritono, con il quale fa il paio il trombone di Petrella, già intriso della sua anima bluesy, scura e impenetrabile. Completano il quadro il batterista Francesco Sotgiu e soprattutto il bassista Paul Rogers, capace di far ulteriormente vibrare le atmosfere con un lavoro di grande sostanza e flessibilità. In scaletta, tra le cose migliori, va segnalata l’ipnotica “Crunch”, con la sua forma in divenire, e la lamentosa “Reflex”, spledida nella sua concezione rilassata e tragica, che se chiudi gli occhi sembra di stare in un posto sperduto verso l’ora del tramonto. Nel complesso si tratta di un album che mantiene intatta - a distanza di oltre dieci anni - la concezione comunicativa e quella tensione esecutiva tipica degli eventi importani e decisivi. File under: nuovi classici. Nota: il cd include anche una traccia ROM con foto e brevi video della realizzazione di X-Ray presso l’Artesuono Studio di Stefano Amerio.
Gianluca Petrella Tubolibre: Slaves (Spacebone Records, 2011)
Gianluca Petrella continua con il progetto Tubolibre - alla prima uscita discografica - la sua personale esplorazione musicale. Stavolta, al centro della ricerca, c'è il concetto di schiavitù, che ancora oggi affiora in molti aspetti della nostra quotidianeità. Slaves non è un disco morbido, le linee sonore sono spesso velate di malinconia e strette in una morsa ritmico/melodica che ben idealizza le catene raffigurate in copertina. Ma sono proprio le tensioni tra gli strumenti, l'acidità di un groove scuro e gli andamenti tutt'altro che prevedibili, a rendere questo lavoro particolarmente interessante. Il trombonista mette in scaletta, stravolgendoli, un paio di passaggi accreditati a bluesman storici, come Skip James e Joe Williams, costruendo degli arrangiamenti capaci di far risaltare la duttilità ritmica di Cristiano Calcagnile, la particolare colorazione timbrica di Mauro Ottolini (al trombone, sousafono e tromba basso) e le sferzate chitarristiche di Gabrio Baldacci.I brani autografi si distinguono per la loro grande intensità e per la lentezza esecutiva, con la quale rimandano in mente immagini di sofferenza e soprusi. Una menzione speciale va alla title-track, che con i suoi labirintici ventidue minuti risulta essere l'emblema dell'intero lavoro. Una suite che si sviluppa attraverso stanze sonore caratterizzate dall'immaginazione sconfinata del leader, che riprende il filo del discorso dai tipici slanci visionari con i quali aveva segnato il sound della sua Cosmic Band, interagendo in maniera libera ed efficace con il resto del gruppo.
Completamente liberato: intervista a Gianluca Petrella
Non è stato semplice trovare un day-off nell'agenda di Gianluca Petrella per condurre questa intervista. È ormai una star del firmamento jazzistico, e come tale è impegnato in diversi contesti, progetti e iniziative artistiche di varia natura. Al trombonista pugliese abbiamo rivolto delle domande tese a far luce sui motivi di Slaves, il primo lavoro in studio realizzato con i suoi Tubolibre e incentrato sul concetto di schiavitù.
All About Jazz Italia: Gianluca, finalmente un attimo per l'intervista.
Gianluca Petrella: Stiamo promuovendo l'ultimo disco di Giovanni Guidi (We Don't Live Here Anymore, CamJazz, ndr), in cui sono ospite insieme a Michael Blake, Thomas Morgan e Gerard Cleaver; stiamo girando l'Italia in lungo e in largo a andiamo anche in Francia, quindi sono abbastanza impegnato in questo periodo.
AAJ: E da poco hai dato alle stampe Slaves con i Tubolibre (Mauro Ottolini; Gabrio Baldacci; Cristiano Calcagnile), un lavoro che si sviluppa intorno al concetto di schiavitù. Da dove nasce la necessità di tradurre in musica questo aspetto?
