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domenica 20 maggio 2012
Violassenzio: Nel dominio
Per la band ferrarese Violassenzio si tratta del secondo lavoro sulla distanza che conta, a due anni dall’interessante “Andrà tutto bene”, un album che aveva ottenuto diversi riscontri positivi da parte di critica e pubblico.
“Nel dominio” riallaccia i fili con il rock cantautorale dell’esordio, e propone quattordici brani legati insieme da un concept che gira intorno al termine “dominio”, inteso come controllo dei numeri e di conseguenza del potere politico e degli eventi. Assistiamo quindi a un innalzamento sensibile dell’asticella espressiva e dei significati, per un lavoro ambizioso e complesso, che si lascia apprezzare per lunghi tratti e che non si sottrae a qualche caduta di tensione.
Tra le cose migliori segnaliamo il buon taglio rock di brani come “Rinchiusi in una scatola” e “Nelle fabbriche”, nei quali travano spazio dei momenti only instrumental che allargano le vedute stilistiche del gruppo, che in questo modo riesce a uscire leggermente dagli schemi precostituiti della song in senso stretto. La voce di Fabio Cipollini si pone al centro dello scenario proposto, mentre al suo fianco la solida intelaiuatura di basso-chitarra-batteria viene in alcuni casi ingentilita dalla presenza di pianoforte e synth. Nel suo complesso la strada intrapresa sembra essere quella giusta.
Following Friday: Outside the Fence EP
Secondo Ep per gli italiani Following Friday, che con i sei brani di “Outside the Fence” ribadiscono la loro attitudine pop oriented, e non aggiungono granchè a quello già sentito nel precedente lavoro.
Si tratta di una formula che strizza entrambi gli occhi alle sonorità radiofoniche, con linee melodiche chiare e dirette, che non conoscono momenti di tensione o strappi alla regola stilistica. Intenzione evidente già nella traccia d’apertura “First Shot is the Hardest”, che sintetizza il credo di questa band, che sembra avere bene in mente la strada da percorrere. Percorso però da verificare sulla lunga distanza, lì dove con tutta probabilità quello proposto fino a questo momento non basterà.
mercoledì 16 maggio 2012
Orlando Andreucci: Inusitato
Quella di Orlando Andreucci è una voce che canta fuori dal coro. Il cantautore romano, classe ’47, se ne resta lontano dalla facile fruizione, dai ritornelli a presa rapida, dagli abbellimenti di facciata. Il suo modo di intendere il songwriting rimanda ai grandi del passato, a un tempo sparito, coniugato nel presente dei dieci nuovi brani che compongono “Inusitato”, un album che bada al sodo, ai significati concreti.
Parole che seguono la narrazione di eventi e descrivono persone, che si pongono in garbato primo piano sullo sfondo musicale che si sposta da andamenti dal sapore jazzy ad altri più disimpegnati, rimanendo sempre nell’ambito dell’essenzialità, elemento basilare di questo lavoro, preannunciato anche dall’artwork in bianco e nero, semplice e minimale. Al fianco di Andreucci c’è l’accompagnamento della sua chitarra e del pianoforte elegante di Primiano Di Biase, ingredienti che servono a rendere notturne le atmosfere proposte, avvolte in quella malinconia che sa colpire le giuste corde emozionali. Canzoni registrate in un paio di sedute, che rimandano costantemente l’idea della spontaneità, e che si lasciano ascoltare – e riascoltare – con interesse, proprio per la qualità della pazienza che portano dentro di loro e che richiedono per essere apprezzate in tutte le loro sfumature.
Non ci sono momenti di maggiore appeal, l’intero lavoro si muove compatto in un territorio denso di valori, di descrizioni minuziose e toni calibrati. Rarità.
lunedì 14 maggio 2012
Shelley Short: Then Came the After
Shelley Short prosegue il suo percorso cantautorale riprendendo le linee tenui e le timbriche accennate nel precedente “A Cave, a Canoo”, per dar vita ai dodici nuovi brani che compongono l’altrettanto malinconico e chiaroscurale “Then Came the After”.