G.P.: In realtà mi capita molto spesso di registrare delle cose, poi man mano che registro e più sono in studio a lavorarci su mi viene l'idea di concettualizzare il discorso musicale che ho fatto. Sono associazioni tra concetti e musica che mi vengono con il tempo. In questo caso è venuta fuori l'idea dello schiavismo in generale, qualsiasi forma di schiavismo, che è partita da un concetto di blues, e quindi pensando a tutte le varie deportazioni. In seguito ho voluto ampliare il discorso ad altre varie forme di schiavismo. Qualsiasi forma. Per esempio in questo momento sono davanti a un computer, ci lavoro molto e quindi subentra una forma di schiavismo tecnologico: la dipendenza dal computer per portare avanti la mia vita. Ci sono poi altre forme che vanno un po' più sul sociale, come i bambini che vengono sfruttati, le donne che vengono sfruttate e illuse da personaggi malvagi, ma anche di uomini schiavi delle donne, basta dare un'occhiata alle news per accorgersi di queste storie che accadono nel quotidiano.
AAJ: Quando hai deciso la forma concettuale che avrebbe avuto il disco?
G.P.: Le idee musicali erano ben chiare prima di entrare in studio: la scelta dei brani, la forma che bisognava dare ad alcune improvvisazioni che si trovano all'interno del disco. Poi, giacché ho fatto un discorso ampio sul blues ho voluto associare il tutto e dare una linea comune a Slaves.
AAJ: È per questo che hai scelto di lavorare su due brani di bluesman come Skip James e Joe Williams?
G.P.: Sì, quelli li avevo già in cantiere per la registrazione, in più ho scritto altri brani e poi ci sono delle improvvisazioni.
AAJ: Questa è per Tubolibre la prima incisione, ma il gruppo esiste da diversi anni.
“Chi è schiavo della musica è una persona piena di sensazioni, una persona contenta di esserlo.”
G.P.: È un'idea di tre o quattro anni fa; siamo partiti senza pensarci più di tanto. Ricordo che iniziammo con un tour di dieci giorni, giusto per stare insieme e suonare, una cosa presa in maniera neanche troppo seria. Poi si è evoluta naturalmente e siamo riusciti a trovare una linea che potesse andar bene per noi quattro. Siamo musicisti con dei background differenti, ma riusciamo a coinvogliare in un unico punto tutti insieme. Quindi la storia del gruppo si è basata su un discorso molto vicino al blues, alla psichedelia con influenze elettroniche. La presenza di un susafono, che è molto vicino come idea e alle caratteristiche peculiari delle street band di New Orleans, può far pensare che questa band sia vicina a quelle sonorità, mentre invece gira intorno a quel sound, percorre una specie di tangenziale del blues per poi arrivare a tutto ciò che mettiamo sul piatto quando suoniamo, come strumenti elettronici, vari gingilli, chitarra elettrica e altro. In un primo momento chi si avvicina alla band può pensare che si tratti di una cosa un po' allegrotta, giocosa, mentre è un discorso musicale molto profondo.
AAJ: Qual è l'aspetto musicale maggiormente messo a fuoco in Slaves?
G.P.: Abbiamo lavorato molto sui suoni, ho chiesto ai miei musicisti di concentrarsi sulle dinamiche, sul dover creare qualche suono diverso e di non convenzionale, di pensare meno alla tecnica, al mostrare quanto uno è capace a suonare il proprio strumento. Ci siamo tolti dalla testa tutto questo ambito virtuosistico per ragionare più sul timbro e sulla profondità della musica.
AAJ: Come si è sviluppata la suite che dà il titolo all'album?
G.P.: Sono ventuno minuti di improvvisazione pura e semplice e messa lì così come è, la versione che ascolti è quella fatta in studio. Penso che sia una delle tracce improvvisate più belle che abbia mai fatto. È per questo che l'ho voluta mettere così sul disco, non andava toccato e tagliato nulla. Descrive la concentrazione che era nello studio. Eravamo concentrati e questa traccia traduce esattamente il livello di concentrazione che c'era in studio in quei giorni.
AAJ: Avete l'intenzione di portare il disco dal vivo?
G.P.: Sicuramente. Adesso ci stiamo lavorando su, stiamo cercando di capire, è difficile trovare spazio in base agli impegni che ognuno di noi ha; ma sicuramente il progetto verrà promosso e sicuramente andrà avanti.
AAJ: Alla musica potrebbe essere abbinata una parte visiva?