Album registrato a cavallo tra il 2010 e il 2011 con la collaborazione attiva del fidato Alexis Gideon, e con un gruppo di musicisti pronti a delineare gli sfondi sui quali la voce di Shelley narra storie di vita personale, relazioni e misteri dell'esistenza. La songwriter di Portland non ama fare le cose di fretta. E i suoi brani emanano in maniera inesorabile questa attitudine compositiva e caratteriale. Cosicchè assistiamo al lento succedersi di eventi sonori, che ci accompagnano dalle gentilezze melodiche di “Right Away”, ai lineamenti impalpabili di “Plane”, dove Shelley mostra un timbro vocale al limite della trasparenza, ai tratti più marcati di “Steel”, nella quale la chitarra elettrica di Gideon rende qualche buona grinza al tessuto pregiato di questo lavoro. Ci sono poi dei passaggi fragili, come “Caravan”, che contribuiscono a impreziosire il tutto e che potrebbero trovare la propria ragione in un sottofondo a lume di candela.
La voce di Shelley Short – molto levigata, mai fuori da un binario espressivo coerente – segna in maniera indelebile un album che va ascoltato in tutte le sue sfumature, facendo parecchia attenzione ai particolari. Prendetevi del tempo libero.
sabato 12 maggio 2012
Nedry: In a Dim Light
I Nedry sono un trio di base a Londra, composto dai multi strumentisti Chris Amblin e Matt Parker e la vocalist Ayu Okakita, capace di sviluppare atmosfere avvolte in un chiaroscuro costante, fatto di suoni riverberati, andamenti ritmici medio-lenti e sonorità che si sommano senza fretta fino a formare un insieme di sicuro impatto.
Il loro “In a Dim Light” dà continuazione al precedente “Condors” e si muove in un ambito trip hop intriso di suoni elettronici, che oscilla tra temi ballabili ad altri più cupi e riflessivi. Insieme che trova il giusto equilibrio melodico in pezzi come “Home” e “Here.Now.Here”, nei quali la voce bjorkiana di Ayu Okakita – tratto distintivo dello stile e dell’approccio di questa band – libera la sua bellezza timbrica, riuscendo a disegnare passaggi fascinosamente intriganti. I ragazzi sanno innescare la giusta tensione ritmica, mantenendo sempre vivo il discorso melodico, anche quando, vedi “Dusk Till Dawn”, le atmosfere tendono a farsi più ferme, quasi a sottolineare con troppa ostentazione il proprio credo stilistico.
Volendo trovare un difetto a “In a Dim Light” si potrebbe puntare il dito verso le evidenti derivazioni che il gruppo porta dentro di sé, leggi Portishead e parenti stretti, ma la miscela e l’intuizione con la quale il tutto viene messo insieme riescono a lasciare in secondo piano ogni, eventuale, aspetto negativo.
venerdì 11 maggio 2012
Jester at Work: Magellano
Jester at Work è Antonio Vitale, cantautore con addosso un mantello stilistico dalle trame vintage. Sarà per quel modo di cantare rugginoso, su accordi essenziali, sarà per quel suo modo di scolpire la pietra musicale a mani nude, fino ad estrarre un’essenza espressiva profondissima.
Jester at Work realizza “Magellano”, un album che segue il precedente “Lo-fi, Back to Tape”, che diversi consensi aveva raccolto in ambito strettamente underground, presso una nuvola di cultori che ne avevavo apprezzato il suo modo analogico (nell’accezione più aderente del termine, in quanto si trattava di brani registrati con un registratore analogico Fostex) e il suo modo interpretativo minimale, vero. E gli undici brani qui proposti non sono che la conseguenza naturale di quel lavoro; sono undici dipinti a mano libera, con un modo che non conosce gli ammiccamenti, le scorciatorie melodiche, le furbatine che a volte si celano dietro il file under songwriting.
Le linee interpretative di Vitale si reggono in piedi grazie al sostegno della sua chitarra acustica, con la quale dialoga e intavola discorsi brevi e di immediata comprensione, in un album da ascoltare in più riprese, aspettando magari un giorno di pioggia per far attecchire ancora di più le sensazioni che rilascia a piene mani. C’è della malinconia. Mista a speranza. C’è voglia di raccontare storie sensate in “Magellano”, un lavoro che si lascia ascoltare senza nauseare. E di questi tempi, scusate se è poco.
mercoledì 9 maggio 2012
Extra Life: Dream Seeds
“Dream Seeds” è per gli Extra Life di Charlie Looker il terzo lavoro sulla distanza che conta, e rappresenta un punto di cambiamento della band di Brooklyn, perché da quintetto i ragazzi si sono ridotti a trio e perché il loro approccio alla materia musicale si è fatto, da “Made Flesh” a oggi, meno sperimentale e più vicino a un’idea di intimità compositiva.