G.P.: Non ho intenzione di abbinare video a Tubolibre. Anche perché questa cosa dei video sta prendendo piede e c'è anche altra gente che lo fa. Sono uno che si complica sempre la vita, in qualsiasi cosa, quindi mi complico la vita anche nei progetti musicali che ho, e mi sforzo il più possibile di tirar fuori cose diverse e nuove. Diciamo che la storia dei video, per me, è un po' passata, anche se è molto bello fare musica con dei video, ma non saprei su cosa orientarmi per le immagini. Faccio già delle cose con dei video con il progetto "Exp and Tricks," dove vado a musicare da solo dei cortometraggi degli inizi del secolo scorso. Cortometraggi molto brevi, sperimentali, come i primi rallenty, i primi trucchetti, le prime cose a colori, chiaramente all'epoca non c'erano tutte le attrezzature di oggi, c'erano delle persone che coloravano fotogramma per fotogramma il cortometraggio.
AAJ: Esiste una forma di schiavitù nell'ambiente musicale?
G.P.: Per quanto mi riguarda non la vivo, anche perché a livello di produzioni mi sono concentrato per i fatti miei e quindi non devo essere schiavo più di nessuno. Non ho direttive da parte di nessuno, non ho intralci per quanto riguarda le idee e ora nessuno potrà più mettermi i bastoni tra le ruote tra quello che ho in testa, musicalmente parlando, e quello che vorrei produrre. Slaves è stato interamente prodotto da me per la Spacebone records, l'etichetta che ho creato. Mi sono liberato di molte cose che mi opprimevano, come fare a ogni costo un prodotto che potesse andar bene per il mercato, dover fare per forza una traccia del disco che potesse andar bene per le radio. Mi sono liberato della presenza del produttore che ti dà delle direttive. Mi sono completamente liberato di tuttò ciò.
AAJ: Personalmente parlando, di cosa ti senti schiavo?
G.P.: Mi sento schiavo del lavoro. Cioè, mi sento schiavo delle giornate che passano, delle giornate passate a pensare, è il dover lavorare inteso in termini economici per poter sopravvivere. Mi sento schiavo, ma sono ben felice di essere musica-dipendente, e questo ovviamente è un bene. È uno schiavismo musicale che mi tiene in piedi, ed è sinonimo di energia e di lucidità. Chi è schiavo della musica è una persona piena di sensazioni, una persona contenta di esserlo.
lunedì 28 gennaio 2013
Albano Jazz Festival 2013
Una buona presenza di pubblico ha fatto da cornice alla terza e conclusiva serata del Festival Jazz di Albano Laziale, giunto alla quarta edizione, che ha visto protagonista il quartetto guidato dal chitarrista Andrea Gomellini e ottimamente completato da Pier Paolo Pozzi alla batteria, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Claudio Corvini alla tromba. A quest’ultimo sono state affidate le linee melodiche principali del repertorio proposto, fatto di standard della canzone italiana – da De André a Lucio Battisti, passando per Gino Paoli e il Quartetto Cetra – per l’occasione arrangiati seguendo uno schema espressivo semplice e diretto, senza grandi stravolgimenti tematici. Si è trattato di un’ora di musica piacevole, nella quale Bulgarelli si è ritagliato un paio di soli di grande cantabilità e Gomellini ha dato prova di ottima tecnica e forza espressiva, capace – grazie a un approccio rilassato e flessuoso – di ribattere i temi di Corvini e di liberarsi in solo con elegante naturalezza. Forse, nel complesso, è mancata un po’ d’imprevedibilità, ma di certo non si può rimproverare niente a un quartetto capace di rendere comprensibile e condivisibile un linguaggio – quello jazzistico e di musica lontana dai canoni pop - che nel comune laziale trova rarissimi momenti di visibilità.
domenica 27 gennaio 2013
Marlene Kuntz: Live @ Stazione Birra, Roma 25/01/2013
Apertura affidata ad “Ape regina” e primo momento di sosta, che arriva dopo una mezzora di muscoli e bordate, con “Impressioni di settembre”, cantata da tutti e marlenizzata con una saturazione di suono da far paura. Quello che colpisce della band guidata da Cristiano Godano è proprio la loro idea di suono: corposo, imponente, incredibilmente definito, che travolge e non lascia scampo. La camicia del frontman è presto vinta dall’ardore e dal sudore provocato da una performance fatta di suoni che si aggrovigliano e si fanno aggressivi, fino a “Festa Mesta”, con la situazione che precipita, gli argini si rompono e s’inizia a pogare. Godano non fa niente per attenuare l’atmosfera e il concerto prende le sembianze di un rito pagano. Strumenti in distorsione, materia musicale che vibra e significati spinti all’estremo. Sembra che il nastro si sia riavvolto, come per incanto, fino a quegli esordi così pieni di forza e veleno. C’è un momento di evidente smarrimento temporale.