Questa è la prima impressione che ci viene fornita dall’opener “No Dreams Tonight”, un pezzo dove la voce di Looker – più morrisseyana del solito – canta di scenari immaginari su uno sfondo melodico esile e lineare, come non eravamo abituati e come non ti aspetti dagli Extra Life. Di certo non mancano le ruvidezze e i momenti più aspri, nei quali la band continua a dare il meglio di sé, riuscendo a tirare al punto giusto i fili di una tensione palpabile, una sorta di urgenza espressiva tradotta in andamenti ritmici spezzati, melodie angolari, situazioni al limite del tetro. Nei brani proposti si parla di bambini e di sogni (Charlie Looker è un maestro di musica di una scuola elementare), c’è dunque un mondo difficile da esplorare che può trasformarsi anche in incubo. In tal senso è esplicativa “Discipline for Edwin” che, con dei cambiamenti di scenario improvvisi, ben delinea questo aspetto della musica degli Extra Life.
I ragazzi – sia a livello formale che espressivo – sanno il fatto loro, hanno nelle corde una capacità tecnica tale da poter reggere con grande credibilità discorsi su più tavoli, cosicchè i loro lavori non riescono a passare inosservati, anche quando hanno l’aria di momento di transizione.
martedì 8 maggio 2012
Bee and Flower: Suspension
C’è la voce di Dana Schechter al centro della strategia dei Bee and Flower, band di stanza a New York, con diverse sortite in quel di Berlino, che dal 2000 a oggi ha dato vita a molti lavori tra colonne sonore e album, compreso il loro terzo e interessante “Suspension”. Lavoro che mantiene inalterata la loro cifra espressiva, capace di inglobare varie sfaccettature stilistiche, che spaziano – con buona duttilità formale – da toni chiaroscurali a territori più illuminati, da tenere linee melodiche a qualche tensione che non guasta.
Il riferimento è a brani al limite del tetro come “You’re not the Sun”, o a quelli gentili come “Swallon Your Stars”, dove la voce di Dana danza su un intreccio delicato, fatto di cori, fiati, ritmica sospesa e mai invadente. Tra le cose migliori va segnalata la pop oriented “Waiting Room”, ma anche le ombre che avvolgono un passaggio tra i più profondi e sentiti, come “Overrun”. Stanze sonore arredate con grande gusto, dove ogni particolare è curato con parsimonia, e dove a volte riesce a filtrare qualche raggio di luce intensa, come nella conclusiva “Simple Life”, nella quale arriva anche il solo di tromba di Martin Wenk (Calexico) anche se non determinante.
Decisivo è invece l’approccio generale che la band sa imprimere a fuoco a questo lavoro, un album dove si avverte molta qualità, con delle strutture pensate al dettaglio, ma mai a discapito di un'interpretazione sempre di livello assoluto.
sabato 5 maggio 2012
Cristina Donà: live @ piper club 3 maggio 12
Certamente l’album ‘Torno a casa a piedi’ ha aggiunto un tassello importante alla storia di Cristina Donà. Il passo avanti è stato notevole. I lavori del passato avevano raggiunto livelli di ottima fattura, ma stavolta abbiamo avuto la netta sensazione di trovarci di fronte a un classico, a uno di quei passi destinati a non subire flessioni nel tempo. E di tempo ne è passato dal suo esordio artistico, raccontato insieme ad altri episodi della sua carriera nella sua prima biografia ufficiale, ‘Parlami dell’universo. Storia di un viaggio in musica’, scritta da Michele Monina per Galaad Edizioni. Un viaggio in musica è stato anche il tour promozionale che, da un anno a questa parte, la vede ancora impegnata sui palchi. Ieri, la cantante lombarda ha fatto tappa nel prestigioso Piper Club di Roma.
Ha fatto tanti chilometri Cristina Donà. Speriamo, per lei, non a piedi. Tanti veramente, al punto che, se ci mettiamo la tappa di gennaio nella limitrofa Ciampino, è la terza volta che i fan romani hanno la possibilità di ascoltarla dal vivo nella loro città. Il Piper è la discoteca per antonomasia, nella capitale e non solo. Un posto, uno dei pochi a dire il vero, dove il rock si può ascoltare al giusto volume, dove il suono non tradisce, e dove da un po’ di tempo si è tornati ad organizzare concerti in maniera degna, con nomi di un certo rilievo. Per la Donà c’era il pericolo di un inflazionamento. Invece, sotto il suo palco, si è radunato un numero consistente di ammiratori, da lei definiti “giapponesi”, vista la mole di macchine fotografiche che la stavano immortalando. Del resto è una figura di sicuro interesse, una cantautrice dalle grandi doti interpretative. Vive le sue canzoni in maniera molto profonda, sia che si tratti di brani delicati, sia nei momenti in cui c’è da lasciare il graffio, lì dove è l’amarezza a farla da padrona.