Arriva però “Io e me” a sincronizzare i Marlene Kuntz con un’attualità che li ha visti anche vestire i panni buoni per andare a Sanremo, un’esperienza che non ha fatto smarrire agli occhi di Godano il suo odio migliore, la sua carica d’adrenalina purissima. Quella vista a Roma è una band in forma clamorosa, con Riccardo Tesio e Luca Bergia perfettamente allineati a Cristiano e in grado di reggerne la voglia sostenuta di travolgere gli avventori. Tra l’altro si parla di nove pezzi già pronti per il prossimo album, si attendono dunque sviluppi importanti.
sabato 19 gennaio 2013
Franco Ferguson: gli appuntamenti di gennaio
L'IMPRORING di mercoledì 23 al Forte Fanfulla di Roma, curato questo mese dal trio Acre, vedrà alternarsi sul palco, in varie tipologie di formazione: Ludovica Manzo (voce); Francesco Negro, Lorenzo Colombini, Jack D'Amico (pianoforte); Giuliano Ferrari, Lele Tommasi, Michele Rabbia (batteria); Angelo Olivieri, Francesco Fratini (tromba); Davide Piersanti (trombone); Arturo Tallini, Antonio Jasevoli (chitarra), Luca Venitucci (fisarmonica); Alipio C Neto (sax); Andrea Federici (elettronica). Negli AMAZING CONCERTS di gennaio saranno protagonisti: giovedì 24, il trio Acre al 30 Formiche di Roma; venerdì 25, il trio Luz al QB Jazz Club di Viterbo.
more: Forte Fanfulla, via Fanfulla da Lodi 5, Roma www.fanfulla.org
30 Formiche, via del Mandrione, Roma info@30formiche.it
QB Jazz Club, S.P. Cimina, Km 2.500, Viterbo restaurant.qb@gmail.com
Massimo Schiavon: Piccolo blu (Incipit/Egea, 2012)
Massimo Schiavon è un cantautore genovese, che con “Piccolo blu” conosce il secondo lavoro in studio di un percorso artistico passato attraverso diverse fasi: la gavetta nei piccoli locali, gli incontri con personaggi di rilievo come Bruno Lauzi, e un momento di pausa al quale ha fatto seguito nel 2007 il primo album dal titolo “Senza rotta”. Tra i dodici nuovi brani proposti spicca l’inedito scritto da Enzo Jannacci “I passi di una donna”, posto in fondo a una scaletta da dove emerge in maniera decisa la connotazione cantautorale di Schiavon, che esplora le proprie emozioni con un approccio dalle forti connotazioni descrittive. A ispirarlo è la pittura, la fotografia e le arti visive in genere, che si riflettono in metafore e accostamenti suggestivi, ricercati e di classe. Gli andamenti ritmici sono pacati, senza inutili eccessi, e gli sfondi mostrano un arrangiamento - composto dalla chitarra di Armando Corsi, fiati, pianoforte e fisarmonica - sempre fuzionale all’intreccio narrativo. “Piccolo blu” è un album dedicato a chi ama le cose semplici, oneste, che non stravolgono l’esistenza, ma di certo possono regalare un momento di piacevole riflessione.
giovedì 17 gennaio 2013
Aedi: Ha Ta Ka Pa (Gusstaff Records, 2013)
Se del precedente “Aedi Met Heidi” andava sottolineata la pacatezza interpretativa e la voglia di percorrere vie espressive lontane dagli ammiccamenti, nel nuovo “Ha Ta Ka Pa” gli Aedi si fanno apprezzare per il coraggio di osare soluzioni formali inconsuete e prive di evidenti punti di riferimento esterni. All’atto pratico si tratta di originalità. Dote rara, anzi rarissima, in un contesto – quello rock pop dall’atteggiamento indie – sempre più uguale a se stesso e incapace di conquistare una propria identità di concretezza. In questo episodio la band italiana si è affidata alla produzione di Alexander Hacke (Einsturzende Neubauten), il quale ha innestato una buona dose di adrenalina e convincimento nella già valida intelaiatura espressiva e formale. La voce di Celeste Carboni – mutevole e pronta al cambio improvviso di registro - continua a rappresentare la migliore arma a disposizione di questa realtà, mentre dietro di lei si muove uno scenario dall’approccio punk, per i ritmi coinvolgenti che riesce a sviluppare (“Animale”), ma dall’anima gentile, dal momento che sono diverse le melodie capaci di catturare l’attenzione senza scorciatoie di sorta (“Tomasz”). Cattivi e spiritosi, taglienti e leggeri, gli Aedi mettono così insieme un altro lavoro da non sottovalutare.
mercoledì 16 gennaio 2013
Shana Falana: In the Light EP (Autoprodotto, 2012)
L’Ep “In the Light” è l’esordio discografico di Shana Falana, vocalist in grado di mettere insieme una manciata di brani – sei in mezzora – dalle atmosfere sospese e impalpabili, dalla grana fine e gentile, dal timbro delicato. Approccio ben chiaro già in apertura di scaletta, dal momento che “Dizzy Chant” è una sorta di ballata sussurrata con retrogusto di psichedelia e “Light the Fire” porta in dote visioni lisergiche e disincantate. Quello descritto dall’artista di base a Brooklyn è un mondo in dissolvenza, dove i colori sono sfumati e nel quale penetrano a stento raggi di luce melodica. La sua è musica che sa affascinare, a patto di aver voglia e tempo per lasciarsi investire senza fretta, dando ai suoni la possibilità di sedimentarsi fino a formare uno strato solido di emozione e forte espressività, come in “Tragic”. La title track è probabilmente il passaggio meno intrigato del lotto, anche se ugualmente intrigante e buono per tentare di attirare più in fretta l’attenzione dell’ascoltatore di passaggio. Il resto è pop d’autore, affrescato con gusto ed eleganza.
in download su http://shanafalana.bandcamp.com/album/in-the-light
domenica 6 gennaio 2013
Paolo Benvegnù: Live @ Blackout Rock Club, Roma 04/01/13
Sono passati quasi due anni dalla pubblicazione di “Hermann”, il terzo album solista di Paolo Benvegnù, che in molti continuano anacronisticamente a ricordare come l’ex leader degli Scisma. Acqua passata. Oggi Benvegnù è un’identità artistica a sé stante, capace di sviluppare un discorso cantautorale di livello assoluto, che è andato ben oltre le più lecite aspettative e che si è posto in maniera decisa in un limbo di precisa qualità interpretativa. Paolo Benvegnù non si è saputo vendere bene, questo sembra chiaro. Per molti si tratta di un pregio, per tanti altri uno spreco. Di talento, di forza, di voglia di scardinare una scena cantautorale italiana troppo ferma a guardarsi sempre attraverso i medesimi specchi. E forse questi pensieri hanno attraversato la mente anche di quelli che hanno gremito il Blackout Rock Club di Roma, in una fredda sera di gennaio, per assistere all’atto conclusivo del lunghissimo tour basato sulla musica di “Hermann” e non solo. Musica che emoziona, attraverso una performance dal vivo che riesce sempre a lasciare il segno, anche quando le condizioni audio non sono delle migliori e qualcosa no va come dovrebbe.
Benvugnù sul palco – in formazione a quattro, con Andrea Franchi (batteria), Luca Baldini (basso), Guglielmo Ridolfo Gagliano (chitarre) – sprigiona la consueta grinta in un set di un’ora e mezza che prende il via con una vibrante “Il mare è bellissimo” e che riesce sia ad accarezzare (“Anime avanzate”), ma anche a prendere a schiaffi l’ascoltatore (“Suggestionabili”) nel volgere di pochi brani, pescati in un repertorio che ha da tempo preso consistenza e valore. Qualche aneddoto per prendere fiato, qualche verità amara detta con il sorriso («invece di un presidente del Consiglio ci sarebbe bisogno di più antidepressivi»), e il concerto scorre tra gli applausi di un pubblico composto per la maggior parte da affezionati, i quali apprezzano anche i brani più recenti, vedi “Moses”. L’evento era stato presentato sulla pagina Facebook di Benvegnù come “Il sonno - idea di letargo post-apocalittico”. Preludio, probabilmente, a un lungo e necessario silenzio che servirà al cantautore per riorganizzare le idee e trovare la rotta esatta del suo percorso che si è finora posto a debita distanza dalle soluzioni semplicistiche.
foto di roberto paviglianiti