Alle sue spalle un trio – Saverio Lanza (tastiere, chitarre, cori), Emanuele Brignola (basso e contrabbasso), Piero Monterisi (batteria) – che riesce a vestire i brani in maniera sempre coerente, mettendo in mostra tecnica e duttilità stilistica. Band che sa farsi valere nei passaggi dove c’è da accelerare, ma anche nei molti chiaroscuri previsti dal songbook della Donà. Libro nel quale sono entrati, per diritto acquisito sul campo, diversi brani tratti da ‘Torno a casa a piedi’. Leggi ‘In un soffio’, o anche ‘Miracoli’, che la gente può e deve fare in un periodo di così grande difficoltà sociale. Sono tempi nei quali bisogna tenere duro, come in una gara di ‘Triathlon’, cantata alla fine di un concerto molto emozionante, nel quale è arrivata, scusandosi, con la voce in riserva per ‘Universo’, cantata quasi completamente dal pubblico, alla quale ha legato un brandello di ‘Across the Universe’. Da brividi. Scorrono in fretta le due ore al Piper. Nel finale, qualche sorpresa, dal momento che la band, su un pattern di 4/4, sa infilare qualsiasi pezzo. E così ecco ‘Heart of glass’ (Blondie), interpretata in maniera magistrale, e da dietro le quinte spunta fuori anche Jose Ramon Caravallo per un solo di tromba che addiziona motivi per emozionarsi. Emozioni sincere, un po’ di seta, soprattutto per i molti reduci da un Primo maggio in Piazza San Giovanni pieno di ortiche.
mercoledì 2 maggio 2012
Live Footage: Plays Jay Dee
Plays Jay Dee è un disco inciso dai Live Footage in menomria del producer J. Dilla, che si risolve in otto cover strumentali che attraversano - con atteggiamenti vagamente jazzy - un percorso che spazia dall’hip hop, alla club music e all’elettronica pura e semplice.
Il duo newyorkese, già in evidenza per il precedente full lenght Willow Be, fa leva sulle proprie attitudini stilistiche, tradotte in un approccio sempre originale grazie al violoncello di Topu Lyo che ben si amalgama, o entra in curiosi contrasti, con le impalcature ritmico/melodiche erette dal drummer e polistrumentista Mike Thies.
In apertura di tracklist troviamo un paio di pezzi (Light Works e Think Twice) giocati su atmosfere leggere e ritmi medi dal sapore dub, che se ne restano in sottofondo senza lasciare un segno tangibile. Ma questo sembra il preludio per alcuni momenti di maggiore intensità espressiva, che possiamo individuare nel rifacimento di Got Till It’s Gone (Janet Jackson) e nelle trame di violoncello contenute in una ammaliante Didn’t Cha Know (Erykah Badu).
Chiudono il cerchio, di un lavoro nel suo complesso apprezzabile, la dance oriented Runnin’ (The Pharcyde) e la sorniona So Far To Go, che forse meglio di altre fotografa l’idea e il modo di plasmare musica che era proprio di J. Dilla.
M+A: Remixes.Yes
Quattro remix e una cover di M.I.A. compongono Remixes.Yes, lavoro firmato da M+A, il duo formato da Michele Ducci e Alessandro Degli Angioli che aveva destato interesse, dividendo le opinioni di critici e platee, con il precedente Things.Yes, anch’esso edito da Monotreme.
Si tratta di brani manipolati puntando a ottenere un discorso coerente, che fila in modo lineare dalle atmosfere ovattate di Here.Now.Here (Nedry) a quelle leggermente più insidiose di Takes Me Back (Emay), passando per le melodie distese che segnano Tangents (Polinski). Stesso discorso per il brano dei Joycut preso in considerazione: Garden Grey è giocato su ritmi lenti e sonorità delicate, in una sorta di andamento che procede senza far troppo chiasso e mai propenso agli stravolgimenti radicali.
Poco aggiunge la rivisitazione di Paper Planes, come del resto l’intero Remixes.Yes non molto altro ci dice su M+A, ragazzi in grado di sviluppare una buona concezione sia del remix che della costruzione del brano in sé, ma prima di gridare al miracolo ci attendiamo prove più concrete.